Le Piante Carnivore: pericolose o benefiche per l’uomo?

Le piante carnivore sono piante che intrappolano e consumano protozoi e animali, specialmente insetti, ma quali sono le loro proprietà? La loro digestione? E sono pericolose per l’uomo?

Le piante carnivore, chiamate anche piante insettivore, sono piante che intrappolano e consumano protozoi e animali, specialmente insetti e altri artropodi, al fine di ottenere i nutrienti essenziali per la loro crescita. Tale singolare caratteristica è il risultato di un adattamento ad ambienti quali paludi, torbiere o rocce affioranti, in cui il suolo, a causa della forte acidità, è scarso o completamente privo di nutrienti e, in particolare, d’azoto, che viene così integrato dalla pianta attraverso la digestione delle proteine animali.

Il primo a scrivere un trattato sulle piante carnivore fu Charles Darwin nel 1875.

Anche se nella nostra mente c’è la classica pianta con l’iconica bocca che si apre chiude, in natura esistono circa 600 specie di piante carnivore diffuse in tutto il mondo distribuite in circa 12 generi e 5 famiglie. In aggiunta alle citate, esistono in natura anche circa trecento specie di piante protocarnivore, divise in diversi generi, che possiedono alcune ma non tutte le caratteristiche per essere considerate vere carnivore. Prima di entrarci sulle modalità di “intrappolamento” della stessa pianta andiamo a delineare le sue caratteristiche.

Le piante carnivore sono delle piante erbacee, che in risposta alla carenza di nutrienti propria del loro habitat, si sono adattate a ricavare le sostanze nutritive dalla digestione delle proteine degli animali che riescono a recuperare attorno a loro. Questi vengono catturati per mezzo di trappole efficienti che derivano generalmente da foglie modificate. Il primo a coniare il termine di “pianta carnivora” fu Francis Ernest Lloyd, negli anni quaranta, mentre prima veniva utilizzato il termine di piante insettivore. Poiché queste piante non si nutrono soltanto di insetti, ma anche di altri artropodi o di altri piccoli animali, si è ritenuto fosse più corretto utilizzare il termine di piante carnivore.

Vivono in ambienti estremi come le torbiere e in suoli acidi e privi di calcio, con una bassissima concentrazione di sostanze nutritive quali azoto, fosforo o potassio.

Le piante carnivore presentano delle radici piuttosto piccole, soprattutto se le mettiamo in relazione alle dimensioni delle piante. Questo è dovuto al fatto che la pianta spende molta energia nello sviluppare delle trappole e nella produzione degli enzimi digestivi, piuttosto che accrescere la biomassa radicale. In questo modo il compito di assorbire l’azoto è affidato alle foglie piuttosto che alle radici.

Sono generalmente piante perenni, sebbene ne esistano anche di annuali. Molte vivono solo per pochi anni, mentre altre possono formare delle colonie per mezzo della formazione di stoloni.

Le piante carnivore inoltre sono delle deboli competitrici nei confronti delle altre piante. Se, per esempio, il loro habitat subisce dei drastici cambiamenti, come l’essiccamento, vengono prontamente rimpiazzate dalle piante non carnivore, molto più efficienti nel compiere la fotosintesi in ambienti “normali” rispetto alle carnivore. Tuttavia anche queste piante così particolari occupano comunque un loro spazio all’interno del mondo del linguaggio dei fiori (la natura non lascia mai nulla al caso). Difatti ognuna di loro possiede delle sfumature che sicuramente le tradizioni autoctone hanno fatto proprie ed al quale danno un significato preciso. Il loro aspetto non è per nulla casuale: sono di solito infatti a forma di imbuto o tasca, appaiono rigonfie e sono caratterizzate da colori accesi come il verde e il rosso.

Ed hanno una modalità di cattura molto subdola: attirano i piccoli insetti con il nettare, risucchiandoli appena posano le proprie zampette al loro interno, insomma delle vere e proprie trappole mortali.

Come intrappolano le prede?

Le piante carnivore hanno sviluppato cinque diversi tipi di trappole per la cattura degli organismi di cui si nutrono. Queste sono:

  • Trappole ad ascidio: le prede vengono intrappolate all’interno di una foglia a forma di caraffa, contenente enzimi digestivi e/o batteri;
  • Trappole adesive: la cattura avviene tramite una mucillagine collosa secreta dalle foglie;
  • Trappole a scatto o a tagliola: in seguito al rilevamento di una possibile preda per mezzo di parti sensibili, un rapido movimento delle foglie la immobilizza al loro interno;
  • Trappole ad aspirazione: la preda viene risucchiata da una struttura simile ad una vescica, l’utricolo, al cui interno si genera un vuoto di pressione;
  • Trappole a nassa: presentano dei peli che dirigono forzatamente la preda all’interno dell’organo digestivo.

Le piante carnivore per poter catturare una preda devono essere innanzitutto in grado di attirare a sé il malcapitato insetto o piccolo animale che sia. Quindi per fare ciò, questi vegetali possono servirsi di diversi “stratagemmi”, come stimoli visivi (le trappole delle piante carnivore possono presentare chiazze colorate) oppure attraverso stimoli olfattivi (alcune piante carnivore sono capaci di produrre profumi dolci in grado di attirare gli insetti). Una volta che la preda animale è stata attirata verso la pianta, i micidiali meccanismi d’intrappolamento delle piante carnivore ne impediscono la fuga, condannandola a morte certa nonché nutrimento per la stessa pianta. I meccanismi d’intrappolamento posseduti dalle piante carnivore sono come è possibile intuire dalla lista diversi, ma tutti ugualmente efficaci e letali. Ad esempio, alcune di esse sono dotate di peli ricurvi verso il basso che consentono all’insetto di entrare nella trappola rendendone tuttavia difficile, se non impossibile, l’uscita; altre piante, invece, presentano una superficie viscosa e/o appiccicosa che impedisce la fuga della malcapitata preda.

Una delle curiosità più affascinanti delle piante carnivore, dopo aver scoperto i loro metodi di intrappolamento è sicuramente la digestione. La digestione avviene per mezzo di appositi fluidi digestivi ricchi di enzimi (proteasi, fosfatasi, ribonucleasi) che possono essere prodotti in maniera autonoma dalla pianta, oppure da batteri presenti nell’organo digestivo.

Alcune specie di piante carnivore, invece sfruttano l’azione sia dei propri enzimi digestivi, sia l’azione di enzimi digestivi di natura batterica. Ovviamente grazie alla digestione delle prede, le piante carnivore sono capaci di assorbire sostanze nutritive importanti per la loro crescita, fra cui amminoacidi e azoto.

Inoltre alcune piante carnivore, per poter assorbire i nutrienti presenti nelle loro prede, si affidano al supporto di altri insetti o addirittura degli uccelli (quest’ultimo caso vale soprattutto per piante carnivore tipicamente tropicali – come quelle appartenenti al genere Nepenthes – in grado di raggiungere dimensioni considerevoli. Per quanto riguarda gli insetti che contribuiscono al fabbisogno nutritivo delle piante carnivore, ne esistono specie in grado di vivere su di esse pur senza esserne catturati. Tali insetti si cibano dei cadaveri delle prede catturate dalle piante carnivore e, dopo il pasto, depongono i loro escrementi sulle loro foglie. Solo a questo punto le piante carnivore saranno in grado di assorbire, dagli escrementi degli insetti che le popolano, le sostanze nutritive di cui necessitano.

Ma le piante carnivore possono essere usate anche per scopi medici?

Come la maggior parte delle piante anche quelle carnivore hanno delle proprietà medica non indifferenti. Le affascinanti modalità di “caccia“, nutrizione e sopravvivenza delle piante carnivore hanno spinto difatti numerosi ricercatori a indagarne più a fondo le proprietà e la composizione chimica, sia per comprenderne meccanismi e caratteristiche, sia per individuare nuove potenziali molecole ad uso farmacologico. I dati ottenuti non hanno certo deluso le attese: analizzando diverse piante carnivore, infatti, sono state identificate numerose interessanti molecole che potrebbero potenzialmente essere impiegate in ambito terapeutico.

Descriveremo alcuni esempi per avvallare l’ipotesi che la natura non lascia mai niente al caso.

La pianta carnivora più comune è senza dubbio il Venere acchiappamosche (dall’inglese Venus flytrap) e la composizione chimica di questa pianta si caratterizza per la presenza di naftochinoni (fra cui la plumbagina), flavonoidi ed acidi fenolici. Nel dettaglio, un interessante studio condotto in merito ha dimostrato che la stessa pianta contiene numerosi composti in grado di esercitare potenziali attività preventive e terapeutiche nei confronti di alcuni tipi di tumori, quali ad esempio i linfomi Hodgkin, il cancro al colon, il cancro alla prostata e il cancro al seno.

La Sarracenia purpurea appartiene al gruppo delle piante carnivore con meccanismi d’intrappolamento ad ascidio e anche questa pianta ha delle proprietà molto particolari. La sua composizione chimica si caratterizza soprattutto per la presenza di alcaloidi piperidinici, fra cui spicca la sarracenina. La S.Purpurea veniva utilizzata dalla medicina popolare come rimedio contro i disturbi digestivi e la costipazione e contro i disturbi delle vie urinarie. Inoltre, in passato, la medicina popolare utilizzava questa pianta carnivora addirittura come cura contro il vaiolo. Inoltre i Nativi Americani credevano che la S. purpurea non solo potesse salvare le vittime di questa malattia, ma che potesse anche essere utile nel prevenire la formazione delle tipiche cicatrici.

La pianta carnivora è quindi pericolosa?

L’idea che le piante carnivore possano essere pericolose per l’uomo ha da sempre attanagliato le generazioni. Si sono scritti libri, disegnato illustrazioni e realizzato film horror su piante “mangia-uomini”, ma alla fine dei giochi il contatto con queste piante, generalmente, non rappresenta un pericolo per l’uomo poiché i loro fluidi digestivi possiedono un’acidità piuttosto debole. Chiaramente, il discorso cambia qualora siano presenti allergie ad una qualsiasi delle molecole contenute all’interno degli stessi fluidi o della pianta, ma con allergie a determinate piante anche una margherita potrebbe risultare letale.

Ovviamente il consiglio è dato che si tratta di specie “molto particolari” in qualsiasi caso prima di maneggiarle e tentare di coltivarle, sarebbe ottimo informarsi dettagliatamente da esperti del mestiere, per assicurare loro le cure e le attenzioni dovute oltre che avere delle informazioni in merito alla loro “pericolosità”.

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