Gotham Knights, il co-op non è un optional

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Prendere un action single player e aggiungerci la possibilità di giocare in co-op è una scelta che in alcuni casi ha funzionato benissimo, ne è un esempio lampante la serie Halo.
Il genere di appartenenza del gioco, tuttavia, incide molto sulle dinamiche che regolano la collaborazione tra giocatori umani e nell’era attuale i titoli action devono fare i conti con aspetti che potevano essere ignorati fino a qualche anno fa, ma oggi richiedono addirittura un ruolo centrale.

Gotham Knights è un progetto dalle molteplici sfaccettature: si basa sicuramente su un concept interessante e coraggioso, una Gotham senza Batman. Il Cavaliere Oscuro è l’eroe DC più amato insieme a Superman, ma la città con il tasso criminale più alto mai visto ha sempre potuto contare nei fumetti sulla protezione di altri vigilanti, su tutti Robin, storico assistente del pipistrello dalla storia addirittura più travagliata di quella del signorino Bruce.
A partire dal primo, Dick Grayson, poi diventato Nightwing, passando per il secondo, Jason Todd, oggi Cappuccio Rosso, per finire con Tim Drake, l’attuale Robin, il pettirosso DC ha addestrato una generazione di vigilanti che insieme a Barbara Gordon nei panni di Batgirl forma il quartetto di cavalieri che dà il nome al gioco Warner Bros.
Un setting perfetto dove non poteva che essere naturale introdurre un’opzione co-op, permettendo così ai giocatori di combattere il crimine nella notte di Gotham in compagnia, sfruttando inoltre le caratteristiche peculiarità di ciascun personaggio.

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Una poltrona per due

Il co-op di Gotham Knights è di tipo drop in/drop out, quindi in qualunque momento si può ricevere un alleato nella propria partita o raggiungerlo nella sua senza particolari limitazioni (basta aver sbloccato il multiplayer dopo le prime missioni). Si può girare liberamente per la città, affrontare prove e sgominare crimini, oppure persino vivere le missioni della campagna principale in coppia. Solo in coppia, purtroppo.

Nonostante il quartetto lasci facilmente pensare alla possibilità di un co-op esteso a quattro giocatori, infatti, il multiplayer collaborativo della modalità principale è aperto a un massimo di due personaggi. Il motivo, come chiarito dallo stesso Patrick Redding, creative director del gioco, è legato al fatto che “ciò che è stato pensato per il single player non è facilmente scalabile a un’esperienza per quattro persone contemporaneamente“.
Design degli ambienti, battaglie contro i boss, tipologia e quantità dei nemici sono solo alcuni degli elementi che non è possibile adattare e rendere fruibili per uno come per quattro giocatori, così è necessario fare delle scelte e optare per un’esperienza o l’altra.

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Come è evidente ed è stato più volte ribadito, WB Games Montreal ha sempre voluto focalizzarsi sul rendere Gotham Knights un prodotto godibile in solitario, relegando il co-op a una semplice feature aggiuntiva per chi volesse affrontare il gioco in compagnia. Alcuni aspetti stridono un po’ con questa visione, come ad esempio alcune abilità dello skill tree disegnate appositamente per potenziare o curare “gli alleati”, che lasciano intuire ci fosse un’idea di base che puntava a far combinare le peculiarità di tutti e quattro i vigilanti concatenandone i risultati.

Con il limite imposto a massimo due giocatori, però, il co-op di Gotham Knights si rivela davvero fine a se stesso e si smarrisce all’interno di un’azione che in nessun caso si aspetta di valorizzare alcuna collaborazione. Si tratta semplicemente di giocare nello stesso ambiente, dando una mano nei combattimenti più numerosi o contro i boss, ma non ci sono combinazioni, nè enigmi, nè mosse speciali che arricchiscano l’esperienza; che si voglia o meno, poi, tutti i vigilanti combattono a mani nude e quindi non si può nemmeno sperare in una diversificazione dei ruoli del tipo “damage dealer + shooter” o simili.

Il massimo livello che siamo riusciti a raggiungere riguarda giusto alcune fasi specifiche, come disattivare le telecamere con Batgirl mentre il proprio compagno si intrufola indisturbato, o banalmente eseguire più KO furtivi contemporaneamente. In ogni caso, non siamo riusciti a cogliere un reale motivo per cui collegarsi in multiplayer co-op pubblico, mentre potrebbe avere magari senso condividere la campagna con un amico se si è entrambi appassionati DC.

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Sembra fatto apposta

WB Games non poteva certo liquidare la questione con una semplice intervista, così è stato annunciato che il co-op per quattro giocatori arriverà, ma con una modalità a se stante disegnata appositamente, Assalto Eroico, disponibile dal 29 novembre e di stampo “arena-like”, nella quale i vigilanti dovranno scalare 30 piani completando obiettivi e sconfiggendo nemici.

Nulla a che vedere con la campagna principale dunque, confermando quindi non solo le parole di Redding, ma anche una realtà già evidente: il co-op non è un optional. Non più almeno, non nei titoli action di oggi con mappe estese, obiettivi secondari, eventi live e un level design che rappresenta un parte massiccia della produzione. Rimarrà per sempre un’incognità il perchè Gotham Knights non sia stato pensato a priori con tutti e quattro i vigilanti in campo, così da costruire ambienti, missioni e combat system in maniera da poter passare facilmente da alleati controllati dalla CPU a co-op fino a quattro giocatori, ma l’impressione che il titolo non puntasse a candidarsi come gioco dell’anno era evidente già da prima; così, mentre uno o due personaggi si lanciano per le strade di Gotham a rischiare la vita per combattere il crimine, gli altri se ne stanno tranquilli al Campanile in chat audio.

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Lacune del gioco a parte, le parole di Redding rimangono di grande importanza: la storia videoludica degli ultimi 20 anni ci ha mostrato spesso che il co-op e i giochi si sono evoluti rispetto a quando stavano dentro a dei cabinati e non si può più sperare che la collaborazione tra giocatori umani, soprattutto se non locale, funzioni bene senza che sia stata pensata e integrata nel gameplay.
Alcuni shooter, su tutti Halo, riescono a essere esenti da questa “tassa”, ma molti altri titoli hanno mostrato enormi difficoltà nei loro co-op improvvisati: dai problemi tecnici al lancio di Dying Light 2 all’inutilità del co-op in giochi pensati come single player, ad esempio ICO o The Quarry, nei quali il secondo giocatore si limita a guardare o poco più.

Quando il co-op si limita a essere un bonus, una semplice opzione in più, il risultato non può essere positivo. Per questo motivo è capitato di vedere in passato timidi tentativi in giochi prettamente single player, nei quali le funzionalità co-op venivano isolate e limitate ad alcune missioni disegnate appositamente: pensiamo su tutti ad Assassin’s Creed Unity, che permetteva sì di giocare insieme ad amici ma non durante la campagna principale; un esperimento che non ha avuto seguito, ma quantomeno non ha ridotto la giocabilià dell’avventura single player di Arno Dorian.

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La potenza del co-op

Quantomeno nei giochi action, dunque, il co-op non è un optional, ma una filosofia che va ragionata e integrata nel gameplay sin dal design.
A questo punto, la storia ci insegna che esistono due strade da poter seguire: da un lato realizzare un prodotto pensato per funzionare esclusivamente in co-op, dall’altro cercare di renderlo comunque cardine ma lasciare la chance di giocare in solitario sopperendo tramite la CPU.

Rappresentante della prima di queste due filosofie è senza dubbio Josef Fares, director di Hazelight Studios e mente dietro ai recenti successi di A Way Out e soprattutto It Takes Two, premiato con il Game of the Year del 2021. Fares, in molte delle sue eccentriche interviste, ha sempre sostenuto come la forza di un videogioco fondato sul co-op umano fosse ineguagliabile e risulta difficile contraddirlo dopo aver giocato ai suoi titoli, capaci di regalare un’esperienza profonda che lascia ai giocatori molto più che qualche ora di divertimento.

Un esemplare della seconda categoria che merita di essere citato, invece, è Army of Two, che soprattutto con il secondo capitolo regalava un’ottima esperienza co-op quando in compagnia, discretamente coadiuvata dal CPU in assenza di un altro giocatore. Army of Two: The 40th Day non è stato un capolavoro, ma un gioco pensato per mettere due amici sul divano a parlarsi e collaborare grazie a un gameplay costruito per valorizzare quest’interazione, con diverse sezioni di gioco in cui una scarsa coordinazione poteva tradursi facilmente in una disfatta. Non è solo qualcosa che deve venire dai giocatori, ma deve essere il design a favorirla: così features come l’Aggro e la falsa resa diventano elementi chiave del gameplay, rendendo l’esperienza co-op più coinvolgente rispetto al single player.

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I cavalieri solitari

Gotham Knights, che sarebbe dovuto appartenere chiaramente alla categoria di giochi pensati per il co-op in cui la CPU sopperisce quando si gioca da soli, decide di non affondare il colpo e rimanere ai blocchi di partenza.
Un gioco in cui ogni aspetto del concept grida al co-op, ma che viene reso orfano dalla mancanza di coraggio o dalla scarsa visione del design.

In particolare, la scelta che stride di più è che Gotham Knights poteva e doveva essere pensato per quattro giocatori. Batman è morto e la conseguenza è che Gotham è più buia che mai, soprattutto con nuovi letali nemici che vengono allo scoperto: se il Cavaliere Oscuro non è bastato, sarebbe soltanto naturale che i vigilanti affrontassero la minaccia tutti insieme per poter avere la meglio.
Un’occasione perfetta per il multiplayer co-op e per arricchire un combat system action che di base non può contare su Batman e i suoi innumerevoli gadget, ma avrebbe potuto far leva sulla collaborazione tra Nightwing, Cappuccio Rosso, Batgirl e Robin, introducendo magari mosse in combo o sezioni esplorative che richiedessero interazione.

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Nonostante queste enormi possibilità, Gotham Knights si limita invece a scegliere di volta in volta uno dei quattro personaggi per pattugliare la città e affrontare le varie missioni, da solo, Stona proprio, tra le altre cose, vedere che il nostro eroe sta rischiando la vita contro super nemici od organizzazioni criminali e nessuno degli altri tre (o due, se nel frattempo si è in co-op), è al suo fianco per aiutarlo.
Il risultato finale è che il drop-in di un amico nella propria partita rimane irrilevante e accessorio, inutile persino a fornire chissà quale supporto nei combattimenti.

Qualunque altro gioco avrebbe potuto evitare di inserire la funzione co-op del tutto e nessuno se ne sarebbe accorto; d’altronde, anche in Gotham Knights i veri problemi sono ben altri.
Il concept, tuttavia, oltre al fatto di aver aggiunto l’opzione già al lancio, pone un riflettore su questa possibilità ma indipendentemente da come lo si vuole analizzare, quello di WB Games Montreal sul co-op sembra da ogni punto di vista un fallimento. Forse, un modo bizzarro di ribadire che Batman è morto e i cavalieri di Gotham non sono all’altezza di rimpiazzarlo.

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