C’è tutta quanta una tradizione del cinema francese che esplora la difficile realtà delle banlieues, le periferie delle grandi città transalpine, da sempre testimonianza di una grande scissione all’interno della società tra coloro che vivono ai margini e le istituzioni. Disagio giovanile, ingiustizie sociali, il terribile status delle famiglie immigrate. La sfiducia e la rabbia nei confronti dei corpi amministrativi, abbandono, degrado e violenza da parte di coloro che dovrebbe invece avere a cuore la tutela e la salvaguardia degli abitanti, soprattutto di tali ambienti. Se ne sono occupati Kassovitz, Haneke e tanti altri con delle pellicole formidabili, profonde e significative. Tutte qualità che, a ben vedere, non si trovano nel titolo di cui stiamo per parlare, nonostante il contesto sia il medesimo. Questo ci porta davanti ad un bivio: bocciarlo oppure provare a pensare che il focus dei creativi in realtà andasse a parare su altri lidi? La prima strada serve a poco, proviamo l’altra, poi le somme le tiriamo alla fine.
Nella recensione di Athena, in concorso a Venezia79, vi parliamo dell’ultima fatica di Romain Gravas, figlio d’arte dell’illustrissimo Costa-Gravas, straordinario cineasta (recuperate Z – L’orgia del potere o L’Amerikano, o entrambi, appena potete), e osannato autore nel mondo dei videoclip musicali (il più famoso è probabilmente quello di Stress dei Justice, che vi lasciamo qui). Il salto nella realtà del lungometraggio lo ha fatto nel 2008 con Our Day Will Come (dopo un film musicale proprio sulla band di musica elettronica di cui sopra), salvo poi aspettare ben 10 anni per la sua opera seconda, Il mondo è tuo, presentato alla Quinzaine a Cannes71.
Due pellicole in un certo senso “contenute” in questa folle e spettacolare corsa vestita da film prodotta da Netflix, perché più piccole, soprattutto in un’ottica di respiro cinematografico, ma a livello narrativo decisamente più significative.
La sceneggiatura è stata scritta a quattro mani dal regista e dal già autore del più incisivo I miserabili del 2019, vincitore del Premio della Giuria sulla Croisette, ovvero Ladj Ly, uno dei volti contemporanei della corrente cinematografica citata nell’intro. Un tentativo del colosso dello streaming di unire due dei nomi più importanti in questo ambito, rischiando però, come spesso accade, di commercializzare l’autorialità svuotando il contenuto per concentrarsi su altro, come la resa scenica. Che di per sé non è un problema, lo diventa solo quando questa tendenza rischia di depotenziare la natura del racconto.
Athena arriva su Netflix il 23 settembre 2022
La dea della guerra
Abdel (Dali Benssalah) è un membro del corpo della polizia francese.
Abdel è in lutto perché ha perso il minore dei suoi due fratelli più piccoli, vittima di un’imboscata ad opera, pare, proprio di alcuni suoi colleghi. Dico pare, perché è proprio lui impegnato in prima persona in una conferenza pubblica in cui smentisce con forza la possibilità di un coinvolgimento, anche se c’è un video che dice il contrario.
Lo sguardo di Abdel, sofferente e in lutto, è l’immagine con cui la pellicola si apre, intorno a lui il silenzio compagno dell’ascolto, fino a quando Karim (Sami Slimane), l’altro suo fratello minore, lancia una molotov tra gli astanti.
Da qui in poi non ci sarà più un attimo di pace.
L’inferno che scatenano i giovani ribelli del quartiere Athena, capeggiati da un ragazzo esile e dallo sguardo gentile, mosso da uno spirito di vendetta senza confini e da un bisogno di violenza che arriva a scavalcare anche l’evidente amore per il suo consanguineo, invade la centrale della polizia per fare razzia e recuperare quante più armi possibili per scendere in guerra.
Dalle alte mura fortificate di quelle che una volta erano solo le loro case, i soldati muovono minaccia contro il loro stesso Paese, evocando un’altra Sarajevo in nome di una giustizia che da essere una questione privata diventa improvvisamente condivisa da un’intera nazione. Un assassinio vile e codardo si tramuta così nel simbolo di tutti quanti i precedenti e i futuri, facendosi simbolica miccia di una detonazione troppo a lungo rimandata e ora esplosa in tutta la sua forza distruttrice.
Una guerra senza quartiere senza remore a dividere due fratelli in due diverse divise, ma legati da un lutto comune e dall’amore reciproco.
La vera tragedia sta nella mancanza di fiducia
L’uso della tragedia greca permette a Gravais e Ly di elevare la dimensione della guerra fino ad estrapolarla dalle contingenze materiali (le cause per cui avviene) e renderla lente rivelatrice delle ferite profonde di una società segnata da uno scollamento apparentemente insanabile tra due delle sue anime più importanti. Le anime sono i fratelli, lo scollamento è la differenza di visione sul motivo del contendere e bla bla bla.
Un’ideazione narrativa piuttosto classica, già usata e sempre efficace. Il punto è se sia al servizio di altro o meno.
Sì, perché i fili della storia sono in realtà piuttosto sfilacciati, così come il racconto di tutte le componenti che circondano i duellanti sono piuttosto risibili, superficiali, anche in dei momenti palesemente predisposti per raccontarci qualcosa di quel lento ribollire che ha covato per così tanto questa rabbia distruttrice. Molto interessante è invece il discorso sul chiaroscuro, che è la dimensione dove nascono i mostri, dato che chiunque può approfittarne e creare conflitto per interessi personali.
Un monito a disinnescare la pericolosità di queste zone, che però nella sua progressiva rivelazione perde di efficacia laddove accusa una didascalia che segnala non poca sicurezza di esposizione.
Sulla parte visiva c’è invece ben poco su cui ridire.
Dall’incipt in medias res che evoca una potenza genitrice quasi di nolaniana memoria si avvia uno dei tanti (il migliore, il più bello, il più sorprendente) dei piani sequenza di cui Athena è composto (in mezzo a rallenty, rirese con i droni, camera a mano velocissima e chi più ne ha più ne metta), dando il via ad un’esperienza totalmente immersiva, folle e spettacolare all’interno del conflitto. Un’orgia visiva che descrive cariche della polizia, corse tra i corridoi dei palazzi, scontri nelle piazze, guide spericolate, esplosioni e via dicendo. Se su questo aspetto il film trionfa in pieno, non arriva comunque ad avere un registro linguistico perfettamente accordato, perché accusa la provenienza dal formato del videoclip tant’è che ha bisogno di sottolineare i confini di ogni mini arco narrativo che compone il suo corpus, senza riuscire a farne interamente una fluida unica. Un Netflix che snatura le radici del cinema autoriale su cui poggia lo sguardo o un cinema autoriale che ha la possibilità di esaltarsi in un nuovo sguardo grazie alle permissioni che Netflix concede? Vedetelo, vale la pena.
Athena è disponibile su Netflix dal 23 settembre 2022.
Athena è il terzo lungometraggio di Romain Gravas, scritto insieme a Ladj Ly, prodotto da Netflix e presentato in concorso a Venezia79. Si tratta di una rilettura altamente spettacolare di una classica traduzione della tragedia greca ambientata nel contesto di un conflitto che ha le sue radici nel disagio che attanaglia le banlieues. Fotograficamente e registicamente mozzafiato, il film si esalta nei piani sequenza, nei rallenty, nelle riprese con i droni, che danno vita a quell'esperienza immersiva che è ciò su cui gli autori hanno puntato, con il rischio conseguente di schiacciare però tutto il resto. La storia infatti, pur girando intorno ad un'idea interessante, ancora legata alla tradizione ellenica, si sfilaccia progressivamente fino a diventare didascalica e a perdere gran parte del suo significato originale. Tendenza che si unisce fatalmente ad una imperfezione formale e che impedisce una costruzione cinematografica perfettamente integra. Da vedere.
- La pellicola regala un'esperienza immersiva altamente spettacolare.
- La fotografia e la regia sono splendide.
- Lo sforzo della troupe è stato incredibile.
- L'idea intorno a cui ruota il senso della pellicola è molto interessante.
- L'eccessiva didascalia della storia rischia di svuotarne il significato.
- Non c'è una perfetta integrazione tra linguaggio cinematografico e videoclip.
- Il corpus filmico è troppo sezionato.