In seguito all’aumento dei costi dell’energia, gli italiani si muovono sempre di più verso l’impiego di stufe a legna o a pellet per riscaldarsi. Il riscaldamento domestico è una delle principali fonti di polveri sottili che, in alcune zone, raggiunge livelli critici. Una delle domande che ci si pone è quanto questo sistema di riscaldamento possa impattare sulle emissioni e sull’ambiente.

La risposta a questa domanda è stata fornita dall’Associazione Italiana Energie Agroforestali (Aiel) nel Libro Bianco sul futuro del riscaldamento a legna e pellet, stilato nel 2021. Il riscaldamento domestico produce il 54% delle emissioni primarie di PM10 in Italia e sono principalmente prodotte dalla combustione di biomassa a livello casalingo.

In totale, considerando le fonti di emissione primarie e secondarie, il riscaldamento domestico è la terza fonte di emissioni con il 17%, dopo trasporto su strada e agricoltura. Il motivo principale è legato a stufe e caminetti che impiegano tecnologie di combustione obsolete. Circa il 70% degli apparecchi sono stati installati più di 10 anni fa e contribuiscono per l’86% alle emissioni di PM10 derivanti dalla combustione della biomassa.

Al contrario, i moderni apparecchi sono caratterizzati da emissioni dalle 4 alle 8 volte inferiori: mentre una vecchia stufa a legna ha un fattore di emissione pari a 480 mg/Nm3, una stufa moderna emette dai 20 ai 30 mg/Nm3. I camini aperti invece emettono oltre gli 860 mg/Nm3 di PM10.

La soluzione più ecologica sarebbe quindi quella di sostituire gli apparecchi obsoleti con altri di nuova generazione. Alcune regioni, come il Veneto, si stanno muovendo per spingere i cittadini a convertire i propri sistemi di riscaldamento con altri più sostenibili.