Nelle acque reflue in alcuni impianti di scarico in Pennsylvania sono state ritrovate alte concentrazioni di farmaci impiegati per il trattamento delle infezioni da Sars- Cov-2. Secondo studio pubblicato sul Journal of Environmental Quality queste concentrazioni sarebbero abbastanza elevate da poter essere dannose per la fauna marina.
Lo studio è stato condotto raccogliendo, da maggio 2020 a maggio 2021, con cadenza settimanale, dei campioni di acque reflue in entrata e in uscita in due impianti di scarico della Pennsylvania. Questi campioni sono stati poi analizzati per cercare di tracce del Sars-Cv-2 e di farmaci utilizzati per trattarne l’infezione.
Tra i farmaci rintracciati, i più comuni erano gli antidolorifici, anche se questi non sono collegati al trattamento dell’infezione da coronavirus, ma sono state ritrovate concentrazioni elevate di un farmaco usato per curare l’artrite, il Naprossene, al punto che può rappresentare un rischio medio-basso per gli organismi acquatici.
Sono state poi trovate alte concentrazioni di Remdesivir e Desametasone, utilizzati soprattutto per curare i pazienti ospedalizzati. Non è però possibile calcolare il rischio preciso di questi due farmaci per la vita marina, anche se le alte concentrazioni di quest’ultimo potrebbero essere dannose per i pesci.
Ci sono poi gli antibiotici, come il Trimetoprim che presenta anch’esso un rischio medio-basse per gli organismi marini. Viceversa il Sulfametossazolo potrebbe essere molto dannoso per le alghe, il cibo di molti animali acquatici.
L’aumento delle concentrazioni dei farmaci potrebbe essere connesso a un uso maggiore che ne è stato fatto durante la pandemia. È importante sottolineare che questi calcoli non tengono conto dell’effetto combinato dei diversi farmaci, che potrebbe essere molto peggiore.
Heather Preisendanz, un’autrice dello studio