Mai come stavolta scrivere la recensione di Spider-Man: No Way Home è davvero difficile. L’unica cosa sensata da dire sarebbe: fate come Duccio Patanè in Boris (il meraviglioso direttore della fotografia interpretato da Ninni Bruschetta), chiudetevi a riccio, non leggete niente, non guardate i social, comprate un biglietto e correte in sala a godervi quello che è davvero il più grande evento cinematografico degli ultimi due anni. Due anni come questi poi, in cui le sale sono state chiuse la maggior parte del tempo e comunque poco frequentate. Spider-Man: No Way Home è un’esperienza da godersi seduti sulle poltroncine di un cinema, con lo sguardo pieno di emozione rivolto verso il grande schermo (il più grande che possiate trovare), avvolti dal suono di un impianto audio potente e con accanto sconosciuti che, come voi, urleranno in più di un’occasione.
E mai come stavolta rovinare la visione a chi andrà in sala dopo di voi sarebbe veramente una cattiveria gratuita: poche volte nella storia del cinema si è speculato tanto su un film, sui suoi colpi di scena, arrivando ad analizzare ogni singolo granello di polvere inquadrato sullo sfondo di ogni singolo fotogramma di trailer e foto di scena. Nonostante questo, se si arriva alla visione senza sapere nulla, i momenti di stupore saranno tanti e bellissimi. Quindi mettetevi una mano sulla coscienza e preservate quell’effetto meraviglia che solo il grande schermo sa dare per chi vedrà Spider-Man: No Way Home non al primo giorno d’uscita (anche perché, complice la follia collettiva, i biglietti sono andati esauriti durante la prevendita).
Ci siamo lamentati per due anni del destino della sala, dell’inevitabile passaggio diretto sulle piattaforme di streaming per la maggior parte delle pellicole girate e prodotte. Se è vero che soltanto i grandi film evento saranno quelli proiettati nei cinema, cerchiamo di adottare un nuovo codice etico, di cui Peter Parker andrebbe molto fiero, dandoci una calmata e sfuggendo alla patologia sempre più presente del “primo commento”, del “l’ho visto prima e quindi ve lo spoilero”. Forse anche i nemici di Spider-Man si indignerebbero per questo comportamento.
Peter Parker è Spider-Man
Come in un flusso di coscienza continuo, Spider-Man: No Way Home comincia letteralmente dove eravamo rimasti nell’estate 2019, alla fine di Spider-Man: Far from Home: Mysterio (Jake Gyllenhaal) ha rivelato al mondo l’identità dell’Uomo Ragno. Al contrario di quanto fatto da Tony Stark, che di sua volontà pronunciò l’ormai iconica frase “Io sono Iron Man”, Peter Parker viene letteralmente buttato al centro di una gogna mediatica. Per molti è un eroe, per altrettanti, su tutti il giornalista J. Jonah Jameson (il premio Oscar J. K. Simmons), un pericolo pubblico. Anzi, il nemico pubblico numero uno. Nel dubbio, il MIT decide di non assumersi responsabilità e respinge la domanda di ammissione non soltanto di Peter, ma anche di MJ (Zendaya) e Ned (Jacob Batalon), colpevoli di essere la fidanzata e il migliore amico di Spider-Man.
Distrutto all’idea di aver rovinato la vita alle persone che ama di più, non potendo più contare su Tony, suo mentore e figura paterna putativa, Peter cerca aiuto in Dr. Strange (Benedict Cumberbatch): vorrebbe che lo stregone facesse dimenticare a tutti la sua vera identità. Tutti tranne le persone a lui più vicine: proprio per questo, interferendo più volte con l’incantesimo dell’ex Stregone Supremo (a Wong piace questo elemento), causa una frattura nello spazio-tempo, aprendo il Multiverso. Ora tutte le persone di tutti gli universi a conoscenza del fatto che Peter Parker è Spider-Man stanno arrivando a New York. Compresi dei tipi poco raccomandabili come il Dottor Octopus (Alfred Molina) e Green Goblin (Willem Dafoe).
Se già un nemico potente da affrontare è un problema, figuriamoci quando si moltiplicano. Soprattutto perché, come gli dice Strange, Peter Parker, almeno il Peter Parker interpretato da Tom Holland, è ancora un ragazzino, più preoccupato dall’ammissione all’università che dalle sorti dell’universo, nonostante abbia combattuto con gli Avengers contro Thanos. Ed è qui che il film di Jon Watts fa davvero il salto di qualità: se in Spider-Man: Homecoming (2017) e in Spider-Man: Far from Home abbiamo visto uno Spider-Man e soprattutto un Peter Parker spensierato, un adolescente sempre pieno di entusiasmo e un po’ infantile, motivo per cui è adorato dai più piccoli, in Spider-Man: No Way Home c’è finalmente il passaggio all’età adulta. Per Peter è arrivato finalmente il momento di diventare un leader, di affrancarsi dalla figura paterna di Iron Man e di cominciare a prendere decisioni di proprio pugno. Alcune molto difficili.
Spider-Man: No Way Home, da grandi poteri derivano grandi responsabilità
Inutile dire che, dal punto di vista tecnico, Spider-Man: No Way Home sia una gioia per occhi e orecchie: gli effetti speciali sono curatissimi (al contrario di quelli di Venom!), il sound design perfetto. Lo stesso Jon Watts si è notevolmente evoluto come regista: le scene in cui il “senso di ragno” di Spider-Man si attiva sono tutte girate con maestria, creando tensione come in un thriller.
Ma a stupire davvero in questo terzo film da protagonista di Tom Holland è il perfetto equilibrio tra spettacolo, umorismo e dramma. Si torna finalmente alle origini del personaggio creato da Stan Lee e Steve Ditko: non più “da grandi poteri deriva grande divertimento” ma il celeberrimo “da grandi poteri derivano grandi responsabilità”. L’Uomo Ragno prima di essere un supereroe è prima di tutto qualcuno che salva le persone. E salvare qualcuno può avere più significati. Questa sua testardaggine nel voler salvare tutti a tutti i costi è la sua più grande forza e contemporaneamente la sua più grande debolezza. Inevitabilmente qualcuno rischia di rimetterci.
Ed è proprio per questo che “l’amichevole Spider-Man di quartiere” è il personaggio della Marvel più amato: è un ragazzo, e quindi chi lo legge cresce letteralmente con lui, dalle grandi potenzialità che però a un certo punto, come ognuno di noi, deve fare delle rinunce, deve scegliere. Se c’è una cosa che contraddistingue l’età adulta è il vedere assottigliarsi sempre di più il ventaglio di possibilità. Non si può rimanere “in potenza” per sempre, a un certo punto bisogna scegliere chi vogliamo essere. È questo il cuore di Spider-Man: No Way Home: prima ancora di Spider-Man, è Peter Parker che deve decidere chi essere. Non sarà facile.
Spider-Man: No Way Home: un progetto editoriale strabiliante
I grandi poteri e le grandi responsabilità non sono però soltanto del protagonista. Questo film è un oggetto unico nel suo genere. Si è incredibilmente riusciti a trovare un equilibrio perfetto tra intrattenimento e dramma, tra due studi mastodontici come Sony Pictures e Marvel Studios, tra tre trilogie dedicate all’Uomo Ragno (e si sente la forte impronta data da Sam Raimi al personaggio) e tutti i film (e non solo) del Marvel Cinematic Universe. Una cosa impressionante. Un progetto editoriale di fronte al quale bisognerebbe soltanto togliersi il cappello e ammettere che è qualcosa di ammirevole.
In molti sostengono che questi ultimi 20 anni di supereroi, cominciati proprio con lo Spider-Man di Sam Raimi, abbiano appiattito il gusto dei cinefili, abituandoli al sapore del fast food. Il discorso è più complesso di così (anche perché in questi ultimi due anni è proprio grazie ai blockbuster e ai film di grande richiamo che le sale si sono salvate), ma se anche questo fosse “il gusto del fast food”, allora viva il fast food. Perché ci sarà pure del “fan service” in questo Spider-Man: No Way Home, ci sarà un voler spremere a tutti i costi film, personaggi e serie tv, fidelizzando sempre più il pubblico, ma tutto è fatto con una tale intelligenza che, anche se si capisce benissimo l’intenzione di accontentare e catturare il più possibile gli spettatori, noi non ci caschiamo volentieri, di più.
Di fronte a un film come questo in cui si ride, si piange, si rivivono ricordi di quando eravamo bambini in un modo che chi è estraneo a questo rito collettivo non potrà mai capire, va benissimo così. Perché, se vogliamo mantenere il paragone culinario, forse non si tratta di fast food. Anche i grandi chef scrivono le proprie ricette e poi le fanno realizzare in serie da altri cuochi, pubblicano libri alla portata di chiunque voglia cimentarsi con quei passaggi. Il risultato però non è esattamente lo stesso: la ricetta è sempre quella, ma nelle mani sbagliate non funziona allo stesso modo. Kevin Feige ormai ha dimostrato più volte di possedere questo “ingrediente magico”: se Spider-Man: No Way Home può stare nell’Olimpo dei migliori film dedicati all’Uomo Ragno insieme a Spider-Man 2 di Sam Raimi (Dr. Strange 2, con il ritorno del regista nel mondo Marvel, potrebbe infatti essere qualcosa di clamoroso) e a Spider-Man: Into the Spider-Verse è sicuramente grazie alla sua visione d’insieme. Ne vogliamo ancora.
E non vi alzate fino alla fine dei titoli di coda!
Spider-Man: No Way Home è in sala dal 15 dicembre.
Come scritto nella recensione di Spider-Man: No Way Home, il terzo film con protagonista Tom Holland nel ruolo di Spider-Man è quello della maturità. Il vero fulcro qui è Peter Parker più che il supereroe. E con il suo lato umano messo a nudo, c’è molto più spazio per il dramma e le scelte difficili che per la spensieratezza vista nei film precedenti. È proprio il film della celeberrima frase “da grandi poteri derivano grandi responsabilità”. Se amate e seguite lo Spider-Man cinematografico fin dal 2002, anno in cui uscì il primo film di Sam Raimi, questa pellicola sarà un viaggio emotivo incredibile. Questo è il culmine di un progetto editoriale che riesce perfettamente a unire 20 anni di cinema e serie tv, tre trilogie di Spider-Man e tutti i film del Marvel Cinematic Universe. Un’esperienza esaltante da godersi in sala.
- L'equilibrio perfetto tra intrattenimento, umorismo e dramma.
- Tom Holland possiede finalmente completamente il personaggio.
- Effetti speciali e sound design sono di altissimo livello.
- Si ritorna alle emozioni forti e al pathos della trilogia di Sam Raimi.
- Il progetto editoriale che riunisce 20 anni di cinema e serie è impressionante.
- Questo è il punto di arrivo di un percorso lungo 20 anni: se non si è addentro ci si potrebbe perdere.