Quando si prova a parlare di personaggi come Ennio Morricone, incommentabili per definizione, si rischia subito di diventare ruffiani, nel migliore dei casi, o banali, nei peggiori. La comfort zone dell’elegia e dell’omaggio è un richiamo talmente seducente da rendere l’allontanamento da essa la prima sfida emancipatoria per un parere valido. La migliore soluzione è quindi spesso quella di tenersi sul semplice, di parlare senza filtri. Bene, c’è un momento del documentario di Giuseppe Tornatore in cui Bernardo Bertolucci, uno tra i (tanti) cineasti, musicisti e collaboratori interpellati, commenta Morricone definendolo “un parente“. Nella gara alla definizione che possa meglio intercettare la trasversalità alla base dell’opera immortale del Maestro, diviso nell’animo e nella carriera tra il peccato della musica da cinema e la purezza della musica assoluta, questa è probabilmente la più riuscita. La grandezza di un’icona della musica contemporanea non sta nella quantità della sua produzione e nella qualità di un tema o due, ma nell’essere divenuta la colonna sonora del ‘900. Uno score che chiunque è in grado di rintracciare nella propria quotidianità, come se a tutti appartenesse o a tutti facesse sentire il diritto di affermare che quel brano, quell’incipit, quelle due note parlino a me o di me.
Nella recensione di Ennio, l’ultima, meravigliosa, pellicola di Tornatore presentata fuori concorso a Venezia78, vi parliamo di un lavoro realizzato in 5 anni e girato in 11 giorni, ma nato grazie ad una collaborazione trentennale, come quella tra i due professionisti. Un lavoro, per altro, da molto nella loro testa. Tornatore scrisse con Morricone anche un libro, Ennio, un maestro, nel 2018, in cui l’impronta del film è già fortemente rintracciabile.
Il documentario, in anteprima al cinema il 29 e 30 gennaio 2022 e poi in uscita nazionale nelle sale il 17 febbraio, affronta la sfida di raccontare una vita che ha intrecciato il suo percorso con quello della storia cinematografica per quasi un secolo, cambiandola radicalmente, inventandosi la musica per il cinema (“per la prima volta uscii dalla sala volendo comprare il disco della colonna sonora.” dice qualcuno a caso) e influenzando anche la storia del nostro Paese.
Tornatore la traduce in una partitura musicale, riuscendo a far ascoltare le immagini, non solo delle pellicole, ma anche della vicenda esistenziale del Maestro, restituendo una visione decostruita della sua icona solo per aumentare la consapevolezza della sua grandezza e fissarla nell’etere.
Ennio a tutto tondo
Tutto parte da un cronometro.
Lo scandire del tempo che passa, ma anche la misurazione analitica dello stesso, un modo logico di rapportarsi al mondo, di vivere l’esistenza e di articolare il pensiero.
Ennio Morricone giocava a scacchi, era il suo modo di imparare il gioco della vita, apprendere la pazienza, sopportare la frustrazione e affrontare una resistenza avversa.
Così si approccia all’impresa anche Tornatore, che mette in fila la ricchezza dell’opera del Maestro secondo un ordine cronologico e compone con logica un mosaico di contributi intorno al tema principale, l’intervista a Morricone stesso.
Si inizia dal racconto dell’infanzia di un figlio timido, che voleva fare il medico, ma non aveva fatto i conti con il padre trombettista, “con la tromba ho dato da mangiare alla mia famiglia e così farai anche tu.”, non c’è scampo. Si continua con i suoi studi al conservatorio, prima con lo strumento a fiato per poi passare a composizione, periodo durante il quale il giovane già era diviso tra il privilegio di poter sedere nell’aula del maestro Goffredo Petrassi e “l’umiliazione” di dover suonare la tromba per poter mangiare. In giro per i locali, fino alle 5 di mattina.
Da cui il lavoro in RCA come arrangiatore rivoluzionario (barattoli, fischi, rumore dell’acqua e splendide voci di coriste) e poi l’incontro con il cinema, dal primo approccio nei western sotto lo pseudonimo di Dan Savio, passando per Il federale di Salce e, finalmente, il sodalizio con Sergio Leone per la Trilogia del Dollaro, momento in cui avviene “lo shock culturale“.
Poi il successo, il riconoscimento, il plauso internazionale, a discapito di un pregiudizio reiterato proveniente da un mondo accademico che continua ad etichettare Morricone come un traditore della musica assoluta.
Incredibile come il sentimento che ha a lungo prevalso nell’animo del Maestro sia stato quello di inferiorità e la sua voglia principale sia stata quella del riscatto sulla colpevolezza.
60 anni di carriera, 500 film, tante nomination disattese e infine 2 Oscar molto significativi (uno a mo’ di lettera di scuse degli americani terribili di Hollywood e un altro per una colonna sonora di un western in completa antitesi con tutte le altre che hanno fatto le fortune sue e del genere) tra i mille altri premi e, infine, le centinaia di concerti in giro per il mondo.
Una carriera onorata da lui e da altri in molti modi, anche se il riconoscimento più importante sta forse nella voce di un ragazzo proveniente da un’altra parte del mondo, che canticchia L’estasi dell’oro senza avere la minima idea del film per cui è stato scritto.
Il regista dopotutto controlla qualsiasi cosa, ma la musica, quella no.
Ho visto il film nella musica
Il meraviglioso documentario di Giuseppe Tornatore passa da un impegno corale incredibile, che parte dall’incommensurabile opera di conservazione della moglie del Maestro, Maria Travia, non solo del lavoro, ma anche dell’uomo Ennio Morricone, fino a quella straordinaria dei due montatori Massimo Quaglia e Annalisa Schillaci, capaci di dare al contenuto la dignità della forma.
Un documento mastodontico che riassume l’universo di Morricone attraverso volti, foto, dichiarazioni, ma, soprattutto cinema.
La trasversalità di una mente universale che è stata capace di riassumere le mille anime dentro di sé proprio perché ha trovato nel lavoro dei registi il terreno congeniale per esprimersi. La Settima è probabilmente l’Arte più generosa e inclusiva tra tutte, alla cui tavola Morricone ha occupato un posto d’onore, in qualità di inventore di un linguaggio che ha cambiato l’arte stessa. Per sempre.
Lingua popolare che intreccia la sua accezione colta, accessibile a tutti e per tutti inconfondibile.
Rivoluzionario e allo stesso tempo modesto, come nessun altro, Morricone riscriveva i film attraverso la musica, dettaglio macroscopico che Tornatore così bene descrive proprio perché lui di Ennio è stato collaboratore.
Uno dei meriti più grandi del documentario (almeno per i cinefili più fissati, perdonatemi) è proprio quello di far percepire come il lavoro di Morricone abbia modificato in maniera totale il senso dello story telling stesso, cosa che Leone forse aveva capito prima di tutti.
Il genio e la delicatezza di un uomo che usava la musica per combattere la solitudine, per ritagliarsi uno spazio di rivalsa a discapito di quello sguardo da la basso verso l’alto con cui usava approcciarsi agli altri attraverso quegli occhiali degni di un personaggio dei Peanuts. Così Ennio è divenuto un gigante, immortale, indimenticabile, anche tra duecento anni. “Timidezza enorme e determinazione abissale.”
Ennio è nei cinema in anteprima il 29 e 30 gennaio 2022 e poi in distribuzione regolare dal 17 febbraio 2022 con Lucky Red.
Ennio è lo straordinario documentario di Giuseppe Tornatore dedicato alla figura del Maestro Ennio Morricone, presentato fuori concorso a Venezia78 e successivamente al Bifest. Una pellicola sviluppata metodicamente secondo un ordine cronologico e strutturata come una partitura, in cui il filone principale è costituito proprio dal parlato di Morricone stesso, arricchito da tutte le testimonianze, i volti, le immagini di archivio, le sequenze dei film e, soprattutto, le musiche che ne hanno caratterizzato vita e carriera. Un'imperdibile ritratto a tutto tondo di un artista e di un uomo, destrutturato dalla santità che la sua icona ha comportato nel corso degli anni, per restituirne una grandezza che ne fissa l'opera ancora di più nell'etere. Meraviglioso.