RWE, azienda leader dell’energia in Germania, si prepara a mandare in pensione sette turbine eoliche: al loro posto una miniera di carbone
La crisi energetica provocata dalla guerra in Ucraina sta portando i diversi governi europei a “correre ai ripari”, ma questo si traduce in un ritorno al passato dannoso in termini di inquinamento ed emissioni di gas serra. In primis sta anche accadendo in Italia, dove il nuovo Governo di Giorgia Meloni ha recentemente accordato il permesso a nuove trivellazioni nel Mar Mediterraneo per l’estrazione di gas naturale. Ma la notizia più importante è quello che sta accadendo in Germania, dove la compagnia energetica RWE ha iniziato a smantellare un piccolo parco eolico per far posto all’espansione di un’adiacente miniera di carbone di lignite.
RWE ha già smantellato una delle turbine eoliche del parco eolico di Keyenberg, nel Land occidentale del Nord Reno-Westfalia; le restanti sette turbine dovrebbero essere smantellate nel corso del prossimo anno. Intanto, l’azienda ha già dato avvio alle operazioni di espansione della miniera di carbone di Garzweiler.
Un’azione in decisa contro-tendenza con i passi in avanti fatti dal Paese in materia di energie rinnovabili e sostenibilità ambientale. Un vero e proprio paradosso, di cui si rendono conto anche i manager di RWE, che tuttavia dichiarano di avere le mani legate e di non poter fare diversamente. Le turbine che presto andranno in pensione sono state erette nel 2001 e hanno una potenza energetica limitata rispetto agli standard attuali – appena 1,3 megawatt.
Anziché essere “ripotenziate” con pale più grandi in grado di produrre più energia, RWE ha deciso bene di disfarsene.
Nel Nord Europa si stanno smantellando quasi tutte le miniere
Questo va in controtendenza con altre nazioni come la Norvegia che ormai sta smantellando ogni miniera di carbone per installare energia alternativa. L’obiettivo del governo norvegese è quello di trasformare l’intero arcipelago delle isole Svalbard (e in particolare il fiordo di Van Mijen) in un’area completamente selvaggia in cui orsi polari, foche e tutti le altre specie animali dell’Artico possano vivere e riprodursi in quella che gli esperti hanno definito una delle aree più resilienti di fronte alla minaccia della crisi climatica globale.
In questa vasta area il carbone è stato estratto intensivamente per oltre un secolo sotto il monopolio dello stato e, malgrado la minaccia incombente del surriscaldamento globale di questi ultimi anni, solo nel 2016 il governo norvegese ha annunciato la fine dell’estrazione di questo combustibile. Oggi l’intera area (circa 61.000 km quadrati) è punteggiata da sette parchi nazionali, quindici santuari per uccelli, un geo-parco e sei riserve naturali; più di 3.000 orsi polari sono tornati a vivere nella regione, mentre durante l’estate più di 20 milioni di uccelli appartenenti a 80 differenti specie vi nidificano alla fine della migrazione. Ma non basta. Negli ultimi giorni il governo norvegese ha annunciato inoltre l’estensione del già esistente Nordenskiöld Land National Park affinché comprenda anche il fiordo Van Mijen (con ulteriori 2.914 km quadrati di area protetta). Purtroppo questa sembra solo un’oasi felice in quanto la situazione negli altri stati non è assolutamente così, cosa che abbiamo dovuto constatare appunto anche nella Germania.
Negli ultimi anni la transizione energetica è stata rallentata o addirittura bloccata dal governo tedesco. Ecco perché dipendiamo così tanto dai combustibili fossili
Afferma Juliane Dickel, responsabile della politica energetica e nucleare dell’organizzazione ambientalista Bund, riferendosi ai sedici anni al potere di Angela Merkel. La soluzione possibile? Lo stesso Dickel vede solo il vincolo energetico: le rinnovabili in rapida espansione. Il Paìs in merito alla questione tedesca degli ultimi giorni scrive un comunicato molto importante:
La Germania ha proposto di essere climaticamente neutrale entro il 2045, cinque anni prima dell’intera Unione Europea. Tra gli obiettivi intermedi c’è la riduzione del 65% delle emissioni (rispetto ai livelli del 1990) nel 2030 e dell’88% nel 2040.
Il Paese ha poi approvato la sua prima legge sul clima nel 2019 e ha dovuto riformarla nel 2021 per ordine della Corte Costituzionale: i magistrati hanno stabilito che l’Esecutivo ha violato i diritti delle prossime generazioni caricandosi sulle spalle la futura responsabilità di ridurre le emissioni di gas serra, mentre gli sforzi attuali sono solo “moderati”.