Quando si pensa al western negli anni 2000 non può che suscitare istantaneamente una certa dose di malinconia, sia il revisionismo tarantiniano (forse soprattutto quando si pensa al revisionismo tarantiniano), le favole nere dei Coen o le lussuose forzature sul genere di Dominik. Se poi a misurarcisi, di nuovo, c’è un regista over 70 aficionado e che manca da tempo sul grande schermo, le cose precipitano ulteriormente, anche se tutte le intenzioni dell’autore in questione sono quelle di portare la tradizione a sposarsi con la contemporaneità.
Impresa titanica, a dir poco, ma sicuramente encomiabile.
Nella recensione di Dead for a Dollar vi parliamo dell’ultima pellicola del grande Walter Hill, scritta da Matt Harris, presentata Fuori Concorso a Venezia79 e tratta da una storia vera (pare), ovvero l’ennesima espressione di un grande regista di film di genere che ha fatto western come Geronimo, I cavalieri dalle lunghe ombre o, più recentemente, la miniserie Broken Trail – Un viaggio pericoloso, ma che il western lo ha fatto anche quando non raccontava di storie con cowboy e indiani.
Nel film si vede tutto il suo rispetto, la sua conoscenza e la sua capacità di adoperare il linguaggio scelto, ma la traduzione di questo sapere sullo schermo, sia dal punto di vista di scrittura che di estetica, lascia poco margine di manovra anche ai suoi più devoti estimatori.
A nulla serve un cast di grande spessore, capeggiato da due mostri sacri come Christoph Waltz e Willem Dafoe e da Rachel Brosnahan, le cui prove vengono assorbite da un tono generale che ne snatura e ne mortifica, soprattutto, le potenzialità recitative. Nonostante tutti siano evidentemente al servizio del film e del regista.
Quello che c’è di buono lo si può intercettare nella sincera e forte volontà di fare, ancora, un western vecchia maniera dal cuore puro, come quello che hanno tutte le pellicole di Hill.
Una questione morale
Alla fine dell”800 un uomo tosto e duro può decidere di vivere in due modi: al di fuori della legge, guadagnandosi il rispetto del mondo puntando solo sulle sue forze e mostrandosi migliore di chi gli sta di fronte, o, al contrario, al suo servizio, a caccia degli uomini appartenenti alla prima specie. Facce della stessa medaglia praticamente.
Così inizia il film, mettendo a confronto subito questi due esemplari, uno chiuso in cella, tale Joe Cribbens (Dafoe), e l’altro fuori, il cacciatore di taglie che lo ha catturato, Max Borlund (Waltz), un europeo dal passato misterioso che si professa americano, dallo sguardo glaciale e dall’inflessibile morale.
Quest’ultimo si è dimostrato nel corso della sua carriera un professionista affidabile e dal buon nome e non a caso viene presto avvicinato e assoldato da un uomo d’affari ricco e in procinto di fare il suo ingresso in politica (interpretato da Hamish Linklater) per attraversare il confine verso il Messico e salvare la moglie Rachel (Brosnahan), rapita dal disertore afroamericano Elijah Jones (Brandon Scott), il quale non si è fatto problemi a chiedere prontamente un riscatto.
Il nostro ovviamente accetta e, accompagnato dal sergente Poe (Warren Burke), si avvia all’inseguimento della coppia fuggitiva, scoprendo, una volta trovata, che il rapimento è tutto una loro macchinazione, di cui il mittente di Borlund è consapevole, ordita per trovare una libertà dalle angherie dell’uomo.
Starà ora al bounty hunter decidere se portare comunque a termine il compito per cui è stato assoldato oppure prendere una decisione che potrebbe costargli addirittura la sua stessa vita.
Quello che Borlund non sà è che nella vicenda presto entreranno a far parte anche altre due minacce, la prima finora a lui sconosciuta, rappresentata dalla banda di un padrino messicano piuttosto irritabile, e la seconda invece già molto nota, nella persona di quel Cribbens che da quella famosa cella è appena uscito.
Fare un western duro e puro, negli anni 2020
Fra le intenzioni di Hill c’era quella di riuscire a portare sullo schermo un western classico, nostalgico e che facesse anche un po’ summa, in qualche maniera (in regia si nota più di qualcosa in questo senso), rimanendo in una estetica di rottura con il cinema contemporaneo, ma avvicinandosi alle sue tematiche.
C’è la voglia di affrontare tematiche razziali e, soprattutto, la questione di genere, cercando di ribaltare il ruolo della donna, pur mantenendo tutto molto canonico.
A dir la verità però nessuna di queste cose funziona, al netto della bravura della Brosnahan e dell’intelligenza di capire il suo ruolo di Waltz, un po’ perché né la trama né il trattamento del femminile costituiscano questa grande novità nella storia del genere e un po’ perché l’inserimento di tali discorsi non è convincente, ma risulta anzi macchinoso e piuttosto confuso.
[MINISPOILER] E se vogliamo dirla tutta il finale, per quanto rientri nel discorso di onore della tradizione, tradisce definitivamente qualsiasi discorso di modernità, confermando come questa idea non è mai stata troppo formata nella testa di regista e sceneggiatore.
Il resto è molto difficile da salvare.
La struttura narrativa è caotica e a tratti piuttosto debole, la fotografia da’ come risultato un effetto da filtro Instagram perenne e il montaggio non funziona quasi mai. I dialoghi e la recitazione sono spesso comici senza volerlo, così come le sparatorie, e nella regia non c’è quasi mai un respiro più ampio del primo piano, escludendo così una possibile vista sull’ambiente o un’analisi dei luoghi, facendo risultare l’azione piuttosto fumosa, non collocata. Sulla prova di Dafoe ci limitiamo a dire che, come spesso gli capita, quando recita diventa il primo complice di coloro che lo dirigono assorbendo in pieno il tono del film di turno, con tutti i pregi e i difetti che ciò comporta. Una certa classe c’è sempre però.
Dead for a Dollar è il tentativo (uno degli ultimi forse, ci auguriamo di no) di un grande regista di cinema di genere di portare sullo schermo un qualcosa che fosse fedele alla sua idea di western e anche un’espressione quasi di riassunto, un punto conclusivo. Vista la sua curiosità e intraprendenza, Hill voleva trasformare il titolo in un qualcosa che facesse rivivere la tradizione, inglobando il nuovo e allo stesso tempo legittimando una distanza. Il risultato è però piuttosto negativo, al punto che rischia di uscire fuori dal linguaggio cinematografico stesso, suggerendo quasi una soluzione televisiva. Al netto di ciò, il cuore vero, puro e buono batte ancora molto forte nella pellicola e lo si vede dall’inizio alla fine.
Dead for a Dollar è il nuovo western del maestro Walter Hill, presentato Fuori Concorso a Venezia79, con un ensemble d'eccezione guidato da Christoph Waltz, Willem Dafoe e Rachel Brosnahan. La pellicola vuole cercare di coniugare il western tradizionale con delle tematiche moderne come la questione di genere e il razzismo, ma ne esce fuori un risultato piuttosto poco riuscito. Innanzitutto questi elementi legati al contemporaneo vengono affrontati in modo piuttosto debole e poco convincente, legati alla struttura tradizionale in modo caotico. In più nulla tra regia, sceneggiatura, fotografia, recitazione e montaggio funzionano quasi trasformando il titolo quasi in un prodotto televisivo a volte inconsapevolmente comico. Nonostante ciò il cuore del film è puro e forte e lo si avverte dall'inizio alla fine.
- Il film ha un grande cuore.
- La struttura narrativa è confusa, i dialoghi e le scene d'azione sono inconsapevolmente comici.
- La regia è più televisiva che cinematografica e la direzione degli attori ne mortifica le potenzialità.
- La fotografia e il montaggio non sono buoni.
- L'inserimento di temi più moderni in un film così nostalgico è debole e poco convincente.