Uomini e donne si ammalano in modo diverso di Covid, ma diverso è anche il modo di rispondere ai vaccini contro la malattia. Le donne sembrano rispondere meglio alla vaccinazione, ma sembra anche che gli effetti calino molto più velocemente rispetto agli uomini.
Al Congresso Internazionale di Medicina di Genere, ospitato al Centro Congressi di Padova sono stati presentati i risultati di uno studio preliminare dell’ISS (Istituto Superiore di Sanità) in cui sono state esaminate le diverse risposte ai vaccini negli operatori sanitari.
I ricercatori hanno raccolto i dati di 136 maschi e 385 femmine tra gli operatori sanitari a cui sono state somministrate due dosi di vaccino. Gli anticorpi sono stati misurati per tutti a distanza di 16 giorni, 77 giorni e 154 giorni dopo la seconda dose. Il risultato è che il personale sanitario femminile ha mostrato titoli anticorpali anti-Spike 1,7 volte più alti rispetto ai maschi.
Ciò significa che la risposta è più elevata nelle donne, ma 154 giorni dopo la seconda dose gli anticorpi sono diminuiti significativamente, in particolare nelle donne che hanno visto un calo molto più drastico, raggiungendo così lo stesso livello tra donne e uomini.
In generale, la risposta anticorpale è di diversa entità in lavoratori e lavoratrici e questo può aiutare a mettere in campo strategie di sorveglianza sanitaria più personalizzate. Le donne sono più immunoreattive, rispondono meglio alle infezioni, e anche nel Covid è cosi’.
Ma c’è un rovescio della medaglia: le donne sono più interessate da disordini autoimmunitari, hanno reazioni avverse ai vaccini più frequenti e di maggiore entità rispetto agli uomini. Mentre i cosiddetti ‘non responders’, che non sviluppano anticorpi protettivi a seguito delle vaccinazioni, sono più spesso di sesso maschile.
Anna Ruggieri, ricercatrice ISS
Sono stai individuati anche dei marcatori biologici che sono specifici sulla base del sesso che possono predire la progressione del covid in uomini e donne.
In particolare gli ormoni sessuali hanno un impatto importante sul Covid, e oltre al loro possibile utilizzo come biomarcatori predittivi della severità della malattia, potrebbero rappresentare anche marcatori della risposta alla vaccinazione, ma ulteriori studi saranno necessari per confermare questa ipotesi. Disaggregare i dati in base al sesso permetterà di evidenziare eventuali differenze e di mettere in atto percorsi di prevenzione, diagnosi e cura personalizzati in base al sesso.
Elena Ortona, direttrice del reparto di fisiopatologia del Centro di Riferimento per la Medicina di Genere dell’ISS