Bang Bang Baby, la recensione: allinearsi o reinventarsi

Bang Bang Baby

Ci sono voluti più di due anni di lavoro per Amazon Studios e il gruppo Fremantle, sotto le bandiere di The Apartment e Wildside, per venire a capo di un prodotto seriale italiano degno dell’ambizione di provare a proporre qualcosa di realmente nuovo nel panorama nostrano. Due anni, faticosi a detta degli stessi creativi, che, qualsiasi sia il responso del pubblico nazionale e non (sono 241 i Paesi che vedranno la serie), hanno portato ad un titolo che è andato a toccare nuovamente gli argini con cui si sono dovuti misurare autori come Sollima e, recentissimamente Ammaniti e Rovere, seguendo la via di pezzi da novanta come Gabriele Mainetti. C’è anche Sorrentino in realtà, ma lui è un discorso più individuale che collettivo, come l’eco che accompagna il lavoro degli altri.

La recensione di Bang Bang Baby, il nuovo Original tutto italiano creato da Andrea Di Stefano (Escobar, The Informer – Tre secondi per sopravvivere), mantiene le promesse che aveva evocato al momento dell’uscita del primo teaser, presentandosi come un prodotto spinto dalla volontà di essere un lavoro dal respiro internazionale, liberandosi il più possibile dai riferimenti locali, senza però perdere la centralità della provenienza italiana.

Una sfida molto ardua che però il team creativo composto, oltre a Di Stefano, da Valentina Gaddi e Sebastiano Melloni e dai tre registi Michele Alhaique (alla direzione di 6 episodi su 10), anche supervisore tecnico, Giuseppe Bonito e Margherita Ferri è riuscito a centrare senza sacrificare granché della logica del racconto, pur osando manipolarlo oltremodo.

La chiave è probabilmente stata quella di rifarsi alla storia vera di Marisa Merico, raccontata anche nel suo libro L’intoccabile.

Ambientata in quegli anni ’80 che hanno permesso l’inserimento di reference che guardano oltreoceano (le reti private che all’epoca hanno invaso le case degli italiani con le pubblicità delle Big Bubble e via dicendo, portandosi dietro videogiochi come Pac-Man o programmi televisivi ormai diventati cult), adoperate come ponte di congiunzione, a sua volta esaltato dalla decisione di adottare un linguaggio audiovisivo dedito all’emotività e alla ricerca di un’armonizzazione densa e vivace tra diversi registri postmoderni.

Coming of age noir, crime, comedy e grottesco, delineati secondo uno stile americano fuso ad un’epoca che ha fatto la fortuna degli americani in tv (Stranger Things, per dirne una) per raccontare un storia di malavita, quindi nostra, adottando la visione della protagonista.

Tutti motivi che non posso che rendere critica e pubblico entusiasti, a patto che si perdoni la continua tendenza a riproporre un immaginario altrui piuttosto che reinventare uno proprio. La partita creativa (dato che quella produttiva, vista la qualità, è praticamente vinta) si gioca tutta su questa sottile questione e, come la storia del cinema ci ha sempre insegnato, è lei quella che conta davvero.

Le prime cinque puntate di Bang Bang Baby arrivano su Prime Video il 28 aprile 2022, le restanti cinque il 19 maggio.

Quanto è profonda la tana del Bianconiglio?

1986. Alice (Arianna Becheroni) è un’adolescente di Bussolengo (un paio d’ore da Milano) cresciuta da Gabriella (Lucia Mascino), madre single in piena febbre da movimenti per l’emancipazione femminile, la cui vita è stata segnata dalla tragica scomparsa del padre, Santo (Adriano Giannini).

La ragazza combatte con una forte timidezza, orribile colpa che i suoi adorabili compagni di scuola non mancano di farle notare ad ogni occasione, anche se, per sua fortuna, a condividere con lei le continue vessazione dei bulli c’è Jimbo (Pietro Paschini), il suo compagno di banco che ha invece l’onta dell’omosessualità. Una vita incanalata su dei binari poco stimolanti, i quali, nel migliore dei casi, porteranno Alice a ripercorrere le orme materne fino ad un posto fisso in fabbrica (che comunque male non è alla fine).

Tutto cambia con l’improvvisa scoperta che Santo è in realtà più vivo di quanto si possa pensare, una notizia che Gabriella mai avrebbe voluto arrivasse alla figlia, la quale trova una determinazione mai esperita prima e decide di partire alla volta del capoluogo lombardo.

Arianna Becheroni

Il padre però è niente di meno che un membro della Famiglia Barone, una delle più importanti appartenenti alla n’drangheta calabrese con a capo sua madre, donna Lina (Dora Romano), detta Nonna eroina data l’attività di cui la combriccola si occupa nel Nord Italia.

Per Alice si profila all’orizzonte la possibilità non solo di riabbracciare il padre creduto a lungo scomparso, ma anche quella di riscoprire una parte della famiglia (e dunque di sé) che potrebbe consegnarle quell’identità che ha cercato per tutta la vita. A patto che decida di sporcare la sua soffice coda bianca.

In equilibrio precario

Bang Bang Baby è una serie frutto di un enorme sforzo collettivo, ogni produzione audiovisiva lo è dopotutto, la differenza sta in quanto questo traspare dal risultato finale. In questo caso è facilmente leggibile come la serie sia un’orchestra con tante melodie diverse e che ha trovato, probabilmente in Alhaique, un maestro coerente, in grado di accettare la complessità dell’anima che è stato chiamato a far suonare.

Questa non è una serie addomesticata, che ha voluto sacrificare dei lati per dare più spazio ad altri, ma, anzi, è un prodotto che ha cercato di coniugare le sue ambizioni di distribuzione internazionale con la ricchezza del materiale da cui trae spunto.

Il mix di attori tra conosciuti e meno (nel cast ci sono anche profili solidi che non si è nominato come Antonio Gerardi, Denise Capezza, Barbara Chichiarelli e Carlotta Antonelli, oltre a volti nuovi come Giorgia Arena e Giuseppe De Domenico) fa un lavoro molto importante, sposando in piena la linea di crime e grottesco in salsa coeniana che permea tutta la serie. La presenza di un riferimento forte come i fratellini di St. Louis Park in scrittura fa scopa con la componente visiva, che guarda ai neon di Refn e al pulp di Tarantino (e anche al mondo dei fumetti), per colori e per movimenti di camera, da subito sintonizzati con il punto di vista della protagonista, come ogni storia di formazione che si rispetti, adottando la trovata del realismo magico come via in grado di rendere coerenti i cambi di tono.

Adriano Giannini

A questo si aggiunge l’opportunità del riproporre gli anni ’80, che non solo hanno in comune con i post duemila lo spirito globalizzato della cultura, ma che sono anche stati scenario di un cambiamento sociale tutto italiano che ha permesso agli autori di giocare con una visione macchiettistica del Sud e del Nord, due mondi talmente agli antipodi che sembra impossibile appartenessero allo stesso Paese, ma che invece lo hanno reso molto ricco. Una ricchezza, tra tradizione e innovazione, di cui la serie non si fa pregare di approfittare.

E allora perché non sto parlando della serie italiana più importante degli ultimi anni?

Le prime 5 puntate di Bang Bang Baby (quelle che abbiamo avuto modo di vedere in anteprima) promettono benissimo, divertono, intrattengono e stupiscono, tanto che non vediamo l’ora di vedere il proseguo. Ciò che suscita più di un dubbio è la tempistica, che ci vede continuare ad inseguire, correndo il rischio concreto e continuo di allinearsi invece che reinventarsi. La serie non vuole sacrificare la storia, ma ciò che emerge è la continua ricerca del raggiungimento un certo tipo di forma scoperta da altri, un comportamento tipico di un discepolo che, pur con tutta l’intelligenza e il mestiere del mondo, non porta mai molto lontano. Staremo a vedere.

Le prime cinque puntate di Bang Bang Baby arrivano su Prime Video il 28 aprile 2022, le restanti cinque il 19 maggio.

70
Bang Bang Baby
Recensione di Jacopo Fioretti Raponi

Bang Bang Baby è il nuovo Original tutto italiano in arrivo su Prime Video e prodotto da The Apartment e The Wildside. Si tratta di una serie che nelle intenzioni del team creativo vuole essere un prototipo nel nostro panorama, partendo da delle ambizioni di allineamento ad un linguaggio moderno ed internazionale e cercando di coniugarle ad uno spirito italiano grazie al materiale, vero, da cui muove i passi la storia che racconta. Un prodotto complesso, supportato da un cast interessantissimo e che riesce a trovare una forma molto efficace grazie ad una gestione che parte da basi essenziali per poi spaziare tra generi, toni e stili che nel loro coesistere trovano anche una coerenza più o meno riuscita. L'intelligenza, il mestiere e l'indubbia e anzi lodevole dedizione di chi ha lavorato alla serie tradiscono però un interesse primario che non è quello del raccontare una storia, ma di servirsene, con il rischio di rimanere ad inseguire una visione non nostra, invece che reinventarsi.

ME GUSTA
  • L'ottima prova del cast, ottimamente bilanciato tra volti nuovi e affermati.
  • I meriti produttivi.
  • La qualità della messa in scena, in grado di adottare un linguaggio contemporaneo e internazionale.
  • L'intelligenza nella gestione della coesistenza di diversi registri linguistici.
  • Integrazione tra radici italiane e ambizioni globali.
  • La serie costituisce un prototipo per il nostro Paese.
FAIL
  • Il rischio di continuare ad inseguire un'idea altrui invece che reinventarla.
  • Le ambizioni distributive della serie pesano di più di quelle narrative.
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