Da qualche tempo a questa parte nel panorama cinematografico si è spontaneamente manifestata una sorta di risveglio da quella che era di fatto una assuefazione (anche se c’è chi non lo ammetterà mai) post entusiasmo da novità in seguito a tutta quella serie di reboot e film effetto nostalgia che hanno riempito le menti dei produttori e (più o meno) le sale di spettatori. Tant’è che, da qualche tempo a questa parte, ogni nuovo prodotto audiovisivo che esce da Hollywood viene passato sotto i raggi x di una critica intenta soprattutto a giustificarne l’esistenza, causando così una reazione nei grandi nomi e negli autori, che prima ancora di preoccuparsi di fare un buon lavoro, si affrettano a giustificarlo. In sintesi, agli studios è venuta la coda di paglia. La domanda è: “possono funzionare film nati sotto questa stella?” Non per il sottoscritto, ma ho sentito degli applausi in sala al termine del titolo di cui stiamo per parlare e c’è anche un box office che strizza l’occhio a lui e ai suoi affini.

Ora, questo non vuole essere un articolo su quanto la critica riesca ancora a capire gli spettatori, ma nella recensione di Jurassic World – Il Dominio, ultimo capitolo della seconda trilogia (e forse di un universo? Ci crediamo poco) della saga iniziata nel 1993, mi sembrava corretto aggiungere questa postilla proprio perché siamo di fronte ad uno dei franchise che più ha rappresentato questo dialogo neanche troppo indiretto tra produttori e spettatori, ma che mai come in questa occasione è stato così didascalico e così distaccato dall’essenza del film stesso. Quindi no, gli applausi non mi renderanno più democratico.

Ciò ha creato una frattura molto evidente, che ha disgregato quanto di coerente (poco) avessero in mente gli autori, lasciando spazio ad un mosaico di citazioni spielberg/lucasiane infilate in mezzo a due trattati antispecisti/filo ambientalisti autogiustificativi e, di conseguenza, molto poco credibili.

Seguendo la parabola che più o meno ha delineato la parte creativa dell’ultima trilogia di Star Wars, il primo dei Jurassic World del 2015, diretto, come questo ultimo, da Colin Trevorrow, di fatto ricreava uno scenario molto simile al primo Jurassic Park per riproporre un concetto antico di blockbuster e risintonizzarlo in un contesto moderno, urlando di nuovo il temi tradizionali: l’uomo che gioca a fare Dio tramite la genetica e la manipolazione delle specie. Flop di critica, ottimi incassi.

Scontenti tutti, secondo capitolo e cambio di regista. Si passa a Juan Antonio Bayona e si punta all’innovazione: fuori i dinosauri dall’ennesimo parco e via nel mondo reale. Una luce in fondo al tunnel che però rimane sospesa al sequel (questo sequel) perché i temi sono gli stessi e le trovate pure, anche se stavolta si millanta una sorta di riflessione sul genere con l’aggiunta di “tinte horror”. Per noi comuni mortali “dinosauri nei corridoi”. Flop di critica, ottimi incassi.

Scontenti tutti, si ritorna a Trevorrow (rigore, nostalgia e tradizione), si fa un casting che punti tutto sul riunire Laura Dern, Sam Neill e Jeff Goldblum e si “torna alla progettazione“. C’è però un problema: i lucertoloni giurassici sono usciti dal parco, ormai non si può più tornare indietro. Soluzione: imparare da uno degli speciali di halloween dei Simpson più riusciti, il quale insegnava che “se vuoi togliere potere a qualcosa, basta non guardarla.

Un precetto preso così alla lettera dagli autori che gli unici dinosauri di cui veramente sembrano essersi occupati sono i protagonisti della trilogia originale.

Flop di critica, ottimi incassi (?).

Edit: pare di si. Ho un’altra crisi professionale.

Le piaghe d’America

Cosa c’è di superiore all’uomo? Niente, aveva ragione George Carlin. Ma cosa c’è di superiore all’uomo secondo i perversi? Ecco, avete capito. Lui. Che, di solito, quando doveva mettere tutti al proprio posto, usava, tra le altre cose, scatenare delle piaghe, invasione di locuste in testa, con il compito di sovvertire l’ordine naturale delle cose e privare noi tutti del secondo (o terzo) elemento che ci permette di vivere.

Bene, nell’intro di Jurassic World – Il Dominio veniamo bombardati da immagini semispettacolari che, magari fosse il caso, ci lasciano intravedere delle prospettive molto interessanti riguardo un ipotetico film su una reale coesistenza tra uomini e dinosauri per poi dimenticarsi tutto e ridarci i cloni, i parchi, la nostalgia e proprio loro… le locuste.

Insettoni che Lui solo sa gestire, non di certo gli uomini. Spunto per la metafora (dichiarata dal cattivone stesso, anche lui proveniente dal film del ’93) di un Prometeo troppo ambizioso che ruba il sapere per donarlo ad una razza non all’altezza.

Jurassic World Il Dominio

Da qui partono due linee narrative, una che vede la bambina clone salvata in precedenza che deve essere salvata di nuovo (per differenziare un po’ le hanno affiancato la figlia di Blu), inseguita da quei due personaggioni di Owen (Chris Pratt) e Claire (Bryce Dallas Howard) e l’altra che mette di fronte ad una multinazionale cattivona che si è fatta prendere troppo la mano (e che per qualche motivo ha assunto Ian Malcolm) la dottoressa Ellie Sattler e… Alan Grant, la cui presenza è abbastanza priva di senso, in realtà.

In tutto ciò dei dinosauri continua a fregare veramente poco a tutti.

La mitologica figura del Frankestein svogliato

Per mitologica figura del Frankestein svogliato si intende quell’essere totalmente derivativo dal punto di vista fisiologico che, nonostante uno status teoricamente entusiasmante come quello del redivivo, non ha comunque la voglia di fare nulla perché, fondamentalmente, non c’è nulla che abbia da condividere o da comunicare agli altri e nulla che ritenga abbastanza interessante nemmeno per riflettere tra sé e sé.

Jurassic World – Il Dominio è più o meno così: un blockbuster totalmente composto che dopo aver “assolto” l’onere di giustificare il perché del proprio status da redivivo di terza età (auguri) non ha sinceramente più voglia di dire o fare nulla. Come rassegnato a divenire una summa di fan service neanche troppo ispirato (manco a Goldblum pare interessare più nulla del suo personaggio) a una serie di citazioni che passano dal primo Jurassic Park (saccheggiato), Lo Squalo, Indiana Jones, Star Wars (ci stanno pure mercati neri e contrabbandieri), una spruzzatina di James Bond versione Daniel Craig e, volendo, una cosetta de Lo Hobbit.

Il tutto allineato sui due binari di cui sopra, che ovviamente alla fine incroceranno le rispettive strade, per un momento di catartica (?) potenza emotiva.

Chris Pratt

In mezzo a questa confusione c’è tempo per non pochi buchi di trama derivati da una coerenza narrativa questa sconosciuta, una regia mediocre, dei tempi narrativi che allungano la percezione del già molto lungo minutaggio effettivo, una evidente piattezza narrativa, una superficialità nella scrittura dei personaggi, scene d’azione pensate non benissimo, un montaggio da pilota automatico e un uso della colonna sonora che possiamo definire almeno didascalico.

Si, avete capito bene, è proprio un brutto film.

Eppure, al termine della proiezione di Jurassic World – Il Dominio ho udito applausi e forse nel box office gli studios troveranno dei nuovi motivi per resuscitare ancora una volta il nostro Frankestein. La speranza è allora che la prossima volta gli diano anche quella spinta vitale che gli faccia venire la voglia di dirci qualcosa, almeno per ricordarci di lui dopo aver finito di vederlo. Io me lo auguro perché questo film, nella sua spudorata e manifestata mancanza di idee, ci segnala che forse siamo ancora prede di quella, maledetta, atavica assuefazione. Altro che locuste.

Jurassic World – Il dominio è in sala dal 2 giugno 2022.

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Jurassic World - Il Dominio
Recensione di Jacopo Fioretti

Jurassic World - Il Dominio è il terzo capitolo della trilogia conclusiva (per ora) del franchise iniziato da Spielberg del 1993. Il ritorno alla regia di Colin Trevorrow dopo il film del 2015 è il manifesto del blockbuster autogiustificativo, completamente derivativo e, cosa più grave, sfacciatamente privo di idee. L'intero impianto narrativo, molto poco coerente, è improntato su un fan service senza freni, confezionato anche male sia dal punto di vista registico che di sceneggiatura. Lo testimonia più di tutto un casting votato solo al recupero delle vecchie glorie della saga per creare quel tanto riproposto effetto catartico con i nuovi protagonisti, evenienza che neanche accade. Un film che butta all'aria tutte le interessanti premesse del prequel per andare incontro ad una confusione quasi totale e ottenendo uno dei blockbuster più brutti degli ultimi anni. In tutto ciò, ho forse mai menzionato la parola "dinosauri"?

ME GUSTA
  • I primi cinque minuti, quelli in cui i dinosauri contano qualcosa. Si potrebbe ripartire da lì. Loro eh, io non ho il coraggio. Forse è un contro anche questo.
FAIL
  • La totale mancanza di idee originali.
  • I deficit nel ritmo, nella regia, nella gestione dei tempi e l'assenza di coerenza narrativa.
  • La pessima scrittura dei personaggi.
  • La totale mancanza di potenza emotiva in ogni singolo elemento di fan service.
  • Questo è un contro per me: al pubblico è piaciuto. Sono di nuovo in crisi.