Macbeth, la recensione: un mirabolante assolo d’autore

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Per ammissione dello stesso Joel, egli mai avrebbe realizzato questo film se il fratellino Ethan non si fosse dedicato ad altro, lasciando lui da solo al timone di una carriera che li ha visti fino ad oggi sempre camminare per mano lungo una filmografia a tratti leggendaria. Per motivi puramente formali (dice sempre il capellone) e la cosa non sorprende troppo chi conosce quali sono le dinamiche che hanno dagli inizi regolato il rapporto lavorativo tra i due. Nessuno avrebbe invece pensato che la sua prima scelta da solista potesse essere l’ennesima trasposizione shakespeariana, una sorpresa che sparisce già alla visione del trailer in realtà. La sua è una versione potentissima, dotata di un citazionismo elegante, una cura qualitativa di altissimo livello, dell’eleganza e la misura dei grandi e da senatori del set in forma smagliante.

Nella recensione di Macbeth (o The Tragedy of Macbeth) vi parliamo di uno degli esempi di “teatralità cinematografica” più importanti degli ultimi anni, messo insieme da un sodalizio straordinario che parte dal lavoro di Joel Coen (ovviamente), ma coinvolge in prima persona anche lo scenografo Stefan Derchant, il direttore della fotografia Bruno Delbonnel (amato da Tim Burton e già con i fratellini in A proposito di Davis) e del compositore Carter Burwell (habitué fin dai tempi di Blood Simple – Sangue Facile), testimonianza di un lavoro impostato e pensato attentamente, chissà da quanto tempo nella mente del cineasta di St. Louis Park.

Un adattamento impeccabile, che decide di ridurre all’osso il testo più corto del Bardo, mettendo in un contenitore razionalmente geometrico una storia di follia, evidenziandone il tratto nichilista con l’assenza di spiritualità e l’incidere del tempo (terreno).

Prodotta da A24, presentata in anteprima mondiale allo scorso New York Film Festival e in uscita da noi direttamente (purtroppo, purtroppo, purtroppo, mille volte purtroppo) su Apple TV+ dal 14 gennaio 2022, la pellicola vanta la presenza di un Denzel Washington straordinario, affiancato dalla sempre divina Frances McDormand e che sorprende con un tesoro nascosto chiamato Kathryn Hunter.

Il Macbeth secondo un Coen

L’elogio della follia sulla strada della ricerca del potere nonché esempio dell’archetipo più significativo e studiato sui rapporti di forza tra destino e volontà.

Il Macbeth rappresenta una delle più importanti tragedie della letteratura inglese e probabilmente della letteratura dell’intero Mondo Occidentale, riadattata, rielaborata e reinterpretata sul grande schermo e sui palchi di tutto il globo nel corso dei secoli.

Orson Welles, Akira Kurosawa, Roman Polanski, Béla Tarr fino al più recente Justin Kurzel, tanti i nomi di cineasti più o meno illustri che hanno deciso di misurarsi con il testo, raccogliendo, più o meno, riusciti risultati.

Ora c’è anche Joel Coen.

Per chi non sapesse di cosa parla l’opera (non vi sentite in colpa, ci mancherebbe), vado a riepilogare.

Macbeth

Scozia, Basso Medioevo. Sul campo di battaglia dove il prode guerriero Macbeth (Washington) e il fedele compagno Banquo (Bertie Carvel) hanno appena sgominato le armate di Irlanda e Norvegia con a capo il ribelle Macdonwald e salvato così il regno di re Duncan (Brendan Gleeson), fanno la comparsa tre streghe (Hunter). Sono lì per incontrare proprio il condottiero e il suo braccio destro in modo da profetizzare al primo la sua ascesa al trono che è ora del cugino e all’altro che la sua stirpe si congiungerà al lignaggio reale dalla prossima generazione.

Nonostante i dubbi esistenziali ed l’iniziale rifiuto per le parole lapidarie delle tre entità, Macbeth non riesce a rinunciare all’idea che tale previsione possa essere veritiera e nottetempo scrive alla sua Lady (McDormand), che lo attende speranzosa al castello. La sua di lei penna è l’arma che muoverà definitivamente i passi del marito, spinto a prendersi ciò che il destino vuole per lui, forza della natura che da sempre sovrasta le vite degli uomini che alla cui scelta non può che farsi trovare pronti e all’altezza.

Destino, ma miscelato con ambizione, cupidigia e funerea miserevolezza. Senza dubbio un’ottima ricetta per una storia di fantasmi.

Ecco ciò che guida Macbeth quando affoga nel sangue di chi aveva giurato di servire, raccogliendone una eredità maledetta, artefice esso stesso di una oscura follia di cui lui e la sua amata pagheranno il terribile prezzo.

Un film che sfida il tempo

Girato in dei set costruititi in un teatro di prosa di Los Angeles (come fu per il Macbeth di Welles nel 1948) secondo un’architettura geometrica e super razionalista, richiamante volutamente dei quadri metafisici di incredibile impatto e in perfetta armonia con la colonna sonora estraniante, il lavoro di Joel Coen si presenta allo spettatore in un classico formato 4:3 e con un bianco e nero cangiante, per lunghi tratti intenso per poi divenire sulfureo, funereo.

Un cinema intriso della trascendenza appartenente all’espressionismo tedesco, ai lavori di Dreyer, di Lang e di Murnau, senza però dimenticare Bergman, da cui prende la visceralità, la nitidezza e la vivace quanto poetica crudeltà.

Frances McDormand

Un funesto e annebbiante spazio da cui emergono le ombre e le forme di composizioni straordinarie, che fanno da sfondo alle tormentate azioni di personaggi persi in una gabbia che da fisica diventa psicologica, in un tormento costante, opprimente e sempre più oscuro.

Palcoscenico che emerge dalla pellicola, sulle quali si stagliano figure quasi mitologiche e sulle cui parole e gesta si concentrano le attenzioni di una trasposizione fedele ed essenziale senza mai essere pedissequa e che, grazie a questo incredibile contrasto tra immobilismo e vitalità dolente, fugge dalle accuse di intellettualismi e arthouse abusiva, manierista fine a se stessa.

Dove finisce il teatro e dove inizia il cinema?

Questo Macbeth vive tra le due dimensioni principali della narrazione scenica, che si sposano a tratti in modo suggestivamente pacato e in altri in una fusione violenta, sempre giocando il proprio contatto sulla manipolazione del tempo.

Il suo ruolo primario si vede nell’età dei protagonisti, notevolmente più senili rispetto agli originali, nella gestione dei ritmi, da cinematografici e teatrali e viceversa, e nella sottolineatura del suo incessante scorrimento, reso solitario, abbandonato e senza speranza. Un ticchettante incedere reiterato in più forme, orfano di un messaggio che sia di redenzione o, semplicemente, di umano compimento. Elemento, forse unico o comunque più significativo, rintracciabile in quasi tutto il pensiero coeniano.

Denzel Washington

Last but not list, le prove attoriali.

Un meraviglioso Denzel Washington, interprete perfettamente misurato, in totale simbiosi con la sua Frances McDormand, straordinari nella rappresentazione del gioco di potere della coppia, che sfocia nella crisi della mascolinità e nella follia (auto) distruttiva della donna. Tra le loro emerge, però, la prova della veterana attrice teatrale Kathryn Hunter, una e trina, uomo e donna, eterea e terrena, benedizione e sventura, meravigliosa e terrorizzante. Cinema e teatro.

Il Macbeth di Joel Coen è un capolavoro moderno, leggibile oggi, ancora di più, come la tragedia universale di un uomo perso nella ricerca spasmodica di vestire i panni di ciò che dovrebbe essere la sua versione migliore possibile, senza in che in esso sia incluso lui, ovviamente. Una garanzia di disperata infelicità e della disperazione più nera.

Macbeth è disponibile su Apple TV+ dal 14 gennaio 2022.

85
Macbeth
Recensione di Jacopo Fioretti Raponi

Macbeth, prodotto da A24 e presentato in anteprima mondiale allo scorso New York Film Festival, è il primo passo in solitaria di Joel Coen, anche se la resa dell'opera dimostra ancora l'importanza della coralità, che parte dalla fedeltà alla tragedia del Bardo e si fa grande con il citazionismo e gli omaggi ai grandi del passato e con le sensazionali prove attoriali, guidate da quelle di Denzel Washington, Frances McDormand e Kathryn Hunter. Un sodalizio tra professionisti straordinari alla genesi di una pellicola esempio di teatralità cinematografica, in cui la razionalità dell'architettura sposa l'estraniamento della composizione per creare una cornice metafisica di un bianco e nero funereo e in formato 4:3 dove mettere in scena un elogio alla follia più oscura e tormentata. Testo ridotto ancora di più all'osso per la composizione shakespeariana più corta, trovata ideale di un film che gioca con il tempo e la solitudine, capolavoro di eleganza e misura, che fugge ogni intellettualismo estremo e gratuito e regala un'esperienza unica nel panorama moderno.

ME GUSTA
  • L'eleganza, la misura della messa in scena, colta, ma mai egomaniaca.
  • Il matrimonio tra l'elemento metafisico e la gestione del tempo.
  • Le prove sensazionali degli attori.
  • La modernità del percorso dell'uomo Macbeth.
  • Il suo essere grande cinema, pur specchiandosi costantemente nella dimensione teatrale.
FAIL
  • Non è un film di facile fruizione.
  • Il suo mancato passaggio nelle sale è delittuoso.
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