Nella cornice delle serate dedicate a “Uno spettacolo divertentissimo che non finisce assolutamente con un suicidio” abbiamo intervistato Lodo Guenzi e abbiamo parlato di fama, amore e tartarughe ninja. Lodo ha portato in scena uno spettacolo che ha le caratteristiche della stand up che si perde in più storie, vere.
In questo spettacolo Lodo porta la figura dell’attore dentro e fuori dalle scene, riesce a mostrare come sia realmente catartico questo mestiere, in cui si è chiamati a portare a termine qualcosa da cui vorrebbe istintivamente fuggire. Stare sulla scena non è facile e in particolare il rapporto con il teatro è qualcosa di magico.
Nella storia che ha voluto rappresentare si sono molte digressioni che raccontano la dicotomia attore/personaggio, e portano alla luce una riflessione: perché si continua a stare sulla scena oggi?
La regia dello spettacolo è stata affidata al regista Nicola Borghesi che vanta un’amicizia lunga venticinque anni su trentacinque con Lodo Guenzi. Questa rappresentazione non vuole essere un discorso filosofico, non parte da nessun piano o idea studiata a tavolino, i due hanno semplicemente portato in scena l’autobiografia di una persona “abbastanza” famosa, Lodo.
Quando si assiste a uno spettacolo del genere ci si prepara a un viaggio che ci porta a vivere sulla nostra pelle le esperienze vissute da un’altra persona e ci permette di vedere dall’interno posti, come Sanremo o X-Factor, che di solito si vedono solo nella loro versione confezionata per il pubblico. Dall’unione di questi elementi nasce “Uno spettacolo divertentissimo che non finisce tutto con un suicidio”.
Fondamentalmente non è altro che il percorso di Lodo attraverso la fama, che non è una passeggiata come tutti pensano ma porta con sé la sua dose di delusioni: la vita delle persone, generalmente, consiste nel sopravvivere anche a se stesse. Tutto questo può sembrare terrificante, ma preso con la giusta ironia fa anche ridere. La parte che fa ridere ovviamente è quella che caratterizza Lodo come persona, che sopravvive a un sistema tarato per appiattire tutto, per render tutto omogeneo e inoffensivo.
Mentre il successo, che da fuori sembra tutto sfarzo e riconoscimenti, da dentro è terribile come tutto il resto, anche se in modo diverso. E poi, infine, c’è l’amore per il teatro. Quello dimensione spazio/temporale in cui tutto quello che generalmente nel mondo della televisione deve essere compresso e semplificato, può trovare finalmente respiro.
Quel luogo in cui non si ha una direzione obbligata e non si deve per forza rientrare in degli schemi, ma in cui si può tornare a cercare qualcosa di prezioso che avevamo perduto o dimenticato.
Di seguito un assaggio di come era lo spettacolo (YouTube):
Uno spettacolo divertentissimo…
Lodo Guenzi compie una magia sul palco: la sensazione di non essere solo a vedere uno spettacolo ma di parlare con un vecchio amico. Non ci si annoia nemmeno per un secondo, in meno di due ore ascoltando la storia di un’altra persona si passa dalla risata al pianto e viceversa. Forse è questo il teatro: arrivare all’anima delle persone e parlare anche al loro posto, dargli respiro.
Quando si riesce a trasmettere al pubblico la sensazione di star vedendo qualcosa di autentico, quello è uno spettacolo riuscito senza dubbio alcuno, questo è accaduto sul palco del Teatro Puccini di Firenze.
Come molti di voi sapranno, Lodo Guenzi è noto per ben altro che essere un attore. Il cantante de Lo Stato Sociale infatti, negli anni, è riuscito ad instaurare una forte connessione con il pubblico tramite i testi delle sue canzoni. È una riflessione sul perché si continui a stare sulla scena oggi: per passione forse, per imparare a guardarci e riconoscerci come esseri umani? Per amore? Perché non c’è niente altro da fare? Per dimenticare? Per ricordarsi? Sicuramente per ascoltare una storia, quella di un ragazzo che deve diventare adulto.
Nello specifico è la storia dell’attore: gli eventi narrati possono essere già noti al pubblico e vederli dalla prospettiva del protagonista che le ha vissute offre un gusto tutto nuovo alla narrazione. Si viaggia tra momenti più concitati e altri più rallentati, tra discorsi seri e semiseri. Tra due tocchi al pianoforte e una musica di sottofondo che riassume la sua vita.
Inoltre, durante il racconto vengono svelati particolari divertentissimi o super intimi e personalissimi della vita dell’attore che catturano il pubblico. C’è una storia, c’è dell’intrattenimento, la vita vera e molti assurdi retroscena del mondo dello spettacolo.
Sanremo e X-Factor sono come con la tragedia greca: tutti conoscono la storia ma dipende da come la racconti. Dal punto di vista di una persona non tagliata per il generalista e che da questo è stata accolta, molti episodi diventano paradossali, modi per interrogarsi su chi si diventa.
Il punto di partenza dello spettacolo è la vita di Lodo Guenzi, una persona che cerca di cambiare le cose ma poi le cose cambiano lui. Il concetto portante dell’intero spettacolo è la frase del filosofo Adorno: “dall’adolescenza non è esci vivo o ne esci adulto”.
Lo spettacolo è in un unico atto, l’attore è da solo sulla scena, fa un lungo monologo, ma in realtà è come se fosse un vero e proprio dialogo con il pubblico. Sulla scena solo un pianoforte, una piccola scala e un arco con una tenda argentata e in sottofondo Io che amo solo te di Sergio Endrigo.
Lodo Guenzi si prende i suoi spazi e i suoi tempi tra dramma e commedia, tra la morte e le scuole medie. Sì, questi due sono i punti fermi della narrazione. Chi non è stato “bullizzato” alle medie alzi la mano.
Intervista a Lodo Guenzi
Ciao Lodo, bentrovato. La mia prima domanda è inerente al tuo spettacolo de Il Giardino dei Ciliegi, mi rimase impressa una battuta di Cechov che non era nello spettacolo ma di cui tu parlasti in seguito: “Sapete perché fallirete? Perché voi con questa idea della distribuzione della ricchezza vi scordate che esiste l’amore, e se non vi rapportate agli esseri umani con amore, siete destinati a fallire… Ecco vorrei sapere se è questa è anche una tua filosofia e se c’è qualche richiamo di questo nello spettacolo di stasera.
Questa è una frase di Ljuba nel Giardino dei Ciliegi. La frase nel nostro spettacolo non c’era ma lei la dice a Trofimov. E sì, è chiaro che in quel momento lui (Cechov) ha questo colpo di genio di prevedere la rivoluzione russa e il fallimento del comunismo alcune decadi prima dei suoi sviluppi e quindi sì, ti dice una cosa che potrebbe essere tradotta anche come: la felicità non può essere messa a sistema e questa cosa ha molto a che vedere con lo spettacolo di stasera. Lo spettacolo infatti parla del passaggio in cui la tua passione, cioè far succedere la magie, diventa il tuo lavoro cioè fare in modo che le magie creino un profitto. Con Cechov però è facile, anzi è praticamente impossibile fare una cosa di cui lui non abbia già parlato in una singola battuta di qualsiasi sua opera.
Domanda secca: chi pensi sia un artista?
Allora ognuno è libero di definirsi come vuole, è la battaglia degli ultimi 3/4 anni, non possiamo rompere le palle solo a quelli che si vogliono definire artisti. Io credo che sia molto ingiusto dare la mia visone di questa cosa. A me interessano le persone che sono capaci di mettersi in relazione con quello che fa veramente schifo di loro, che non hanno nessun interesse per la bellezza e la perfezione e riescono a mettere in campo quello schifo riuscendo a farmi sentire meno solo al mondo. Tendenzialmente sono le persone che coltivano il dubbio fino all’ultimo respiro di vita, non hanno delle buone risposte per nulla, non sanno quasi un cazzo ma per miracolo riescono a fare delle buone domande.
Secondo te c’è qualcuno nella scena contemporanea che ci riesce?
Tanti in realtà. Per me, Vasco Brondi è un artista, Nicola Borghese è un artista, Giovanni Truppi è un artista… Poi Andrea Appino è un artista, c’è poco da fare nella musica ce ne sono veramente tanti di quella generazione. Proviamo a cambiare di campo: cinema. Non ne so molto ma i registi mi sembrano tutti artisti, gli attori non necessariamente. Nel senso che devi stare lì per capirlo, Ninni Bruschetta è un artista però devi lavorare insieme per capirlo, con un attore. Antonio Pisu è un artista. Con un regista è più facile capirlo. Per me anche Bello FiGo è un artista, Fabri Fibra, Paolo Bonolis… Si girano tutti quando succede questa cosa, comunicativamente secondo me Nichi Vendola è un artista, Gino Strada era un artista.
Ultimamente ti sei dedicato di più al teatro e al cinema, l’ultimo film uscito era presente al Lucca Film Festival. Come ti trovi in questo mondo? Cosa ti interessa di più?
Quello che mi piace di questo mondo in questo momento storico è che visto che non sai mai se puoi organizzare un tour, prendi i film perché sai che lavorerai. Si crea un’atmosfera molto bella, è proprio una circostanza in cui si fa davvero amicizia dopo un poco capisci il gioco, è una recitazione molto molto basata sulle scelte compiute più che sull’interpretazione, questa cosa è affascinante. Per esempio tu sai che sei stato violentato in ufficio lunedì 3 gennaio e la scena della violenza si girerà martedì 13 febbraio quindi devi solo scegliere come uscire da quell’ufficio. E il fatto che sia una recitazione fatta di scelte è affascinante soprattutto perché ho sempre avuto a che fare con persone che mi hanno dato grande libertà. Quello che non mi piace è svegliarmi questa mattina e il fatto che sia molto ripetitivo e il fatto che una volta fatte quelle scelte non è probante, non è una grande sfida da attore. Però ecco la magia che si crea e che alla fine in queste pause infinite, che sono il motivo per cui ti pagano mentre si recita gratis. In queste pause infinite tu divide il tempo con delle persone che sono “alla disperata” come te e tendenzialmente si crea proprio una bella relazione. Io ho fatto veramente tante amicizie. Questa è forse la cosa più bella.
Sappiamo che ami guardare partite di basket e serie sui serial killer ma oltre a questo cosa ti piace?
Il mio film del cuore sarà sempre Tartarughe Ninja alla riscossa. Perché mi piacevano tanto le tartarughe ninja e l’ho trovato avvincente, mi ci portò mia nonna. Riesco a vedere di più le serie, quelle stile documentario sui serial killer. Io avessi fatto altro nella vita avrei fatto l’avvocato dei serial killer e più erano brutti e schifosi più mi sarebbe piaciuto difenderli. Tra l’altro in quest’epoca di giustizieri il garantismo ti dà un brivido, ti senti sempre un vero fuorilegge ad essere garantista. La cosa più bella che ho visto negli ultimi mesi è il documentario su Pistorius, che dice una cosa fulminante sul Capitalismo e la dice piano piano senza fartela pesare. Dice che il sogno americano, dove non importa chi sei ma chi vuoi essere e puoi tutto solo con la tua volontà, sempre solo se sei ricco, è solo una maniera per vendere dei prodotti e rovinare la vita alle persone. E’ importante invece riconoscere chi si è e fare di questa casa il proprio tempio.
Cinema italiano: qualcuno con cui vorresti lavorare?
Io vorrei fare un film con Alex Infascelli perché mi ha fatto molto ridere e parla come Tommaso Paradiso. Vorrei lavorare con Giorgio Diritti perché è di Bologna e faceva il tour manager di una band prima, anzi vorrei fare una film su quelli della band che non hanno avuto successo mentre il solista sì. Poi vorrei un grande anziano, francesco Brunelli è molto simpatico e poi è di Livorno, vorrei lavorare con tutti quelli di Livorno. Vorrei lavorare anche con Francesco Lettieri.