Il crollo delle criptovalute è stato un duro colpo anche per la Corea del Nord. La dittatura ha visto in poco tempo dimezzate le sue riserve in criptovalute, accumulate soprattutto attraverso le sue attività criminali.
La Corea del Nord utilizza da anni le criptovalute per aggirare le sanzioni e per finanziarsi, grazie al provento di frodi, furti e altre attività criminali informatiche. Secondo un report di Chainalysis, gli hacker nordcoreani nel 2021 avrebbero sottratto illegalmente oltre 395 milioni di dollari in criptovalute. La stima si basa sullo studio delle transazioni effettuate sulle principali blockchain – Ethereum e Bitcoin -, e quindi sull’analisi delle transazioni in entrata e uscita dei wallet notoriamente controllati dal regime nordcoreano ed i suoi affiliati.
Dopo il recente crollo del mercato delle criptovalute, le riserve della Corea del Nord sono passate da un valore di 170 milioni di dollari a 65 milioni. Un crollo del 61%, spiega il magazine The Verge.
I fondi sono stati accumulati nell’arco di cinque anni. Molte delle risorse provengono da 49 diverse campagne di hacking al danno di consumatori, istituti di credito e aziende.
Il regime nordcoreano, isolato dalle sanzioni e sorretto da un’economia estremamente debole, dagli anni ’70 ad oggi è sempre ricorso a metodi ‘creativi’ per finanziare le sue spese militari e, soprattutto, per mettere le mani sulle cosiddette hard currency – soprattutto il dollaro. Il regime dispone di diversi gruppi di intelligence interamente dedicati al procacciamento di valute forti attraverso attività criminali.
Da WannaCry al tentativo di rubare un miliardo di dollari alla Federal Reserve americana, gli hacker nordcoreani hanno smesso di far ridere il mondo da molto tempo. Per approfondire, leggi anche: