Don’t Worry Darling, la recensione: quando il derivativo diventa un’arma a doppio taglio

recensione di Don't Worry Darling

Avete presente quando camminate per strada ed incontrate qualcuno che vi sembra di aver già visto? O magari mentre state guardando un film ed una serie e vedete un attore o un’attrice che avete già visto altrove ma non ricordate esattamente dove? Ecco, la nostra recensione di Don’t Worry Darling potrebbe iniziare esattamente in questo modo: dove l’ho già visto?

Il secondo lungometraggio di Olivia Wilde, presentato nel Fuori Concorso del Festival di Venezia, con un cast ricchissimo dove spiccano i nomi di Harry Styles (il quale ha reso il lido di Venezia nella giornata di ieri peggio del sabato al Lucca Comics & Games) e Florence Pugh, vera protagonista della pellicola, porta con sé per tutta la sua durata quella sensazione di continuo già visto.

Il citazionismo diventa talmente tanto pressante, talmente tanto ingombrante, da chiedersi cosa ci sia davvero di originale all’interno di questo film.

Da La fabbrica delle mogli a Thelma & Louise, da Matrix a Fast&Furious, passando perfino per un Nirvana e American Psycho, con il classico plot-twist alla M. Night Shyamalan in stile The Village. Ciliegina sulla torta? Quella spolverata di femminismo spicciolo 2.0 che, dopo i recenti fatti che coinvolgo la Wilde, Shia LaBeouf e Florence Pugh, assume quella patina da “lo faccio perché va di moda”, ponendosi anni luce da pellicole dove la spinta femminista ha un valore non solo narrativo ma politico alla storia, come per esempio il Promising Young Woman di Emerald Fennell.

In realtà, la premessa del film della Wilde non è affatto male e in una prima parte il film potrebbe perfino risultare coinvolgente, se non fosse così telefonato nella seconda parte. Talmente tanto scontata da sperare per tutto il tempo che “no dai, sicuramente non sarà così. L’hanno fatto tutti, perché dovrebbe farlo pure lei?”, ed invece la speranza più che l’ultima a morire è la prima a farti morire…

Ciò che più lascia l’amaro in bocca in questa pellicola è che una soluzione diversa, migliore, si poteva trovare e a suggerirlo è la stessa storia. Le domande in sospeso sono talmente tante che se solo la Wilde si fosse occupata più di dare una risposta a quella domande che al gossip spicciolo degli ultimi mesi che ha messo in crisi la sua pellicola, forse questa recensione avrebbe un gusto completamente diverso. Direi, però, che ci stiamo addentrando troppo nel territorio del what if, perciò andiamo avanti.

La perfezione (non) esiste

recensione di Don't Worry Darling

Victory Project è una zona residenziale degli anni ’50 dominata da simmetria, perfezione e benessere. Villette a schiera color pastello. Macchine decappottabili. Mogli ben pettinate dal vitino di vespa con il cestino del pranzo in mano per augurare buona giornata al compagno lavoratore e prendersi cura della casa durante il giorno per poi farsi trovare alla porta, al momento del ritorno, con un bel bicchiere di whiskey in mano con la tavola già apparecchiata.

Un quartiere di ricchi borghesi, chiome pettinate e sbronze di mezzogiorno. Un ambiente perfetto in ogni suo dettaglio, perfino troppo perfetto, a tal punto che il più piccolo capello fuori posto sembra quasi un’anomalia in questa normalità.

Eppure anche Victory Project ha le sue regole. Prima di tutto quella che sembra essere una vera e propria Burbank, è un centro abitato costruito nel mezzo del deserto. Nel mezzo del nulla. Un nulla al quale possono accedere solo i mariti lavoratori con la scusa di maneggiare materiali pericolosi. E le stesse mansioni di questi sembrano essere avvolte nel mistero. Non è dato sapere. Non è dato chiedere. La realtà di Victory è tanto perfetta quanto proibitiva oltre i confini delle sue siepi ben tagliate.

No che questo sia un problema per Alice e Jack che trascorrono la loro esistenza come se fossero in perenne luna di miele, o almeno non lo è fino a quando Alice non comincia ad avere delle sorte di allucinazioni che la portano a dubitare di tutto. Di Victory, del suo fondatore Frank (Chris Pine), di Jack (Harry Styles) e perfino di se stessa.

Cosa c’è oltre quei confini invalicabili? Cosa stanno nascondendo? E perché sono così isolati dal resto del mondo?

Fermiamoci qui.

Il dramma del seminale

recensione di Don't Worry Darling

Continuando la recensione di Don’t Worry Darling, partiamo dal presupposto che a livello narrativo tutto è stato già inventando. La tragedia greca ha posto le basi per tropoi, archetipici, strutture. Il discorso, però, non è tanto il cosa ma bensì il come.

Del resto la nostra umanità si evolve, le persone cambiano e gli spunti narrativi si diversificano, mettendo nella condizione un autore di creare storie che quanto più rispecchiano i tempi odierni. Il discorso, però, torna al sempre al come. Il come è il modo per diversificare una storia dall’altra, altrimenti avremmo tante copie carbone e basta (e purtroppo già succede).

Nel paragrafo precedente abbiamo parlato un po’ della premessa alla base di Don’t Worry Darling e sicuramente già da quella vi saranno venuti in mente una decina di film e svariate supposizioni (pensate quando guarderete il film). La realtà è che il film è ancora più scontato di quello che sembra.

Non posso addentrarmi troppo nella trama perché si, indubbiamente qui il rischio di spoiler è dietro l’angolo, anche se il problema principale di questo film è proprio la trama. La storia. La struttura.

Non è solo il “già visto” a dare fastidio, ma anche la prevedibilità delle situazioni nonché una serie di idee visive ampiamente abusate tanto sul grande quanto sul piccolo schermo, a tal punto da far sembrare questa pellicola fuori tempo massimo. Ma non solo!

Un altro enorme problema del film è il suo essere così superficiale, nonché essere stato venduto per qualcosa che non è.

Per quanto riguarda il secondo discorso, il film da sempre è stato presentato come un thriller psicologico erotico. Il thriller non esiste. La sceneggiatura manca completamente di pathos, di suggestione; anche sul finale, quando dovremmo arrivare al massimo dell’esasperazione da parte dei protagonisti con un momento di altissima tensione da cui dipende il tutto e per tutto, ci si sente abbastanza sbattuti fuori dalla storia. Per nulla coinvolti. Manca la semina così come la raccolta. E manca anche quelli che sono gli elementi base del genere thriller. Sicuramente un mistero da risolvere c’è, ma il vero problema è che dopo pochi minuti dall’inizio del film, il pubblico più sveglio ed allenato alla visione di questo genere, ha già capito quale sarà l’escamotage. Ha già capito dove il film andrà a parte e questo, di per sé già grave, non fa altro che diminuire ancora di più il senso di coinvolgimento e thriller del film.

recensione di Don't Worry Darling

Sulla superficialità le cose si complicano ulteriormente. A questo tripudio di banalità messo in scena da Olivia Wilde, infarcito da tutti i riferimenti sul cinema di genere e non solo che le potessero venire in mente, si aggiunge una scrittura pigra, sciatta, che ha ben poca voglia di osare. Ben poca voglia di sperimentare, di spingersi oltre.

Il film poteva tranquillamente dividersi in due parti. Muoversi su due dimensioni. Mostrandoci nella prima parte, l’incipit da cui siamo partiti e questa inquietantissima routine color pastello e pois; nella seconda parte, invece, si poteva lavorare molto di più in profondità. Approfondire un aspetto che lascia aperti tantissimi interrogativi, quelli che avrebbero dato al film un’atmosfera decisamente più inquietante, originale, affatto banale. Proprio lì dove la Wilde lascia perdere che il film avrebbe dovuto prendere una china completamente differente. Si sarebbe dovuto aprire, differenziarsi dalla massa di omaggi, citazioni e derivazioni che invece non fanno altro che farlo sembrare un esercizio di stile talmente derivativo da risultare, alla fine della giostra, un vero e proprio mappazzone di roba.

Su chi potrebbe fare effetto una pellicola come Don’t Worry Darling? Su qualcuno di molto meno allenato, su un pubblico giovane a cui mancano un certo tipo di riferimenti e che rivedono nella pellicola non solo uno dei loro idoli, ma anche un film per loro mai visto prima. Divertente ed imprevedibile. E sono sicura: questo film farà successo grazia all’ignoranza del pubblico medio. Si potrebbe tranquillamente giocare ad una caccia all’easter egg per quanti “omaggi” sono presenti nella pellicola.

Il che non fa altro che aumentare quel senso di delusione già abbastanza insistente da dopo la fine del film. Una pellicola che non aggiunge nulla al genere, che non ha il coraggio di sperimentare, pensare a qualcosa di diverso ma si affida unicamente alle intuizioni scritte di altri.

Non è un mondo per donne

recensione di Don't Worry Darling

Altro elemento di Don’t Worry Darling su cui la Wilde avrebbe voluto mettere l’accento – scambiato poi per un manifesto femminista da parte di chi di femminismo ne comprende meno della Wilde stessa – è il sessismo.

Gli anni ’50 sono famosi per non essere il periodo migliore per l’emancipazione femminile. Il ruolo della donna era meramente confinato a questioni casalinghe, determinate sempre e solo da una presenza maschile, un passo indietro rispetto al marito, sempre in tiro pronte e scattanti.

Lo scenario proposto dalla Wilde vorrebbe essere la classica distopia maschilista dove viene proposta un’apparente perfezione di vita matrimoniale e di ruoli, in cui l’uomo è colui che lavora e porta i soldi a casa mentre la compagna aspetta pazienza pulendo, cucinando e facendosi trovare bella pulita e profumata per sfogare gli appetiti. Il tutto sembra essere perfettamente consensuale, ma la falla arriva proprio qui, aprendosi invece ad una realtà alternativa dove no, di perfetto, bello e consensuale non c’è proprio nulla.

Ed è proprio lì dove la Wilde avrebbe davvero dovuto mettere l’accento, approfondire questo aspetto della medaglia, sporcarsi le mani, inquietare, rendere ancora più feroci i suoi personaggi, che la regista si ferma, risolvendo il tutto in poche – assurde – scene dove “la ribellione” si fa sentire e come per magia è tutto finito.

Anzi no, è appena cominciato, ma il film finisce, lasciando lo spettatore in un primo istante sbigottito, ma l’istante dopo particolarmente perplesso e forse, concedetemelo, anche incazzato. Se vuoi portare al cinema la tua distopia femminista, cara Olivia Wilde, vai fino in fondo. Non basta scopiazzare qui e lì da altri autori e autrici e fermarti proprio quando dovresti prendere posizione. Proprio quando ti viene chiesto di schierarti, di mostrarti, di scendere “in trincea”. Altrimenti tutto crolla, inesorabilmente, e quello che resta è solo un mucchio di belle parole ma prive di fondamento con zero fatti.

Il cast non sempre è sufficiente

recensione di Don't Worry Darling

In conclusione della recensione di Don’t Worry Darling, potremmo parlare dell’unica cosa positiva del film: il cast. Ed invece no, perché Florence Pugh a parte, il resto del cast è totalmente fuori parte. Il film si regge completamente su di lei e, per fortuna, lei riesce ad essere sempre presente sullo schermo in modo convincente, sensuale e anche empatico, lasciandoci un po’ scivolare con lei nel dubbio, paranoia e a tratti anche disperazione.

Ma se questo si può dire per lei, non si può dire sicuramente per gli altri. Harry Styles senza lode e senza infamia, ma il suo viso pulitino si presta poco al personaggio che interpreta. Non stupisce il perché questo ruolo fosse stato pensato inizialmente per Shia LeBeouf. Capirete durante la visione del film perché!

Il tasto davvero dolente però è Chris Pine. Mai visto un personaggio così fuori parte. Un personaggio che dovrebbe inquietare ed, invece, fa ridere. Ma ridere per davvero. E no, non nel senso positivo del termine. Ma in generale tutti gli altri personaggi non sono altro che un mero contorno di cui non sappiamo mai veramente qualcosa. E anche se lo sapessi, probabilmente non ci importerebbe comunque.

recensione di Don't Worry Darling

Non solo Don’t Worry Darling sarebbe potuto essere un bel thriller dai tratti horror, ma anche una pellicola sfacciata, scomoda, insidiosa. Invece, alla fine di tutto, la Wilde confeziona una pellicola stantia con qualche piccola trova registica interessante ma che più passa il tempo, più lascia insoddisfatto e perplesso lo spettatore, forse perfino infastidito. La cosa più interessante del film finisce con l’essere il gossip e il clima di disprezzo e tensione creatosi tra gli attori.

Don’t Worry Darling sarà al cinema dal 22 Settembre con Warner Bros.

 

Segui la nostra copertura del Festival di Venezia dal 31 Agosto al 10 Settembre direttamente dal Lido sul nostro hub dedicato: leganerd.com/venezia79

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Don't Worry Darling
Recensione di Gabriella Giliberti

L'input generale di Don't Worry Darling non è affatto malvagio e Olivia Wilde si dimostra essere una regista con un'estetica molto particolare ed interessante, peccato manchi completamente la voglia di osare, di spingersi oltre, di fare un film nuovo, diverso, completo. Una pellicola che non risulti, come in questo caso, un mix di citazioni e riferimenti che schiacciano, pressano, e danno la costante sensazione di già visto agli occhi dello spettatore. Un film diviso in due ma talmente tanto prevedibile da poter finire anche pochi secondi dopo l'inizio.

ME GUSTA
  • Florence Pugh, centro di tutto ed estremamente convincente nel ruolo. Magnetica ogni minuto.
  • Alcune intuizioni visive della Wilde sono molto interessanti.
FAIL
  • Il film è talmente tanto derivativo da non essere per nulla originale
  • Lì dove la storia avrebbe davvero potuto aggiungere qualcosa di nuovo si ferma, preferendo la strada della sicurezza e banalità
  • La storia prende una piega fin troppo prevedibile, non riuscendo ad emozionare, creare un minimo di pathos o interessare per davvero
  • Chris Pine come "villain" in questo film è una delle cose meno credibili viste da molto tempo a questa parte
  • Il risvolto "femminista" è inutile, poco funzionale e completamente sbagliato
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