The Son, la recensione: essere padri, essere figli

recensione di The Son

Cominciando questa recensione di The Son possiamo fin da subito dirvi che anche oggi le lacrime in quel di Venezia non sono mancate. Florian Zeller arriva nell’ottava giornata del Festival con un nuovo adattamento cinematografico tratto da una sua stessa opera teatrale.

Infatti, dopo The Father che nel 2021 lo ha portato a molteplici candidature, tra cui sei all’Oscar di cui due vinti con Miglior Sceneggiatura Non Originale e Miglior Attore Protagonista ad Anthony Hopkins, Florian Zeller torna tanto dietro la macchina da presa quanto alla sceneggiatura con The Son, tratto appunto da Le Fils, ultimo capitolo della trilogia composta da La Mère e Le Père.

L’adolescenza non è un periodo facile; o per lo meno, non lo è per tutti. E fidatevi, chi scrive è una persona che l’adolescenza l’ha fatta nera e l’ha fatta passare male a chi le stava accanto, genitori soprattutto. Non è facile gestire un figlio a quell’età. E per quanto si, tutti siamo stati sedicenni incazzati, le generazioni cambiano, i problemi cambiano e anche i sedicenni non sono gli stessi della nostra adolescenza.

Credo che l’effetto sia un po’ come quello di Billy Peltzer che una sera si ritrova un cosetto morbidino, pelosino e dolcino di nome Gizmo, il giorno dopo è circondato da un esercito di mostricciatoli malefici e spietati dalle orecchie a punta, il corpo verde e gli occhi rossi, meglio definiti come gremlins.

Ecco, io immagino che per un genitore un figlio adolescente sia un po’ come il passare da Gizmo a Ciuffo Bianco in una notte, senza nessun tipo di preavviso, senza le istruzioni per l’uso, consapevole che qualsiasi parola o azione potrebbe essere usata contro di lui.

Nessuno può davvero prepararti a quel momento. Nessuno può dirti cosa aspettarti, soprattutto perché ogni famiglia è diversa, ogni adolescente è differente così come ogni situazione.

Questo lo sperimentano sulla loro stessa pelle Peter (Hugh Jackman) e Kate (Laura Dern), divorziati da diversi anni e con un figlio adolescente da guidare, Nicholas (Zen McGrath). Mentre Kate è rimasta un po’ intrappolata in quel senso di vuoto che il suo matrimonio finito le ha lasciato, sentendosi una madre inadeguata, spaventata dallo sguardo arrabbiato, feroce e terribilmente infelice di suo figlio, Peter si è letteralmente costruito una nuova vita.

Avvocato di successo pronto a lanciarsi in una carriera politica, convive con la compagna più giovane Beth (Vanessa Kirby) e da pochi mesi hanno un neonato a tormentarli durante la notte, Theo.

Purtroppo dopo il divorzio, Peter e Nicholas si sono allontanati. O meglio, mentre Peter è convinto di svolgere comunque adeguatamente il suo ruolo di padre, Nicholas viene divorato da una voragine che di giorno in giorno diventa sempre più grande, sempre più profonda, portando a provare un senso di enorme sconforto e dolore nei confronti della vita.

Ci prova in tutti i modi a lanciare segnali, a far comprendere il suo disagio anche se lui stesso non riesce a trovare le parole giuste per potersi esprimere, per poter giustificare quello che ha dentro ed, infatti, sfoga quel tipo di dolore sul proprio corpo. Non potendo dare una spiegazione razionale a quella sofferenza, a quello stato di perenne infelicità, Nicholas incide la sua pelle dando della fisicità a quel dolore, creando una frattura ancora più grande tra lui e suo padre.

I due ci provano a trovare un punto di contatto, un modo per capirsi, dialogare. Nonostante il parere contrario di Beth, Peter lascia trasferire Nicholas a casa con loro alla ricerca di una nuova routine, sperando che il tempo possa risolvere il tutto, ignorando l’allarme incessante di quell’elefante nella stanza chiamato… depressione.

La tragicità della malattia mentale

recensione di The Son

Proseguendo questa recensione di The Son, ciò che fa Florian Zeller è mettere in scena una dinamica abbastanza familiare per chi in prima persona, da una parte o dall’altra, ha vissuto il doversi confrontare con un parente depresso, in particolar modo un figlio così giovane.

Comprendo che dall’esterno l’esasperazione di alcuni gesti, di alcune parole, di alcuni tormenti possa sembrare fin troppo teatrale, melodrammatico e che “l’inadeguatezza” dei genitori lascia sbigottiti e a bocca aperta, eppure Zeller mette in scena la realtà dei fatti, nuda e cruda.

Non c’è un libretto di istruzioni e spesso la “sordità” nei confronti di quel tipo di situazioni e la sola arma di difesa, per quanto sbagliata possa essere.

È molto potente il modo in cui il regista e drammaturgo francese rappresenta l’esasperazione di quella situazione; il sentirsi in trappola, spalle contro il muro, completamente impotenti e prosciugati.

Hugh Jackman porta sul grande schermo un padre che ci prova a dare il meglio di sè e si autoconvince che il figlio possa davvero guarire dal nulla, solo col tempo, solo con l’affetto, ma in questi casi l’amore non basta, non basta mai, per quanto assurda questa frase possa essere.

La frustrazione è un sentimento condiviso da entrambe le parti. Ci si sente muti pur usando tutta l’aria che abbiamo nei polmoni, e per quanto il film di Zeller a tratti possa sembrare prevedibile, stucchevole e perfino prolisso, riesce perfettamente ad incarnare quel tipo di incomunicabilità che si va a creare tra un genitore ed un figlio.

Cosa devo fare con te?

Facendo i conti con il suo stesso passato, ci si ritrova a ripercorrere le orme dei propri padri. Per quanto Peter si ripeta che no, non sarà mai come suo padre, eppure gli errori che commette sono esattamente gli stessi, o quasi, dimenticandosi che a sua volta è stato un figlio deluso. Così come Kate, completamente bloccata nelle sue paranoie di madre, moglie tradita, donna abbandonata; oppure Beth, incapace di mettersi completamente nei panni del compagno, più spaventata che preoccupata dal comportamento di Nicholas.

recensione di The Son

Viene portato in scena lo scetticismo che al giorno d’oggi ancora sussiste nei confronti della psicologia e psichiatria, nella cura e riconoscimento delle malattie mentali come la depressione o l’ansia. Siamo ancora di fronte a persone che nei confronti di un attacco di panico sono capaci a dirti di “stare più rilassato” oppure essere “più calmo”; quelle stesse persone che non sanno che la depressione si nasconde anche dietro ad un sorriso, perfino ad una risata o che “non hai nessuna motivazione per essere triste, c’è chi sta peggio”, come se fosse una costante gara.

La sensibilizzazione sulla salute mentale è un tema ancora troppo inesplorato e che avrebbe bisogno di una maggiore rappresentazione. In parte Zeller ci riesce con il suo film ad aprire un piccolo spiraglio, portando in scena questo rapporto drammatico che appesantisce il cuore dal primo all’ultimo minuto.

Tra teatro e vita reale

recensione di The Son

La solennità di The Son risiede nella sua natura teatrale, ma anche nel suo attingere, come abbiamo visto, a piè mani dal reale, cercando di portare lo spettatore tanto nei panni di Peter quanto in quelli di Nicholas, forse lasciando un po’ troppo sullo sfondo Kate e Beth.

Un bidimensionalità della figura materna che potrebbe far storcere un po’ il naso, giustificata unicamente dal senso di colpa dell’uomo nei confronti del figlio, nei confronti della sua prima famiglia e quindi sguardo con cui inquadrare l’intera storia. Un senso di colpa pesante come pesante è il corpo di Peter, possente eppure affaticato, giorno dopo giorno.

In questo un plauso va tanto a Zeller sulla scrittura del personaggio quanto a Hugh Jackman che attraverso sguardi e movimenti riesce a far percepire allo spettatore quella pesantezza dettata dalla paura, frustrazione ed impotenza che cresce giorno dopo giorno.

Colpisce soprattutto il cambio repentino di alcune emozioni. Se per un attimo un voto altro sembra suscitare motivo di enorme orgoglio o se un pomeriggio spensierato in famiglia porta a pensare che tutto si sta risolvendo, basta un nuovo taglio, un nuovo giorno saltato a scuola, una nuova lacrima per far crollare questo fragilissimo equilibrio. E qui il merito della veridicità sta tutto negli attori, in modo particolare dall’armonia creata dal rapporto tra Jackman e il giovanissimo Zen McGrath.

recensione di The Son

Sicuramente però The Son, facendo un paragone col precedente e magnifico The Father, è un film molto sofisticato. Un film a tratti prevedibile, perfino ridondante in alcune sequenze. Un film girato in sottrazione e non sempre nel modo giusto. Perfino caotico, anche per rappresentare il disagio vissuto da tutte le parti recitanti sulla scena.

Non tutto riesce a convincere effettivamente di questa pellicola che parla più al cuore che agli occhi. Coinvolge per il suo lato più emotivo ed empatico che per quello tecnico, restando in quel senso un film nella media. Non è graffiante, claustrofobico o a tratti perfino geniale come The Father.

È un film più piccolo, più semplice ma forse perfino più sofferente, volutamente patetico in quella disperazione a cui non sempre può essere trovata una cura. E diciamolo, va bene così. Non tutti i film devono essere mastodontici per essere dei bei film.

Nei panni del figlio

recensione di The Son

Ad un primo sguardo il Nicholas di Zen McGrath potrà sembrare un ragazzino odioso. Vi verrà da urlargli contro che non sarà il primo né l’ultimo figlio di genitori divorziati. È un istinto naturale, è normale, è esattamente quello che Zeller vuole trasmettere allo spettatore. Lentamente però l’interpretazione di questo giovane attore, che sicuramente avrà ancora tempo e modo per potersi perfezionare, vi crescerà dentro.

Sarà più facile comprendere alcuni dei suoi gesti, delle sue parole. Sarà più dolorosamente facile perdersi nella sua disperazione, prima silente e poi estrema. Quel dolore così profondo, così intenso da non lasciare scampo.

Io non sono fatto per vivere questa vita.

Florian Zeller si ammanta di un cast stellare ma per il suo Nicholas punta su un esordiente, una scommessa anzichè prendere la più consolidata giovane promessa, come un Chalamet che ormai in questo genere di ruoli ci sguazza.

L’immaturità attoriale di McGrath riesce a renderlo perfino più convincente, più autentico. Lui e Hugh Jackman riescono a bilanciarsi perfettamente ognuno nel suo ruolo, dividendo la scena senza cannibalizzarsi nonostante l’importante divario di esperienza e carriera.

recensione di The Son

Decisamente meno imponenti, come si sottolineava nei paragrafi precedenti, l’interpretazione e la presenza di Laura Dern e Vanessa Kirby, lasciando completamente lo spazio agli altri due.

In conclusione di questa recensione di The Son, per quanto Florian Zeller non si doppi in un nuovo capolavoro come The Father, scivolando di tanto in tanto nel didascalismo, nella ridondanza di alcune scene e in un approfondimento non proprio paritario, il dramma autentico di questa storia cresce dall’inizio alla fine, emozionando, parlando al cuore e con il cuore e, si spera, aprendo anche uno spiraglio sulla malattia mentale, le malattie invisibili e sull’importanza di imparare ad ascoltare il silenzioso dolore di chi ci sta intorno, senza aver paura di chiedere aiuto a chi ne sa di più, prima che sia troppo tardi.

Segui la nostra copertura del Festival di Venezia dal 31 Agosto al 10 Settembre direttamente dal Lido sul nostro hub dedicato: leganerd.com/venezia79

 

78
The Son
Recensione di Gabriella Giliberti

Florian Zeller per quanto non firmi un nuovo capolavoro come The Father, porta sul grande schermo con The Son una storia più piccola ma potente. Una storia di genitori e di figli, di ombre del passato, di impotenza e di dolore. Un film che cresce dentro, drammatico ed emozionante che porta lo spettatore ad immergersi nel ruolo difficoltoso di un genitore messo letteralmente alla prova tanto da un figlio quanto dalla vita stessa, sottolineando come le richieste d'aiuto possano presentarsi nei modi più disparati.

ME GUSTA
  • Emozionante ed empatico, un racconto veritiero che tocca al cuore e porta lo spettatore a rivedersi, in un modo o nell'altro, nei personaggi
  • La perfomance di Hugh Jackman nei panni di un padre solido e sicuro che, giorno dopo giorno, cede al peso dell'impotenza nei confronti della sofferenza del figlio
  • Zen McGrath sicuramente una rivelazione che con il tempo potrà dare grosse soddisfazioni
  • L'aprire uno spiraglio sull'importanza della rappresentazione ed informazione delle malattie mentali
FAIL
  • Le figure femminili troppo lasciate sullo sfondo, poco approfondite, quasi marginali
  • Una messa in scena decisamente meno elegante e potente rispetto al suo predecessore
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