The Princess, la recensione: meglio non svegliare la bella addormentata

Joey King

Nel mirabolante mondo delle produzioni contemporanee si sottolinea spesso come la sperimentazione passa per una manipolazione di un genere classico, che viene smontato e rimontato come un giocattolo per piegarlo ai voleri degli autori (o degli studios) di turno e presentare così un lavoro sempre nuovo ed originale. Capita però ogni tanto che la cornice del film sia l’inflessione, mentre il cuore pulsante ricalca in pieno i canoni della matrice di provenienza. Nel primo caso si ottiene una pellicola che apparentemente appartiene ad un genere, mentre palesemente si diverte a distaccarsene, e nel secondo invece il contesto in cui viene piazzato ne motiva la peculiarità, quando, a ben vedere, la struttura è quanto di più tradizionale ci possa essere. Quale sia la strada migliore non è dato saperlo e, mi spingo oltre, non è probabilmente neanche la cosa veramente importante.

Nella recensione di The Princess, il film Hulu arrivato con Starz a luglio su Disney+ diretto da Le-Van Kiet, ci occupiamo di un titolo appartenente alla seconda categoria. Una riflessione sul genere kung fu in cui si mescolano gradienti ascrivibili alla favola disneyana, revisionismo del cinema medievale con il riposizionamento centrale della figura femminile, aspetti appartenenti al wuxia e più di qualcosa dello scheletro della narrazione videoludica.

La parte importante sono le botte.

Questo è da dire subito e in maniera netta, c’è anche una divisione spaziale (interno/esterno) tra la parte emotiva e drammaturgica vera e propria e quello che è ciò che veramente importa al regista. Infatti nei giardini operano Dominic Cooper e Olga Kurylenko, i volti chiamati a raccontare una storia il cui contenuto emotivo è pressoché esaurito da quando la protagonista, Joey King, si desta dal suo sonno “nella stanza più remota della torre più alta” e comincia a picchiare ogni stuntman che le si para davanti.

L’altra cosa fondamentale è la decisione di adottare una prospettiva ribaltata rispetto al solito. Infatti la protagonista lotta per scendere e non per salire (e così raggiungere la metaforica vetta) e rappresenta un femminile che, di fatto, ha già vinto in partenza, dato che il cattivone di turno vincola dall’inizio la riuscita dei suoi piani malvagi alla figura della sua una volta promessa sposa.

Cade in secondo piano quindi anche la storia della riaffermazione di se stessa, intrecciata con l’archetipo della vendetta che è tanto caro al cinema di riferimento. Ma, lo abbiamo detto, quello che conta è filmare le botte e farlo bene.

C’era una volta…

C’era una volta, tanto tempo fa, una principessa intrappolata in cima ad una torre, quella del suo castello di famiglia, assaltato da un gruppo di uomini malvagi capeggiato dall’uomo più malvagio di tutti, il quale la vuole costringere con la forza a sposarlo in modo da divenire il re legittimo di tutto il regno.

L’avete già sentita? Bene, risparmiamo sui dettagli.

Joey King

Che succede però se la principessa non rispecchia proprio i canoni della solita principessa e quindi diciamo che piuttosto che l’appellativo indifesa le se addice di più quello di “meglio che non ti avvicini a meno di un metro da me se non con intenzioni benevole“? Si otterrebbe una sorta di evoluzione (anche se non così interessante) della Fiona di Shrek, se non altro perché lei voleva ancora che arrivasse il Principe Azzurro a salvarla, mentre in questo siamo di fronte ad una ragazza che l’unica persona vestita di azzurro che attende con ansia è la sua compagnia d’armi d’infanzia per sferrare qualche calcio volante in più al minaccioso omaccione di turno.

Però hanno entrambe i capelli rossi quanto meno.

Scopo della principessa è salvare la sua famiglia, prigioniera insieme al resto della corte, e sventare la minaccia degli assalitori, così da convincere anche il re suo padre della sua capacità di poter decidere per se stessa e di non dover sottostare a delle logiche sociali e politiche che mortificano il suo ruolo solo perché donna.

A separarla da questo suo intento c’è un discreto numero di piani e una non sottovalutabile quantità di nemici, i quali, sparsi per ogni dove, hanno, ovviamente, l’ordine di fermarla e riportarla a più miti consigli.

La mosca bianca

The Princess rappresenta un caso veramente molto particolare perché al contrario della maggior parte (praticamente l’intero) sciame delle produzioni Disney è una titolo nato senza nessun tipo di aspettative commerciali e, quindi, paradossalmente, molto più libero di prendere la forma che più gli si confaceva man manco che i lavori andavano avanti.

Praticamente zero budget (e si vede, basta una fiammata in CGI), al timone un regista vietnamita che mai ha lavorato in America che che l’unica cosa di cui si è sempre occupato sono i film d’azione e una sola location europea prenotata.

L’unica cosa che non mancava erano i figuranti chiamati per essere presi a cazzotti.

The Princess

E dunque questo si è fatto e Van Kiet non poteva che chiedere di meglio. L’intero impianto narrativo è racchiuso in dei flashback che si alternano all’azione, spezzato da qualche momento ottimamente interpretato da Cooper e soci, ma tutto quanto è raccolto in una grande, continua, rissa elegantemente costruita.

L’impostazione è quasi totalmente antiamericana; il che vuol dire nessun montaggio frenetico, una sana dose di cattiveria rivolta anche verso il protagonista, piani sequenza a profusione e una grande cura nel mostrare con rigore e chiarezza l’intero svolgimento delle coreografie varie. Il riferimento è The Raid: Redemption, saremo banali, ma è veramente l’esempio migliore che si può fare se si vuole far capire il film al meglio.

Invece di salire però in questo caso si scende.

Il limiti della pellicola sono nella sua essenza, che richiama più ad un giocattolo tra il cinematografico e il videoludico, soprattutto nella costruzione degli spazi e nel modo in cui vengono riempiti durante lo svolgimento dell’azione. Le connessioni più riuscite al cinema americano sono riscontrabili nelle gag, perché altrimenti ha veramente poco, sia nel pensiero che nello sguardo.

Il che non è necessariamente male.

Quello che si rischia con The Princess è mortificare il complesso discorso sull’emancipazione femminile e sulla lotta per la propria identificazione che recentemente la Disney ha deciso di portare avanti, riservando grande spazio anche alle difficoltà del ricollocarsi non solo agli occhi di se stessi, ma anche della società e dei propri cari. C’è da dire però che questo è un kung fu movie e, anche se magari non affronta la tematica come si dovrebbe fare nel 2022, il suo non è un appiattimento o una banalizzazione, quanto una risincronizzazione con il suo genere di appartenenza. Dopo tutto lo abbiamo premesso, appartiene sempre alla famosa seconda categoria, no?

The Princess è su Disney Plus, via Hulu, dal primo luglio 2022.

65
The Princess
Recensione di Jacopo Fioretti Raponi

The Princess è il nuovo originale Disney diretto da Le-Van Kiet e che è arrivato da noi sulla piattaforma streaming degli studios di Burbank via Hulu. Si tratta di un film quasi a zero budget che si diverte a ribaltare la prospettiva, anche visiva, dei soliti film di vendetta ed emancipazione, basandosi su una narrazione da kung fu movie vera e propria e tingendolo di ingredienti videoludici. La peculiarità sta nel contesto, ovvero quello di una principessa che, da indifesa, comincia a "fare man bassa" dei suoi nemici fino a salvare la propria famiglia e a sventare definitivamente il proprio matrimonio. La trama è ridotta all'osso e l'intero sforzo filmico sta nella realizzazione di una continua scena d'azione che racchiude, di fatto, l'interno minutaggio del titolo. Una lieta sorpresa.

ME GUSTA
  • Le prove degli attori sono tutte all'altezza.
  • Le scene d'azione sono ben coreografate e molto ben girate, soprattutto perché prive del solito montaggio frenetico all'americana.
  • L'impianto videoludico è ben congeniato e non stufa quasi mai.
  • L'idea del ribaltamento nel percorrere una via canonica per il kung fu movie diverte, specialmente rapporta al contesto.
FAIL
  • Non è un titolo che pensa di affrontare in maniera profonda il tema dell'emancipazione femminile.
  • Si tratta di un kung fu movie duro e puro, quindi non è raccomandato per chi non ama il genere.
  • Il budget è veramente basso e in due o tre momenti lo si nota bene.
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