Les Miens, la recensione: da un estremo all’altro

Our Ties

L’analisi di un microcosmo permette la messa a fuoco delle singole parti che agiscono all’interno di esso, perché ogni forza funziona solo in relazione con l’altro, o con l’altra. Nei legami, da sempre, scopriamo noi stessi. Formula elementare, universale e, soprattutto, trasversale, dato che non esige vincoli né sulla costellazione presa in esame, né sulla cornice all’interno della quale viene posta. Rimane una tendenza: tra tutti quanti i sistemi possibili si sceglie solitamente quello famigliare. E per più di una buona ragione.

Nella recensione di Les Miens (titolo internazionale: Our Ties) vi parliamo del sesto lungometraggio da regista (e da protagonista) dell’affermato attore francese di origini marocchine Roschdy Zem, in concorso a Venezia79, edizione, tra l’altro, in cui l’interprete recita in un altro film in corsa per il Leone d’oro (momento Trivia, scusate). Si tratta della pellicola più intima di Zem, arrivato, evidentemente, ad una sicurezza tale da sentirsi in grado di potersi occupare tematiche più delicate, che decide di affrontare circondandosi di persone affini e professionisti che stima. Forse un po’ per ricreare quella vecchia regola in cui il risultato del lavoro di solito è lo specchio dell’ambiente in cui è stato concepito.

In questo caso lo scopo era fare un film sulle relazioni di una famiglia ritratta soprattutto con dolcezza, tenendo fuori qualsiasi tipo di discorso altro, che fosse culturale, religioso, sociale o politico.

Scrive la pellicola insieme a Maïwenn Le Besco, sua collega di lunga data, che recita anche nel film come coprotagonista, e sceglie come attore principale Sami Bouajila, un altro suo aficionado con cui collaborò per Omar m’a tuer, tra l’altro la pellicola marocchina proposta per gli Oscar al miglior film straniero nel 2012.

Il lavoro più intimo di Roschdy Zem si concentra sull’importanza della famiglia e su come sia difficile riuscire a porsi all’interno e in funzione di essa, affermando con forza che riuscire a farlo è una cosa che si deve soprattutto a noi stessi, dato che anche la fuga, a volte, non è la scelta giusta.

“La botta in testa”

“La botta in testa” a livello narrativo viene spesso adoperata come allegoria di un risveglio, di un trauma rivelatorio, oppure, al contrario, come un espediente irreversibile per assentarsi, un banale modo di non affrontare un qualcosa che ci farebbe stare troppo male.

In Les Miens ce ne sono due, una per tipo.

Partiamo dall’ultima descritta. Essa interessa il buon Moussa (Bouajila), uno dei numerosi fratelli che compongono la sua altrettanto numerosa famiglia, protagonista di una dolorosissima separazione dalla moglie con cui ha i suoi tre figli. Da sempre un uomo pacato, docile e fin troppo permissivo, dopo l’incidente che gli comporta il trauma cranico egli cambia non solo nell’aspetto e nello stato di salute, ma, soprattutto, diventa l’esatto opposto di quello che era prima.

Da uomo scontroso, indisponente e violento con tutti sconvolge gli equilibri dell’intero sistema famigliare.

Our Ties

L’altra tipologia ha invece come protagonista un altro dei fratelli, Ryad (Roschdy), l’uomo di successo, giornalista sportivo e frontman di una di quelle trasmissioni che riescono a quietarmi perché parlano di fuorigioco per tre ore facendolo passare come il più grande problema sulla faccia della Terra. Cosa c’è? Che è quella faccia? Ognuno ha i suoi feticismi, che volete?

Guardando all’incidente del fratello e alle conseguenze che sta avendo su gli altri e su di sé, l’omone di casa tutto lavoro e niente riflessioni deve cominciare a fare i conti con le sue mancanze nei confronti dei suoi affetti e, soprattutto, con i sentimenti che prova per loro, arrivando, mano a mano, ad acquisire consapevolezza piena su cosa ha sbagliato e dove deve cambiare per trovare un posto che, nonostante l’età e il successo, non sente ancora come suo garante di felicità.

La violenza sta nella mancanza di comunicazione

Zem crea un impianto tradizionale (e anche un po’ italiano) nel suo voler rappresentare un sistema famiglia apparentemente idilliaco, anche visivamente, infatti li mette tutti intorno ad una tavola a discutere delle cose quotidiane che tanto infastidiscono ai pranzi di Natale, ma che poi non vediamo l’ora di rifare (inconsciamente) l’anno successivo.

Prima dell’incidente infatti ci viene trasmessa un’immagine da allegra combriccola, filtrata però dallo sguardo del personaggio di Bouajila (bravo, forse il più bravo in questo film), che è da subito perso, incavato, preso da una incredibile violenza e quasi punito con la caduta dal “peccato” di avere trovato una scappatoia temporanea al lutto per la fine del suo matrimonio.

Il centro della sua sofferenza è nel silenzio a cui è condannato dalla sua ex moglie, diverso, ma uguale a quello rumoroso che regna nei rapporti tra Ryad e coloro a cui vuole bene.

 

C’è una frase molto significativa in questo senso, che viene detta all’uomo dalla sua compagna, la quale lo accusa di volere sempre loro vicino a lui, salvo poi non notarli praticamente mai.

La famiglia poggia molto del suo equilibrio sullo status dei due fratelli, uno centro delle preoccupazioni e l’altro capro espiatorio di tutti, ma anche di tutti punto di riferimento. Nell’imparare l’uno dell’altro il modo in cui si relazionano alla vita, fatta di prove di forza, ma anche di grandi momenti di fragilità, essi portano la famiglia ad un nuovo e più stabile equilibrio. Chiave di una ricongiunzione generale che alla fine trova il suo basamento nell’affetto che lega tutti quanti.

Les Miens è una pellicola che affonda le sue radici in un tipo di cinema francese più leggero e domestico, ben rodato da titoli su titoli e che sta ritrovando recentemente una sua valenza non solo al livello festivaliero, ma anche nella selezione dei premi più importanti. Se ci pensate lo stesso CODA – I segni del cuore, premiato come miglior film agli ultimi premi Oscar, è tratto da La famiglia Bélier, che è una pellicola francese sempre con al centro le relazioni che si instaurano all’interno di un contesto, appunto, famigliare. Con tutte le differenze del caso rispetto a questo titolo, ma la trasversalità del genere era tra le premesse. Zem dal canto suo dimostra di trovarsi molto più a suo agio al timone di questa nave, specialmente rispetto all’ultimo film, il brutto thriller Persona non grata. Un’opera dunque più tradizionale e sentita, molto classica nello sviluppo e che riesce a toccare molte tematiche, tra cui quella dell’accudimento per evitare di accudirsi, della demenza, dell’emancipazione, dell’elaborazione del lutto e dell’esercizio della dolcezza, che, alla fine, può salvarci tutti.

Segui la nostra copertura del Festival di Venezia dal 31 Agosto al 10 Settembre direttamente dal Lido sul nostro hub dedicato: leganerd.com/venezia79

65
Les Miens
Recensione di Jacopo Fioretti Raponi

Les Miesns (titolo internazionale: Our Ties) è il sesto lungometraggio da regista del celebre attore francese Roschdy Zem ed è in concorso a Venezia79. L'interprete è anche, come sua consuetudine, anche uno dei protagonisti della pellicola, insieme ad un numeroso cast capeggiato da Sami Bouajila e Maïwenn Le Besco. Si tratta di una dramma familiare di stampo francese molto tradizionale, che pone al centro uno squilibrio nel sistema a causa di un incidente di un uno dei membri più importanti, il quale porta a mettere in discussione i rapporti di tutti e soprattutto la pozione dell'altra colonna fondamentale. La pellicola è molto intima, delicata e piena di una dolcezza sincera, chiara nelle tematiche che affronta e godibile dall'inizio alla fine, pur non brillando particolarmente se non nella trovata della mancanza di comunicazione come violenza più grande.

ME GUSTA
  • La prova del cast è molto buona.
  • La metafora della "botta in testa" è assolutamente ben riuscita.
  • La pellicola ha il corretto minutaggio e non stanca mai.
  • Le tematiche presenti emergono tutte in modo chiaro.
FAIL
  • La pellicola è tradizionale e in parte batte terreni già visti.
  • La risoluzione può risultare abbastanza prevedibile.
Eismayer, la recensione: la battaglia per diventare se stessi
Eismayer, la recensione: la battaglia per diventare se stessi
Chiara, la recensione: il ritratto di una santa rivoluzionaria
Chiara, la recensione: il ritratto di una santa rivoluzionaria
Bentu, la recensione: per ogni cosa c'è il suo tempo
Bentu, la recensione: per ogni cosa c'è il suo tempo
Ti mangio il cuore, la recensione: un racconto di vendetta che si ripete
Ti mangio il cuore, la recensione: un racconto di vendetta che si ripete
When the Waves are Gone, la recensione: quando la corruzione dilaga
When the Waves are Gone, la recensione: quando la corruzione dilaga
A Man - Aru Otoko, la recensione: uno, nessuno e centomila
A Man - Aru Otoko, la recensione: uno, nessuno e centomila
Dreamin' Wild, la recensione: Casey Affleck e i sogni che si realizzano in ritardo
Dreamin' Wild, la recensione: Casey Affleck e i sogni che si realizzano in ritardo