Ma quanto è lunga la tradizione dei film ambientati sui treni? Va bene, John Frankenheimer, banali, ma ci sono Buster Keaton e Alfred Hitchcock fino a Wes Anderson e Bong Joon-ho, passando per fenomeni veri come Končalovskij o… Steven Seagal? Steven Seagal! Senza contare i mille adattamenti più o meno riusciti della famosa storia del nefasto Orient Express. Il fatto è che puoi metterci qualsiasi cosa sopra un treno: due innamorati, una vittima (o più) e detective annesso o una marea di serial killer, come nel film di cui parliamo tra poco. La cosa bella è che a prescindere da chi decidi di mettere su un treno, il risultato è che alla fine del viaggio non avrai mai lo stesso gruppo di persone che sono salite a bordo, e questo rende sempre tutto più interessante perché imprevedibile, attraente e inaspettato. La metafora del viaggio che ti cambia sempre, ma non solo, la nascita e la crescita di un ecosistema a parte, che si tocca, si osserva, continua a cambiare. Si parte da soli, ma non si è mai soli quando si viaggia in treno, anche se ti chiudi con la musica e fai il brontolone con tutti, avrai sempre un ruolo. È questo il bello.
Ci puoi mettere di mezzo anche il destino, per l’allegoria (che è inevitabile, ma non sempre preferibile, come diceva Tolkien) dell’incontrarsi in una scatola che viaggia su dei binari. Lo scorso anno è uscito un film bellissimo a tal proposito, Scompartimento n°6 di Juho Kuosmanen. Un aspetto che ci capiterà di toccare anche in questa recensione di Bullet Train, anche se per l’accostamento tra i due titoli dovrei essere lapidato, ma già avete accettato quello tra Končalovskij e Seagal, se state ancora leggendo ormai siete miei complici.
Quindi facciamoci insieme sto viaggio.
David Leitch è un ex stuntman da qualche anno passato dall’altra parte della camera. Specializzato in film d’azione, il suo primo titolo “ufficiale” è stato Atomica Bionda, anche se già aveva messo lo zampino in John Wick e pensate la comprensibilissima acredine nata dentro di lui a non essere stato accreditato in quell’occasione.
Ha poi firmato Deadpool 2 e Fast & Furious – Hobbs & Shaw, titoli la cui conseguenzialità ha detto due cose sulla carriera del regista texano: 1) il suo è uno stile riconoscibile e attraente per il grande pubblico, ma allo stesso tempo anche in grado di piegarsi a format diversi; 2) ha ormai maturato un’esperienza conclamata nel gestire nomi molto importanti.
Dall’altra parte si poteva pensare che ormai il suo status fosse quello di una firma in universi creati da altri, ma il film con la Theron era andato bene, perché dubitare?
Quella volta era un adattamento da una graphic novel, stavolta si tratta del romanzo I sette killer dello Shinkansen o Maria Beetle (o Bullet Train) di Kōtarō Isaka, e sia cast che ambizioni sono notevolmente più importanti.
C’è sempre la volta in cui un regista cerca il jackpot e questa è quella di Leitch, che prova ad andare oltre le complicazioni del caso (la troupe doveva andare in Giappone a girare il film, ma causa pandemia non è stato possibile, tolto qualcuno andato a filmare gli esterni del treno), reclutando un pool di attori impressionate, costruito intorno al suo amico di vecchia data, Brad Pitt, e dando vita ad un film che esprimesse il suo cinema. Un’espressione orribile lo so.
Bullet Train è nei cinema dal 25 agosto distribuito da Sony Pictures.
Smaltire un esaurimento nervoso
Ladybug (Pitt) è un uomo sulla cinquantina che ha deciso di ricominciare da capo.
Arrivi ad un certo della vita in cui ti rendi conto che un atteggiamento può fare tutta la differenza del mondo e che bisogna rimboccarsi le maniche e cambiarlo se si vuole migliorare. Bisogna impegnarsi, riconoscere i propri errori, perdonarsi quando è possibile e imboccare con determinazione un percorso che non sarà sempre facile, certo, ma è vitale per iniziare di nuovo. Ovviamente non è che si può rinunciare proprio a tutto tutto quello che si è fatto nella vita. La cosa importante non è ciò che si fa, ma come lo si fa.
Positive thinking, you know?
Ecco perché alla chiamata di Maria Beetle (Sandra Bullock) per un nuovo incarico, il nostro risponde presente, ma con rinnovato stato d’animo, alla fine deve solo rubare una valigetta da un treno ad alta velocità (in lingua giapponese Tōhoku Shinkansen Hayate, abbiamo fatto i compiti a casa stavolta) sulla linea Tokyo – Kyoto, cosa può andare storto? Basta omicidi, basta incidenti collaterali.
Un lavoro semplice per cercare di riconciliarsi nella maniera più soft possibile con una parte di se stessi.
La valigetta è però al centro di una fittissima rete di relazioni che coinvolge una marea di altri letali assassini, come i gemelli (non di sangue, ma di spirito) Lemon (Brian Tyree Henry) e Tangerine (Aaron Taylor-Johnson), il figlio di uno dei più letali boss del Sol Levante (Logan Lerman), un misterioso messicano in cerca di vendetta (Bad Bunny), una tizia esperta di veleni (Zazie Beetz), una ragazza vestita come se avesse 10 anni (Joey King) e un uomo che sembra uscito da otto dopo sbornia consecutivi (Andrew Koji).
Talmente tante teste che viene da chiedersi: “ma veramente sono su quel treno, tutte insieme, per puro caso?”
Prove di emancipazione
Prove di emancipazione che non sono solo quelle di David Leitch da una corrente che aveva investito la sua carriera, ma prove di emancipazione che sono anche quelle della Hollywood contemporanea da un tipo di cinema commerciale anni ’90.
Prove di emancipazione che non sono state superate, né dall’uno né dall’altro.
Bullet Train è esattamente quello che tutti vi aspettate: un mix esplosivo di arti marziali, scene d’azione spettacolari o meno, sangue, sparatorie, ritmo altissimo e battute a profusione. Stavolta non ci sono al centro di tutto Ryan Reynolds o Keanu Reeves, ma ci sta Brad Pitt, che si cala alla perfezione nel ruolo di protagonista naif, ma indistruttibile, e si diverte e si vede che si diverte.
L’intero impianto agisce veramente però solo in superficie, non riuscendo mai ad andare a fondo, smorzato da un minutaggio sinceramente troppo lungo, un sistema di flashback che appesantisce (e non poco) sia narrazione che ritmo e una chimica tra il cast che c’è, per carità, ma non regala mai momenti veramente indimenticabili. La pellicola funziona per sequenze e situazioni, quasi tutte derivative da un cinema fatto da quegli stessi nomi importanti che ormai non riescono a farlo neanche più, anche se ci provano (eccome se ci provano).
Per David Leitch una possibilità sprecata nella misura in cui, se questo film non avrà successo al botteghino, difficilmente gli verrà data a breve la possibilità di avere tutta la libertà di cui ha beneficiato questa volta nella gestione di una pellicola con tale budget, sia dal punto di vista dello stile che della direzione (o scelta) degli attori. Forse meglio, magari nell’essere una firma estetica si esalta anche lui, dopo tutto anche questo film non è girato per niente male, anzi.
Il problema nasce se decidi di avere della ambizioni più alte, ma l’unica strada che trovi è nell’esasperazione dell’eccesso (e lo capite da soli che il risultato non può che esse masticato, ho fatto fatica persino a scriverla la frase).
Bullet Train fa il suo compitino, si preoccupa di dare al pubblico quello che il pubblico pensa di volere da lui e si ferma lì, sperando che il carisma dei suoi pezzi da 90 faccia il resto, mentre a noi rimane la conferma che il cinema nordamericano commerciale è ancora impantanato in delle sabbie mobili che non sembrano conoscere fine.
Bullet Train è nei cinema dal 25 agosto distribuito da Sony Pictures.
Bullet Train è l'ultima pellicola di David Leitch, l'ex stuntman che ha debuttato alla regia ufficiale con Atomica Bionda e ufficiosamente con John Wick, reduce da ottimi incassi e da una nomea ormai riconosciuta all'interno del circuito del blockbuster americano. Tutti buoni motivi per metterlo al timone di un film per cui viene reclutato un cast esagerato (per far capire subito la linea), composto da Brad Pitt, Joey King, Andrew Koji, Aaron Taylor-Johnson, Brian Tyree Henry, Zazie Beetz, Michael Shannon, Logan Lerman, Hiroyuki Sanada, Bad Bunny, Sandra Bullock e qualcun altro. Il risultato è un film action ad alta velocità sicuramente ben girato, ma troppo lungo, totalmente derivativo, superficiale per necessità e neanche così divertente come disperatamente ha provato ad essere (e aveva bisogno di essere). L'ensemble fa il suo, ma siamo ancora rimasti a 30 anni fa. Vi piacerà nella misura in cui vi piace l'aspettato.
- Il film vanta una parte estetica sicuramente apprezzabile, soprattutto per le scene d'azione.
- C'è qualche sequenza particolarmente divertente, anche se già vista.
- Il cast è comunque molto valido e si vede che si è divertito.
- In sintesi? Non rimarrete delusi, è proprio quello che vi aspettate.
- La pellicola accusa un minutaggio eccessivo e una struttura che appesantisce.
- La chimica tra il cast è buona, ma doveva essere speciale per l'importanza che ha nel progetto.
- Al di sotto dell'action ironico non c'è nulla.
- In sintesi? Rimarrete delusi, è proprio quello che vi aspettate.