L’inquinamento non si limita solo a quello che vediamo sulla superficie terrestre. Ogni volta che alziamo gli occhi al cielo possiamo vedere, anche se non ce ne rendiamo conto, una delle più estese discariche a cielo aperto. Questo perché, in seguito ai sempre più frequenti lanci di satelliti, principalmente per uso commerciale, razzi ausiliari e armi antisatellite, la quantità dei detriti spaziali è notevolmente aumentata negli ultimi anni.

Secondo la Space Force americana sono circa 19’000 i detriti spaziali identificabili che vagano nell’orbita terrestre e provengono principalmente da USA, Cina e Russia. La maggior parte di questi sono grandi almeno 10 centimetri. Se poi si dovessero considerare anche i detriti di piccole dimensioni non identificati, la quantità di questi potrebbe superare addirittura le centinaia di milioni di unità.

Il primo vero accumulo è stato causato nel 2007 con la distruzione intenzionale del satellite meteorologico cinese FengYun-1C in un test di armi antisatellite. Nel 2009 avvenne una collisione tra i satelliti Iridium-33 e Kosmos-2251. Nel 2021 Kosmos-1408 venne poi distrutto dalla Russia per un altro test di armi antisatellite.

Il problema di questi frammenti è che, oltre a essere un rischio per i satelliti funzionanti, possono essere un danno anche per lo strato di ozono, il quale potrebbe venire ridotto dalla combustione di frammenti di satellite che bruciano rientrando nell’atmosfera. Inoltre, l’aumento di questi detriti potrebbe rendere inospitale l’orbita terrestre impedendo il lancio di nuovi satelliti.

Il processo di pulizia dell’atmosfera è però complesso a causa di difficoltà tecnologiche, economiche e geopolitiche. Quest’ultimo perché i detriti potrebbero finire nelle mani sbagliate che potrebbe ottenere dei dati sensibili. Perciò, secondo la OECD (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) ciascuna nazione dovrebbe limitarsi a recuperare i propri detriti e quelli dei suoi alleati.