La folgorazione per il piccolo schermo della prima parte del 2022 (ha debuttato il 18 febbraio ed è terminata l’8 aprile, 9 episodi totali) arriva su Apple Tv+, che, bisogna dire, si sta lanciando sempre di più a passo spedito nel mondo delle produzioni originali, collezionando prodotti sempre notevoli e, per di più, dando l’impressione di, come si dice, “avere appena cominciato“. Noi ne siamo, ovviamente, ben contenti anche se sarà difficile, se non impossibile, che la regola possa essere la vetta qualitativa raggiunta da questo gioiellino di cui stiamo per parlare.

Proviamo a scrivere la recensione di Scissione (Severance in originale) rimanendo fedeli a quella che appare come la evidente volontà che ha mosso il suo creatore, Dan Erickson, e che poi è diventata il merito principale della serie stessa, ovvero la sua capacità di creare un dialogo costante ed efficace con lo spettatore.

Come ha fatto? Come si fa con qualsiasi interlocutore, refrattario o meno alla prospettiva di mettersi in discussione: si crea una cornice ideale.

Si può, per esempio, prenotare un tavolo per due nel ristorante preferito del proprio ospite, possibilmente vicino alla finestra, dopo, naturalmente, aver promesso di pagare il conto, e poi ordinare un buon vino. Solo a quel punto si può cominciare il processo di rivelazione del nostro intento, con calma, certosina prudenza e buona dose di fascino.

Prendiamo come ristorante, cibo e bevande il comparto registico, composto da Ben Stiller (che dirige 6 episodi e fa anche da produttore) e Aoife McArdle (i restanti 3), lo straordinario cast, composto da Adam Scott, Britt Lower, Zach Cherry, John Turturro, Patricia Arquette, Tramell Tillman, Jen Tullock, Dichen Lachman e Christopher Walken, e, soprattutto, il setting, derivativo, ma originale, ispirato come poche altre volte negli ultimi anni.

L’invito può essere l’incipit, di fatto l’unico, vero, momento informativo dell’intera stagione, mentre il vino non può che essere la primissima rivelazione della trovata caratterizzante del titolo, quel particolare passaggio che ci mostra i due binari in cui si divide la storia (“Scissione“, non a caso).

Istantanea che prelude più ad una dimensione da meccanismo giocoso che ad un viaggio multidimensionale all’interno della condizione esistenziale dell’uomo del XXI secolo.

Su cosa si fonda la nostra unità cosciente? Cosa ci rende ciò che siamo? Quanto è importante la memoria? Che cosa troviamo di confortevole e spaventoso nell’essere dei nativi digitali e invece cosa troviamo di così protettivo nella natura alienante dell’attività impiegatizia, tanto da riproporla anche nel nostro privato? Cosa ci affascina delle prigioni? Cosa ci porta alla divinizzazione dei nostri superiori? Cosa ci spaventa della maternità? Perché siamo così legati ai traumi? Da dove nasce il nostro bisogno di un ordine superiore?

Tutte cose con cui è splendido intrattenersi durante una cena un po’ alticcia, no?

 

 Gli inquilini del piano della scissione

Inquilino uno. Mark Scout (Scott) sta per iniziare un giorno lavorativo dall’importanza chirurgica per la sua vita alla Lumon Industries, multinazionale presso la quale lavora ormai da anni. Infatti, dopo l’improvviso licenziamento del suo precedente collega nonché capo del reparto nonché migliore amico, Petey (Yul Vazquez), è arrivato per lui il momento di un salto di carriera. Questa è la volontà del Consiglio, questa è la volontà della divina famiglia Eagan e questo è ciò che esegue la signora Harmony Cobel (Arquette), l’autorità papale, rappresentante in Terra degli ancestrali ordini provenienti dai vertici aziendali.

Una notizia gioiosa anche per i suoi vicini di scrivania, prima pari e ora sottoposti, Dylan (Cherry) e Irving (Turturro), inquilini due e tre, perché consapevoli dell’ingenua bontà di Mark, da sempre un collega pacato e gentile. Forse troppo per sostituire un uomo a cui era molto legato e sotto la cui guida aveva trovato una serenità invidiabile. Il suo primo incarico sarà accogliere e formare una nuova inquilina (la quattro), tale Helly (Lower). Un bel battesimo di fuoco, fidatevi.

I nuovi arrivati sono infatti comprensibilmente recalcitranti ad accettare una condizione impostagli da altri e nella quale saranno costretti vivere dal momento in cui apriranno gli occhi per la prima volta.

Adam Scott e Britt Lower

Sapete, tutti gli inquilini del piano della scissione sono il risultato di una scelta presa dai loro dirimpettai nella vita reale, le loro versioni cosiddette più complete, le quali hanno accettato di farsi impiantare un microchip in grado di dividere le loro coscienze, separando i ricordi dell’ambiente lavorativo da quelli nel mondo esterno.

Due vita da una, prive del rispettivo distress, delle pressioni, degli avvicendamenti.

Affascinante vero? Il nostro Chianti per iniziare la conversazione. Le possibilità narrative sono infinite e ognuna di loro promette di essere stimolante come e più della sua alternativa.

No? Proviamo, ne propongo una io: se non solo fosse possibile invertire il processo di scissione, ma, anzi, giungesse notizia che qualcuno lo avesse già fatto e ora stesse cercando di trovare il modo di smascherare la presunta attività misteriosa della Lumon?

A me non sembra male.

La vita alla Lumon

Erickson parte dalla sua esperienza nel mondo impiegatizio per delineare una storia nella quale pone come centro narrativo l’estremizzazione della dimensione più alienante del mondo del lavoro, ma osservandola sotto un presunto punto di vista positivo, attivo.

Separare il lavoro dalla vita privata, scindendo i ricordi, è una scelta libera, una via salvifica che qualcuno ha individuato, considerato e poi intrapreso.

Una decisione che condanna la propria memoria, qui elemento fondante della coscienza e dunque prima unità da disintegrare quando si vuole scappare da sé. Peccato che rimanga, allo stesso tempo, il principale faro per evitare di perdersi (molto affascinante che il protagonista fosse un professore di storia), così legato alla natura umana da continuare a splendere sottotraccia. Lesa, ma comunque intravedibile.

Scissione

Ecco perché i dipendenti, pur essendo dei nuovi nati costretti a vivere in una dimensione dal loop infinito, cercano di trovare un equilibrio riproponendo o accettando, quasi spontaneamente, degli archetipi rimandanti colonne esistenziali della vita al di fuori dell’ufficio.

Una religione con i suoi testi sacri, idoli e insegnamenti, il conforto della dimensione classista e della visione gerarchica dell’organizzazione del quotidiano, ma anche un sistema successi/ricompense ed errori/punizioni, seguito da tutte le modalità di incentivo per il funzionamento individuale e collettivo illustrate nel corso della storia da economisti fordiani e tayloristi e da psicologi sociali e specializzati nel mondo del lavoro.

Ognuno degli inquilini è così un duplice modo per analizzare un particolare aspetto della natura umana, dato che permette, da una parte, di approfondire i motivi che possono portare un individuo a sottoporsi ad un intervento del genere e, dall’altro, di osservare come la vita umana riesca a muoversi per trovare quello di cui ha bisogno in qualsiasi forma e spazio. In questo caso uno che oscilla tra mentale e reale: artificiale, tagliato con il rasoio, geometrico, freddo, vuoto, ripetitivo, senza scampo o vie di fuga, completo di ramificazioni che isolano, ma allo stesso tempo invadono, permeano, inglobano a tal punto da fondersi, anche oltre la divisione delle coscienze dei protagonisti.

Tutti sono condannati a vivere in una prigione continua, in cui essi stessi si sono chiusi e la cui natura visiva premia addirittura le versioni che sono costrette al loop lavorativo, almeno loro possono vederla e, dunque, combatterla.

Al suo interno si consumano miracoli e peccati dei nativi digitali, resi dal creatore degli specchi dello spettatore, costretti a fare un lavoro automatico di cui non conoscono importanza o implicazioni e che provoca in loro delle emozioni ambigue e contradditorie, ma a cui finiscono inesorabilmente per legarsi. Una metafora di una realtà da ufficio, ma anche dello scrolling senza fine che adoperiamo su tutti gli schermi della nostra vita.

Scissione

Scissione muove i suoi passi da degli assunti psicologici e sociologici accattivanti, presentandosi come una serie ipnotica, elegante, raffinata, veramente stimolante ed incisiva, senza mai essere veramente ermetica o cervellotica, ma anzi avendo costantemente cura di essere fluida. Nell’ultima parte prende una via meno esistenziale e più pratica, puntando su una dimensione molto più emotiva fino a diventare politica, cioè abbandonando la parte analitica e (auto)interrogativa per prendere una posizione. Accettate un consiglio fatevi invitare a cena, anche fosse solamente per il vino e una prima portata.

La prima stagione di Scissione è disponibile su Apple TV +.

80
Scissione
Recensione di Jacopo Fioretti

Scissione è la nuova serie thriller sci-fi originale Apple, la cui prima stagione è andata in onda dal 18 febbraio all'8 aprile di quest'anno. Il titolo è ideato da Den Erickson, diretto (molto bene) da Ben Stiller (per lo più) e Aoife McArdle, e conta su un cast di primo livello, in cui troviamo nomi come Adam Scott, Britt Lower, Zach Cherry, John Turturro, Patricia Arquette e Christopher Walken, oltre che su una resa visiva straordinaria soprattutto per scenografia e fotografia. La storia ruota attorno alla possibilità di poter separare la propria memoria, quindi coscienza, tra ambiente lavorativo e vita privata, trovando in questo escamotage narrativo il modo di parlare di alienazione, digitalizzazione, filosofia, politica e religione, pur raccontando una vicenda affascinate e accattivante, animata da dei personaggi perfettamente scritti e interpretati. Un gioiello, forse il vero gioiello dello streaming del 2022. Vi fareste un torto a negarvela.

ME GUSTA
  • La regia e la fotografia ispirate e perfettamente in armonia con la funzionalità della splendida scenografia.
  • Le splendide prove degli interpreti, praticamente tutti chiamati ad un doppio ruolo.
  • La qualità della scrittura è di quelle rare, in grado di parlare di filosofia, psicologia, economia e letteratura, senza dimenticarsi di storia e personaggi.
  • Raramente capita di trovare un titolo in grado di includere così tanto lo spettatore.
FAIL
  • Non è una serie da binge watching, questo potrebbe allontanare un certo pubblico.