Gli uccelli migrano sempre prima, colpa del cambiamento climatico

Gli uccelli lo hanno capito molto prima di noi che qualcosa a livello climatico sta cambiando: dal 1811, infatti, anticipano di 2-3 giorni -ogni decennio- le migrazioni. Tutto questo lo afferma uno studio dell’Università di Milano che è stato pubblicato sulla rivista Ecological Monographs. L’oggetto di studio sono 684 specie provenienti da tutti i cinque continenti e dati riguardanti il fenomeno della migrazione, registrati dal 1811 al 2018. I dati sono stati messi a confronto inserendo la variabile del tempo (valutando, per ogni anno, in quali giorni iniziasse la migrazione per ogni specie) e quella geografica (le regioni geografiche di provenienza). Una metanalisi, insomma. Altro elemento da considerare le caratteristiche biologiche, ovvero, le abitudini migratorie, differenziando le specie che migrano su lunghe distanze (i migratori trans-continentali), quelle che si muovono entro continente e le specie stanziali. È interessante constatare che i più sbrigativi sono gli uccelli stanziali, altresì detti “residenti”. È importante considerare che anche se, tecnicamente, vengono definiti stanziali non vuol dire che non mostrino comportamenti migratori. Tutte le specie di uccelli migrano in una certa misura. Sono definiti stanziali quelli che compiono solo migrazioni stagionali, cioè quelli che viaggiano solo verso climi più caldi quando fa troppo freddo. Fatto sta che sono proprio loro quelli che hanno anticipato la migrazione più di tutti.

Stare al passo del cambiamento climatico

I risultati hanno portato alla luce grosse differenze. Gli anticipi fenologici sono stati maggiori tra le specie di stanziali che vivono nell’emisfero settentrionale rispetto quello meridionale. I migratori trans-continentali hanno evidenziato anticipi meno marcati rispetto quelli che si spostano solo entro il continente o che non effettuano migrazioni (i residenti). Inoltre, le specie che hanno una dieta generalista (dieta considerabile come onnivora) e i consumatori primari (ovvero gli animali che sono specializzati al consumo delle piante) tendono ad anticipare maggiormente le loro attività rispetto alle specie che adottano una dieta differente (chi è specializzato per nutrirsi di insetti o altre prede). Avendo la possibilità di utilizzare numerose risorse, le prime potrebbero essere più flessibili nello sfruttare quella disponibile nel momento in cui si presentano le condizioni idonee per migrare o riprodursi, mentre le seconde sarebbero avvantaggiate, rispetto a insettivori e predatori, nel non dover attendere lo sviluppo delle proprie prede (che è successivo a quello delle piante). Infine, le specie tendono ad anticipare maggiormente le loro attività nell’emisfero boreale e a latitudini più elevate, proprio laddove le temperature sono aumentate con maggiore intensità. Nel complesso, questo studio a livello globale sottolinea diversi modelli di variazione nel tempo che prima erano stati solo ipotizzati o verificati su scala locale, mostrando che varie specie stanno rispondendo ai sempre più pervasivi effetti dei cambiamenti climatici. Questi risultati potrebbero anche essere utili per identificare le specie più suscettibili agli effetti futuri del riscaldamento globale per eventuali interventi di tutela e conservazione. “Gli organismi stanno rispondendo alle variazioni ambientali ed ecologiche, ad esempio modificando la propria distribuzione verso regioni che sono diventate climaticamente più idonee, oppure attraverso un cambiamento delle tempistiche delle attività, come riproduzione e migrazione”, spiega Andrea Romano, primo autore dello studio. “Tuttavia, queste risposte si dimostrano spesso insufficienti per tenere il passo del cambiamento climatico e molte popolazioni hanno manifestato profondi cali demografici, tanto che si stima che il cambiamento climatico possa rappresentare la principale fonte di estinzione locale nei prossimi decenni”.

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