È incredibile pensare ora, da questo mondo nuovo, a Venezia76 (anno 2019), una delle edizioni recenti più importanti della Mostra del Cinema del Lido (quella del Joker Leone d’oro e di Luca Marinelli Coppa Volpi, ma anche di Kore’eda, di Larraìn, di Baumbach, di Polanski e Soderbergh) e l’ultima prima dell’avvento di tamponi, file e mascherine. È incredibile pensare a quella “normalità” lì, senza dubbio, ma lo è ancora di più soffermarsi sul contenuto di una delle eccellenze di quel Festival, la pellicola vincitrice per distacco della sezione Orizzonti. Uno di quei titoli che, al netto dei giganti in concorso ufficiale, rubò l’occhio della critica presente e che oggi si è drammaticamente rivelata uno di quei casi cinematografici dai risvolti incredibili.
Nella recensione di Atlantis (o Atlantyda) vi parliamo del quarto film di fiction (c’è anche un documentario al suo attivo) del regista e direttore della fotografia ucraino Valentyn Vasyanovych, che è tornato a Venezia nel 2021 con il bellissimo Riflessione (stavolta in concorso) e che, mentre si sta scrivendo questo articolo, sta combattendo contro i Russi nell’Ucraina orientale. Drammatico scherzo del destino o normale conseguenza degli eventi per un autore che nella pellicole con cui trionfò nella sezione parallela del festival ipotizzò un futuro distopico in cui la sua patria era stata impegnata in un conflitto con le forze del più vasto Stato del mondo.
Se nel caso della pandemia poco si poteva prevedere all’epoca in cui si viveva l’oggi tanto rimpianta atmosfera del Festival, il film di Vasyanovych avvertiva di un conflitto già in atto da diversi anni nel suo Paese, ma classificato da noi, come dal resto del mondo, come una cosa che non ci avrebbe potuto mai riguardare.
Nonostante la guerra secessionista in Donbass sia stata raccontata già da altri, ben prima della presentazione di questa pellicola, così come quella in Cecenia.
Di certo non è nostra intenzione parlare di geopolitica o di lasciarci andare a facili paternalismi retroattivi. Noi proviamo a parlare di cinema e dunque vi diciamo che questa bellissima pellicola è nelle nostre sale grazie a Wanted Cinema per un periodo limitato che va dall’11 al 13 aprile 2022 solo in sale selezionate e che non dovete assolutamente perdervela.
Oggi, dicevamo, la visione fa ovviamente più impressione, ma non si tratta di una pellicola/cronistoria di un conflitto, quanto di una poetica rappresentazione di una terra che ora che è stata violentata, deve essere rinconquistata, ma non con la forza delle armi.
Pellegrinaggio in terra straniera
Ucraina, 2025. Da un anno è terminato il conflitto con le forse russe e ormai la realtà come lo conosceva la popolazione autoctona non esiste più. Anche le fonderie, ultime roccaforti fatiscenti di un’era passata, sono in procinto di chiudere, a favore di una nuova età tecnologica che però risulta fredda, distante e irricevibile. La madrepatria è ormai solamente una landa desolata, grigia e ostile, incapace di dare frutti per saziare i suoi figli o di donare loro acqua incontaminata per poter provvedere alla loro sete.
L’unica cosa che esce dal suo terreno sono i morti, di entrambe le fazioni, perché tutto quello che ha raccolto negli ultimi anni sono i corpi della guerra e le mine antiuomo.
L’ex soldato Sergeij (Andriy Rymaru), affetto da disturbo post traumatico da stress, è ormai incapace di continuare a vivere come era solito fare prima del conflitto e dunque, dopo la perdita del suo amico e compagno d’arme, decide di avventurarsi per un nuovo viaggio proprio all’interno di quella zona inospitale per la quale ha combattuto così duramente.
In quelle pianure trova un’associazione di volontari specializzata nel recupero di cadaveri di guerra, che assomiglia più che altro ad un progetto di bonifica del territorio, guidati da una dottoranda in archeologia, Katya (Liudmyla Bileka), che invece di studiare corpi di un’epoca passata, si occupa di quelli della sua stessa età.
Come se la storia si fosse, improvvisamente, resettata.
Resettata, ma non fermata o, almeno, non per sempre. Anche una terra segnata dalla morte può essere riadattata alla vita, deve essere però coltivata e non bombardata, in modo che nel suo terreno non sia possibile rintracciare più solo ferro e carne.
Un nuovo uomo
La pellicola di Vasyanovych ci consegna un autore di grandissima consapevolezza e conoscenza del mezzo cinematografico. Un regista colto, fermo e dalle idee molto chiare, sia per la costruzione della vicenda dal punto di vista visivo che per la direzione dei suoi attori. Tutte doti confermate poi dall’opera successiva.
Quello che più è straordinario di Atlantis, al netto dell’incredibile qualità dei piani sequenza con cui divide la narrazione, l’intelligente scelta di non usare mai un’inquadratura ravvicinata, la potenza delle immagini e i richiami straordinari a visioni che celebrative cinema e letteratura distopica (1984 di Orwell in primis) sta nei sottotesti che ne permeano l’intero minutaggio.
Il regista decide di creare una storia dall’incredibile ottimismo, pur rappresentando la drammaticità e la disperazione della morte e della rovina, non sono richiamandola, ma mostrandocela più volte in tutta la sua insostenibile crudità.
Il suo non è un lavoro dall’impronta politica, quanto il racconto di un viaggio per trovare il proprio posto nel (nuovo) mondo, intrecciato con una forte denuncia di un disastro ecologico, che nasconde al suo interno un incredibile messaggio di positività rintracciabile sia nelle scelte di chiusura e di apertura, in cui ci viene donato uno sguardo in grado di andare oltre la nostra realtà e scambiando l’ordine naturale di vita e morte, sia nel suo principale riferimento cinematografico.
Atlantis è una pellicola inserita fortemente nella tradizione slava e che sembra fare del suo faro principale il lavoro di un monumento come Tarkovskij, il più importante cineasta russo, che più di tutti gli altri suoi compatrioti ha dovuto subire il tradimento della sua patria, passando i suoi ultimi anni di vita proprio nel nostro Belpaese, in attesa di un ritorno che non si è mai avverato. Se fosse reale nella testa del regista come sembra dalla visione, un abbraccio di tale idea di cinema da parte di Vasyanovych vorrebbe dire decidere di non negare un ponte che culturalmente ha sempre legato e forse legherà per sempre i popoli protagonisti del conflitto, rendendo il suo film un documento che ha la speranza e la fratellanza non solo nel suo contenuto, ma nel DNA con il quale è stato pensato e realizzato. Sentimenti che facciamo nostri, consapevoli del fatto che la vita può tornare a nascere sempre, a patto che le sirene smettano di squillare. Speriamo accada presto.
Atlantis è al cinema dall’11 al 13 aprile 2022 distribuito da Wanted Cinema.
Atlantis (o Atlantyda) è la meravigliosa e drammaticamente profetica pellicola del 2019 del regista e direttore della fotografia ucraino Valentyn Vasyanovych, vincitrice nella sezione Orizzonti di Venezia76. Il film parla di un futuro distopico in cui un ex soldato affetto da disturbo post traumatico da stress parte per ritrovare se stesso nell'Ucraina orientale all'indomani di una guerra tra il suo Paese e la Russia, terminata nel 2024. Testimonianza di un conflitto altamente prevedibile in un lavoro che ne racconta le conseguenze emotive e psicologiche, tenendosi lontano da un messaggio politicamente impegnato, ma decidendo di virare su una narrazione poetica di una terra in rovina perché incapace di essere di nuovo una madre per i suoi figli. Un film potentissimo che riesce a fondere la cruda rappresentazione della morte con un lirismo fortemente positivo, adottando delle scelte che sia nella forma che nel contenuto richiamano sentimenti di speranza e fratellanza, sperando sia d'ispirazione e, soprattutto, profetico anche in questo.
- Il meraviglioso messaggio della pellicola.
- La qualità e la sapienza della regia e della fotografia.
- La scelta dei piani sequenza e la loro realizzazione.
- La direzione degli attori.
- La potenza visiva dell'opera.
- Non è un film per tutti, sia per la sensibilità collegata ai tempi che viviamo sia per il tipo di narrazione adottata.