Una persona molto intelligente una volta ha detto: “Il progresso senza evoluzione si chiama estinzione.“. Riassunto perfetto del triste destino del mondo del blockbuster hollywoodiano, che mai come in questo ultimo decennio ha sofferto di una evidente mancanza di idee originali, preda di una via d’uscita che per tutto questo tempo ha pensato (e un po’ pensa ancora) di creare una nuova El Dorado fondendo il cinema di sistema ed il cinema d’autore. Il risultato è stato lasciare spazio al fenomeno editoriale audiovisivo più importante del nostro tempo, che però quasi sempre ha sofferto di un discostamento tangibile dal senso stesso del cinema, dalle sue fondamenta e dalla sua grammatica, anche laddove ha trionfato su tutta la linea.
Con la recensione di Avatar – La via dell’acqua non vi parliamo solamente del sequel di quell’evento epocale che è stato il film di James Cameron del 2009 (da noi uscito gennaio 2010), tornato dopo il suo secondo passaggio al cinema di nuovo in vetta alla classifica dei maggiori incassi di sempre, ma anche di quello che è, a tutti gli effetti, il nuovo punto zero del cinema commerciale americano.
Da James Cameron a James Cameron insomma. 13 anni dopo. Di nuovo. Ancora.
Tante critiche furono mosse al primo capitolo, nonostante il ritorno di pubblico, mirate soprattutto alla trama, alla scrittura dei personaggi e al saccheggio che il cineasta canadese aveva (ipoteticamente) perpetrato ai danni di tanti altri immaginari letterari e cinematografici (e se si vuole alimentare ciò ci sono 45 pagine scritte da Cameron stesso a proposito delle sue fonti d’ispirazione che per le malelingue può suonare un po’ come “ho la coda di paglia“).
A posteriori, ad oggi anzi, meglio, è impossibile non rendersi conto di quanto il suo kolossal fosse stato un precursore assoluto, non solo per la CGI, la motion capture e il 3D, ma anche per il linguaggio straordinario scelto per affrontare tematiche fatalmente attuali, in pieno rispetto con le leggi della settima arte.
Il sequel va ancora avanti, sotto tutti i punti di vista, partendo dall’esperienza da donare allo spettatore, a cui vengono regalati 192 minuti di cinema puro, che quasi intimorisce per la sua spettacolarità mozzafiato, la sua visceralità e la sua potenza catartica.
L’evento dell’anno in zona Cesarini, forse l’evento del decennio, è un’altra evoluzione. Non progresso e basta, sennò ci estinguiamo.
Che poi è una strada che a volte sembra molto ben imboccata di questi tempi, no? Ma che ci vuoi fare, Cameron è uno che di solito va controcorrente.
10 anni dopo
Sono passati dieci anni dalla conclusione dell’epica battaglia tra i Na’vi, capeggiati dall’ex marine Jake Sully (Sam Worthington) e da Neytiri (Zoe Saldana), e le forze terrestri della compagnia interplanetaria RDA, guidati dal terribile colonnello Miles Quaritch (Stephen Lang), conclusasi con la vittoria della forza indigena, la morte del terribile uomo bianco e la cacciata da Pandora delle restanti legioni di demoni invasori.
Un risultato schiacciante che nell’idea di tutti clan della foresta avrebbe dovuto mettere la parola fine ai tentativi bellicosi dell’umanità. Giusto? Sbagliato.
Il male al limite può aver cambiato volto, ma fidatevi che tornerà sempre e le sue intenzioni e la sua testardaggine saranno quelle dei bei tempi andati.
Ciò che è cambiato nel frattempo, invece, sono Jake e Neytiri, ora genitori di ben cinque figli, di cui tre naturali, Neteyam (Jamie Flatters), Lo’ak (Britain Dalton) e Tuk (Trinity Jo-Li Bliss) e due adottati, Spider (Jack Champion), un terrestre rimasto sulla luna perché troppo piccolo per il criosonno, e Kiri (Sigourney Weaver), nata in circostanze misteriose dal corpo da Avatar della fu dottoressa Grace Augustine.
Un bel mutamento per i due condottieri, le cui priorità si sono nel corso del tempo praticamente ribaltate e che quindi adesso, di fronte alla nuova minaccia, decidono di non scendere direttamente in battaglia, ma prima di tutto di proteggere la propria famiglia.
Di più non diciamo.
Cinema d’avanguardia
Quando fai un sequel 13 anni dopo il capitolo uno e con la certezza di vedere il terzo atto uscire poco dopo (si parla del 2024, e in realtà ci sono delle date anche per le restanti due parti, ma quelle non sono sicure ancora del tutto, quindi glissiamo), la premura di ogni sceneggiatore è quella di dar vita ad una storia che possa ricollegarsi al suo passato, soprattutto da un punto di vista di coerenza di tono e registro, e di ampliare il respiro al punto da rendere appetibile un proseguo. In più c’era anche il discorso del 3D, che se da una parte garantiva un’impronta unica alla saga, dall’altra incontrava un pubblico ormai praticamente dimentico di quel tipo di fruizione.
Togliamoci subito il pensiero, Avatar – La via dell’acqua riesce a fare tutto questo e anche di più.
Cameron riporta lo spettatore su Pandora immediatamente, richiamando il primo capitolo, ma mostrando da subito una potenza immersiva senza precedenti, forte non solo di un nuovo miracolo visivo che ripropone allo spettatore quel cortocircuito cinematografico che gli apriva le porte ad un mondo alieno, ma ripresentandosi con una regia barocca, quasi lirica, ed una colonna sonora liturgica. Il resto lo fa un montaggio mozzafiato, dritto, veloce e incalzante.
Tutto l’immaginario del cineasta canadese riprende vita davanti ai nostri occhi più vero che mai, ricco, pieno di promesse e di potenzialità visive e sonore.
E non è ancora niente, perché oltre a dare una linfa contemporanea ad un corpus del 2009 (ma che anche a vederlo oggi proprio non ne vuole sapere di invecchiare) va oltre, portandoci negli oceani, il suo luogo immaginifico preferito. Cameron ha realizzato infatti diversi documentari con il National Geographic, oltre ad essere il primo uomo ad aver esplorato, in solitaria, il più profondo degli abissi conosciuti, raggiungendo il fondo della Fossa delle Marianne.
Il cuore pulsante della sua curiosità filmica è praticamente tutta sotto il livello dell’acqua, dove, grazie ad una motion capture di nuova generazione o qualsiasi diavoleria abbiano congegnato in più di 5 anni di lavorazione, crea un ennesimo nuovo mondo, con le sue regole, il suo popolo, la sua geografia, la sua flora, la sua fauna, le sue leggi, le sue emozioni e il suo vissuto. Un nuovo ecosistema naturale ideato, costruito e infine ritratto come un monumento sacrale.
Coronamento di una visione cinematografica che è esplorativa, antropologica, narrativa, documentaristica. Di più, fuori da ogni tipo di riferimento, passato e presente.
Controcorrente
Un blockbuster con le regole del blockbuster che fa un passo avanti anche nella sceneggiatura (stavolta le penne sono tre, oltre Cameron ci sono Rick Jaffa e Amanda Silver), che nelle sue scorciatoie, nelle sue didascalie, nelle sue furbizie e nelle sue scelte faziose e oltranziste (c’è qualcosina a proposito degli animali per esempio), la sua palese preferenza verso alcuni personaggi piuttosto che ad altri, che sono da sempre nella poetica del cineasta canadese, riescono ad andare più a fondo su tutto.
Avatar diventa una saga familiare perfettamente coerente con le tematiche del suo universo, cioè presentando una storia di formazione multipla con al centro l’evoluzione (sempre lei) figlia primogenita della contaminazione. Un meccanismo in cui troviamo un antagonista ancora più integrato verso la nuova strada intrapresa e una (finalmente) inversione dei ruoli.
I protagonisti sono i giovani, i figli, ma non perché il futuro è loro e bla bla bla, ma perché il presente è loro. Il presente sono loro.
Sono loro che sono i più consapevoli dei propri orizzonti, ma anche degli altri e dei bisogni degli altri soprattutto. Sono loro che sono pronti a sbagliare, a rischiare, a mettersi in gioco, ad andare incontro al diverso, a prendere decisioni che chi ha attraversato una tempesta non è più un grado di compiere.
Loro hanno da insegnare, loro devono essere seguiti.
Avatar – La via dell’acqua è un film che fa tutto il contrario di quello che fanno i suoi contemporanei. Punta sullo spettatore e non sul consumatore; punta su un linguaggio classico anche sgamabile e non sull’intellettualismo a qualsiasi costo; sull’unicità dell’esperienza e non sulla sua unità, in costante richiamo con le precedenti e le successive. Punta alla sala, punta al 3D, che è l’unico modo per vedere, capire, emozionarsi con esso. Punta al presente, al momento, gioca tutto sull’adesso, sull’ora, sulla connessione che instaura con lo spettatore, specchio di quella che ha chi vive il suo mondo. Punta alla rinascita e non alla celebrazione della morte. Punta a creare un mondo parallelo che ci faccia un po’ meno paura di quello in cui viviamo.
Avatar – La via dell’acqua è al cinema dal 14 dicembre 2022.
Avatar - La via dell'acqua è tutto quello che si sperava fosse e anche un pochino di più. Il nuovo kolossal di James Cameron rinnova gli standard visivi del cinema contemporaneo ancora una volta, rilanciando l'idea del 3D come parte fondamentale di una fruizione che ha come primo obiettivo quello di dedicarsi completamente allo spettatore. Non solo, aggiorna le tematiche affrontate precedentemente, mantenendo una coerenza straordinaria e, anzi, evolvendo ulteriormente nel suo linguaggio. Il cineasta canadese crea di nuovo un mondo da zero e ci ambienta una storia con un cuore enorme, che parla di famiglia e della necessità di lasciarsi guidare da chi pensiamo di dover semplicemente proteggere, regalando un'esperienza con un solo precedente, seppur inferiore. Il suo.
- La scrittura è coerente con l'immaginario costruito e fa un passo avanti da ogni punto di vista.
- Un nuovo livello, anni luce avanti gli standard visivi del cinema contemporaneo.
- Ha il coraggio di parlare del futuro come nient'altro oggi.
- Cinema per essere cinema, controcorrente, contro il tempo in cui vive.
- Non avete mai visto niente del genere.
- Ci sono le scorciatoie, le faziosità, le furbizie di Cameron.
- La sceneggiatura ha una natura didascalica classica del cinema commerciale nordamericano.