Se mancava la prova definitiva dell’incapacità di Hollywood di proporre, ormai da anni a questa parte, un profilo credibile in grado di reinventare l’erotismo come arma filmica principale, basterà pensare ad una produzione che ha scelto di far tornare dietro la macchina da presa Adrian Lyne, a vent’anni dalla sua ultima fatica. La Hollywood postmoderna, così determinata ad essere antirazzista e antisessista da diventare una delle industrie più violentemente pudiche, correndo costantemente il rischio di essere ipocrita (una novità). Con la negazione non ci può essere inclusione, di solito. Di sicuro incapace di creare prodotti con una tensione sessuale reale, quella che ormai appartiene solo ai grandi perché più sottili di produttori e spettatori, che si riempiono gli occhi di sequenze e dialoghi i quali, se cambiati anche solo leggermente, farebbero gridare allo scandalo.
Dunque, nella recensione di Acque Profonde, ci troviamo di nuovo a parlare (con sommo piacere, per carità) di un nuovo film di Lyne, il regista britannico che soprattutto negli anni ’80, il momento di massima tolleranza ed immaginazione erotica, ha sfornato dei cosiddetti istant cult di indubbia qialità (9 settimane e ½ , Attrazione fatale). Lo stesso che si occupò del remake di Lolita del 1997 e che ha regalato a Diane Laine la sua prima e unica candidatura all’Oscar per L’amore infedele – Unfaithful.
Il thriller, in arrivo su Prime Video il 18 marzo 2022, non è però una semplice pellicola che inizia e finisce filtrando con il cinema a luci rosse. C’è molto di più, ovviamente, e non parliamo della coppia da copertina (che in copertina c’è stata ben poco in realtà) formata da Ben Affleck e Ana de Armas, ma delle scelte in sede di trascrizione dei due sceneggiatori.
Acque Profonde è infatti il secondo adattamento cinematografico del romanzo omonimo del 1957 (il primo risale al 1981 ad opera di Michel Deville con Jean Louis Trintignant e Isabelle Huppert) scritto da Patricia Highsmith, la scrittrice statunitense creatrice del personaggio di Tom Repley, portato al cinema da diversi registi come René Clément, Anthony Minghella, Wim Wenders e Liliana Cavani, e ispiratrice con il suo Sconosciuti in treno la pellicola L’altro uomo di sua maestà Alfred Hitchcock.
La sceneggiatura stavolta è stata affidata a Zach Helm e Sam Levinson (Euphoria, Malcolm & Marie), creatori di un grigio torpore morale in cui far germogliare un thriller che soprattutto mira alla critica sociale della classe borghese e dello schema matrimoniale. Notiamo anche una puntina di neoffeminismo nel personaggio della de Armas? Su questo hanno peccato parecchio, se così fosse.
Ecco gli ingredienti per giustificare questa improvviso ritorno all’insegna dell’assenza di pudicizia, o meglio all’insegna di un erotismo da cameretta.
Ma che ci volete fare, it’s Hollywood postmoderna, baby.
“Nella vecchia fattoria…”
Vic (Affleck) è “un genio e un ricco sfondato” che ha fatto di sé un casalingo appassionato di mountain bike ed editore per hobby di una rivista fotografica grazie all’invenzione di un chip per droni utilizzati per scopi militari. Ergo la sua vita si poggia su un benessere dall’origine moralmente discutibile. La sua lei è una straniera, la bellissima Melinda (de Armas), per lo più nullafacente con un debole per le feste e per le compagnie di altri uomini, più giovani e freschi del suo rigido compagno di vita.
Il loro è un matrimonio puramente di facciata, governato da una freddezza crudele in cui si intervallano momenti di “ribellione” alla situazione della ragazza, che nelle feste dei ricchi e annoiati compagni di merende della coppia non si fa problemi a nascondere, mettendo in imbarazzo il suo lui, a lampi di passione puramente sessuale.
La violenza, dunque, è ciò che li unisce davvero.
Quella e la loro figlioletta Trixie (Grace Jenkins), completamento di un triangolo familiare che pende enormemente di più dalla parte paterna, figura genitoriale con la quale la piccola appare assolutamente schierata. D’altronde la sua nascita è stata voluta quasi esclusivamente da Vic, così come il matrimonio, e ora ne pagherà le conseguenze.
Più o meno il leitmotiv con cui ci viene presentata Melinda: donna spietata, odiosa e un po’ vuota (bellissima neanche ve lo sto a dire). Femme fatale dal sorriso giocoso, stretta nella morsa contradditoria di una visione che la vede prigioniera di una recita matrimoniale patriarcale e castrante e di un’altra che la identifica come donna insensibile e incapace di provare rispetto per l’uomo che la mantiene e la sopporta. Vic ovviamente ne è l’esatta parte speculare, da cui però sceneggiatori e regista partono e si mantengono per tutto il film, facendo del suo sguardo anche il nostro.
Un modo per rendere l’oggetto del desiderio suo anche il nostro, di pari passo.
Questa sorta di abominio familiare lo troviamo in una casetta di legno, in mezzo al bosco, simile alla vecchia fattoria che Trixie fa riprodurre ad Alexa solo per far impazzire mamma Melinda, solo che di bestie troviamo solo le lumache di papà Vic, almeno ad una prima occhiata.
Vecchi volti e nuove intenzioni
Il nuovo Adrian Lyne è probabilmente nato con l’intenzione di una rimodernizzazione un genere cinematografico rimasto fermo a 20 anni fa forse anche perché il trend su cui si è orientato il cinema ha portato verso altri toni e linguaggi. Per tanti motivi, per lo più storici e culturali, niente di nuovo.
Non sorprende dunque di ritrovarci di fronte ad un film che, pur riproponendo una tensione derivante dal gioco passivo e immobile del guardarsi a vicenda per non esplodere mai, si concentra al fine più sul suo messaggio politico che sulla danza di corpi ed energie dei due protagonisti. Peccato perché sono apparsi assolutamente bene amalgamati, come da previsione. Soprattutto Ana de Armas, in forma smagliante, a suo agio nel lavorare con l’elefantiaco Affleck in modo da far esaltare ancora di più la sua energia filiforme e la sua luce da eterna bambina.
Affidarsi a dei vecchi classici privandoli dei meccanismi che permettono loro di funzionare non è il miglior modo per fare un film veramente compiuto.
Risultato: un thriller erotico in cui si perde il fuoco e l’anima che fanno da contenuto ai rapporti di potere della coppia a favore della riuscita delle metafore sociali. Ancora troppo pudici mi sa. Fatto sta che a questo punto devi azzeccare la trama, per forza, ma se non la azzecchi?
Acque profonde è Lyne che fa Lyne e dunque ci presenta un’ottima atmosfera (buona la fotografia di Eigil Bryld) vecchio stile per un film che per essere moderno castra la sua natura, finendo con l’esaltare più che altro il suo aspetto datato. Il problema è ben visibile nella divisione dei tre atti del film, nell’ultimo dei quali è attesa un’esplosione che per echeggiare come si deve necessita di una base ottima di scrittura proprio in senso meccanico: sviluppo di storia e intreccio, che però non c’è. Se la costruzione è sacrificata per un messaggio che la rende monca, arriva solo lui, il film non più, lento come Vic… e le sue lumache.
Acque profonde arriva su Prime Video il 18 marzo 2022.
La recensione di Acque Profonde, il nuovo lungometraggio di Adrian Lyne a vent'anni dalla sua ultima fatica, da noi su Prime Video. Un thriller erotico più che altro concentrato sulla destrutturazione della famiglia e della società borghese con al centro della scena il funzionale duo formato da Ben Affleck e Ana de Armas e affidato ad un vero e proprio specialista del genere, nonché secondo adattamento per il cinema dell'omonimo romanzo di Patricia Highsmith. La pellicola gioca con dei vecchi meccanismi nella costruzione dei giochi di potere sessuali, poggiati su un sistema di sguardo reciproco e reciproca passività al momento delle esplosioni di violenza. Meccanismo però monco dato il tentativo di modernizzazione della pellicola, che soffre lo scarto di tanti anni che accusa il cinema da cui proviene. Ne esce un piacevole thriller leggibile e preciso nei suoi significati accessori e dall'atmosfera più che buona, ma manchevole di contenuti nell'impianto tensivo tra i protagonisti e dalla trama claudicante.
- L'atmosfera da thriller alla Lyne è ben presente.
- La chimica tra i due attori è ottima e la de Armas è protagonista di una bella prova.
- La metafora politica è forte e chiara.
- La bravura e il mestiere del regista si fanno sentire, se vi piace lui vi piacerà comunque il film.
- La sceneggiatura pecca, soprattutto nel terzo atto.
- La tensione, anche erotica, è costruita con il freno a mano tirato.
- In generale, questa nuova versione del libro della Highsmith sa molto di già visto.