È una delle tradizioni più belle di Lega Nerd: per alcuni film ci piace chiedere l’opinione di tutti i redattori del nostro magazine, e anche di alcuni ospiti esterni. Opinioni brevi, si intende, chiediamo una decina di righe di commento, per avere diversi punti di vista.

Ecco la nostra Multirecensione di Ghostbusters: Legacy.

Antonio Moro

Che film. Jason Reitman ha riportato gli anni ottanta al cinema, in tutti i sensi. La prima ora è infarcita di cinema anni ottanta: il trasferimento in una nuova città, il rapporto tra fratelli di età diverse, il rapporto con i genitori che non ti capiscono, le difficoltà economiche della famiglia, la madre single… potrei continuare all’infinito. C’è Karate Kid, c’è Ragazzi Perduti, c’è Goonies… ci sono gli anni ottanta, grazie Jason. C’è chi dice che la prima ora è lenta: io dico che è perfetta, è nelle mie corde, è quello che volevo.

E poi il modo in cui nella seconda ora ci si ricollega al primo film del 1984, magistralmente, con delicatezza e perfettamente in linea con lo stile adottato fino a quel momento…

E anche due parole su McKenna Grace, che coi suoi occhi e la sua espressività tiene in piedi il film dall’inizio alla fine. Che fenomeno! Ero già innamorato di lei dopo Gifted (recuperatelo!) e ora sono definitivamente super fan. Perfetta.

Tutto davvero bello, compreso il gran finale, quello vero, quello dopo i titoli di coda. Non voglio spoilerare troppo, ma quando mi auguravo l’arrivo di una serie dedicata ai Ghost Corps… beh mi viene da dire che forse mi accontenteranno.

Who you gonna call!?!

 

Roby Rani

Ma come si fa a recensire un film simile? Come faccio io, che ho versato lacrime anche per una sirena che si accende, a fare una recensione sensata e giusta di un film come Ghostbusters: Afterlife? È impossibile.
Tra l’altro, scusate se lo chiamo con il suo nome, Afterlife, perché a film finito, il titolo originale ha mooolto più senso che il commerciale “Legacy”.

Afterlife è un fan film fatto e finito. È di fatto il primo fan film sequel, ufficiale, canonico e ad alto budget che sia mai stato realizzato.

Il “Fan” in questione è il regista Jason Reitman, che ha vissuto la realizzazione dei classici Ghostbusters dal vivo, sul set, insieme agli attori e al padre Ivan quando era un cinno giovanissimo. Jason ha vissuto la nascita del mito quando mito non era e, soprattutto, lo ha visto diventare la leggenda che è oggi e non solo grazie ai successi e agli scivoloni, ma anche attraverso il dolore del lutto.

Ma vi rendete conto di cosa significa tutto questo? Riuscite a comprendere l’intenzione e la passione che ha portato alla realizzazione di un immenso gesto di amore come Afterlife? No? E allora fate un passo indietro e, umilmente, iniziate a mettere da parte la vostra spocchia da critici puntigliosi e analizzate il progetto per quello che è veramente. Trovo sia necessario in questo caso, vi prego, fate una eccezione.

Per finire, non posso non parlare da super fan di Star Wars quale sono, sottilenando la mia grande frustrazione nel notare quanto Afterlife sia riuscito in quello che Lucasfilm, per me, ha completamente fallito con il sequel degli Skywalker. Cioè sta roba è talmente evidente che sembra abbiano costruito l’intero film basandosi sulle cazzate fatte, e soprattutto non fatte dei sequel… Pazzesco. Era già abbastanza chiaro dal trailer no?

Un’ultima domanda necessaria a cui solo il cinico botteghino potrà rispondere in futuro. Ghostbusters: Afterlife è un progetto eccessivamente fanservice e paraculo per fare soldi facili? Oppure è un prodotto talmente fanservice e paraculo da essere fin troppo coraggioso?

 

Giacomo Lucarini

Chi lo avrebbe mai detto? Piazzare dei ragazzini e un “dramma” familiare in una saga che è nata come show di comici corrosivi e anticonformisti alle prese con ectoplasmi ha funzionato. Certo, perché un po’ si va sul sicuro (Stranger Things docet), un po’ si colpisce basso il pubblico con qualche decennio sulle spalle che ha bisogno dei fazzoletti. Per piangere, maliziosi! Non è il caso di essere così esaltati.

Con un cast efficace, una McKenna Grace che è il clone di Egon Spengler, l’umorismo buono per tutti – questo è un difetto però – e tanto cuore, Ghostbusters Legacy/Afterlife porta a casa un risultato per niente scontato. Un film che fila via liscissimo (forse un po’ troppo) e che tiene in equilibrio quasi miracoloso le necessità di aggiornare dopo quarant’anni l’anima e il marketing di un franchise leggendario.

Con tutte le sue superficilità e difetti, ma seriamente: quando mai i film degli Acchiappafantasmi sono stati perfetti o accuratissimi? Era anche il loro bello. A conti fatti, impresa che alla vigilia appariva quasi impossibile e invece, come direbbero nei cartoon odierni, si è rivelata “spettRacolare”.

Alessandro Mercatelli

Ghostbusters Legacy è un sequel di tutto rispetto, frutto di uno studio attento e devoto al franchise, da cui attinge a piene mani senza avere la pretesa di rievocare le stesse sensazioni. Le premesse sono agli antipodi di quel che si era visto sino ad oggi: contesto rurale, cast di giovani leve. L’unica certezza è la minaccia già nota con cui i protagonisti si devono confrontare.

Jason Reitman ha saputo disporre bene dei mezzi a sua disposizione per creare qualcosa di profondamente diverso, privo di quella spontanea ironia che permeava la pellicola del 1984 finendo così col realizzare una nuova visione del concetto di acchiappafantasmi che pur strizzando continuamente l’occhio al passato apre a nuovi ed interessanti sviluppi sul futuro.

Una pellicola non perfetta, che soffre di un eccessivo citazionismo, a tratti ingenua e con dei comprimari i cui ruoli non appaiono del tutto sviluppati ma che sicuramente accontenta vecchi e nuovi fan e introduce dei promettenti protagonisti di cui spero proprio che torneremo presto a parlare.

 

Alessio Vissani

Le mie aspettative per Ghostbusters: Legacy erano molto alte. Avevo paura che fosse una delusione, una sorta di fan-service mirato a riaccaparrare consensi dopo il blasfemo reboot di pochi anni fa, a cui ho concesso solo una quarantina di minuti in streaming. Ma qui già dai trailer e interviste a Jason Reitman c’era l’idea che il progetto potesse essere molto interessante.

Quindi andiamo subito al dunque: per me il film è stato strabiliante. Entusiasmarmi e commuovermi, come la pellicola uscita nel 1984, era un’impresa eppure Legacy ci è riuscito con la sua onestà, con il suo rispetto per la saga, con la sua voglia di tornare negli anni ottanta senza per forza farli diventare una macchietta.

È ovvio che tutto il film, è un’operazione nostalgica in piena regola (ma non è questo che volevamo noi fan?) ma la cosa incredibile è che non è mai fine a se stessa, è sempre, assolutamente funzionale alla trama. Ogni oggetto trovato ha una collocazione ben precisa nella storia rendendola un tassello fondamentale della mitologia di Ghostbusters (forse anche più del secondo capitolo).

Potevano abusare di tantissimi elementi (dai Mini-Marshmallow, ai “vecchi Ghostbusters”) ma non l’hanno fatto, sono stati sempre dosati con cura e parsimonia. Insomma Legacy è riuscito dove Indiana Jones 4, Star Wars, Jurassic World (tanto per citare alcune saghe rebootate) hanno miseramente fallito: consegnare alle nuove generazioni una pellicola che abbia una continuity perfettamente in linea con il suo originale.

 

Davide Mirabello

Ghostbusters: Legacy è un film che cerca di legare passato, presente e futuro del franchise, e, fino ad un certo punto, riesce a portare avanti quest’operazione in maniera interessante, franando però sul più bello. Proprio l’introduzione dei vecchi ed iconici Ghostbusters viene fatta in una maniera abbastanza scontata e sbrigativa, e indebolisce tutto ciò che è venuto prima.

Interessante, invece, è il modo in cui è stato creato il nuovo gruppo di giovani acchiappafantasmi, con una serie d’intrecci narrativi e situazioni alla I Goonies che hanno dato spazio a degli interpreti in grado di reggere bene lo schermo ed il peso di un franchise così importante. Ma ciò che è mancato è proprio quel raccordo tra vecchio e nuovo, quel legame ben saldato tra passato, presente e futuro che avrebbe potuto rendere più credibile e forte questo Ghostbusters: Legacy.

Un buon omaggio, una trama di base interessante, ma, per certi versi, anche un colpo mancato.

 

Laura Della Corte

Ghostbusters: Legacy è in realtà più interessante quando non è un film di “Ghostbusters”, quando parla di una famiglia che lotta per inserirsi tra i locali trincerati in un luogo insulare. Quando Rudd e Coon sono insieme, hanno una battuta scherzosa e impassibile che è intrigante. Quando Trevor cerca di fare amicizia, inizia a flirtare con una bella e giovane cameriera, ma la carismatica attrice che la interpreta, Celeste O’Connor, ha ben poco da spartirci.

Grace apporta intelligenza al suo ruolo, ma una parte in cui cerca di connettersi con le persone raccontando brutte barzellette fallisce sempre, e guardarla è particolarmente frustrante data la portata che ha mostrato in progetti così disparati come “Io, Tonya” e “Il racconto dell’ancella”.

Alla fine, però, Ghostbusters: Afterlife non parla di nessuna di queste persone. Riguarda i fantasmi del passato: gli attori originali, che si presentano e sonnambuli si fanno strada attraverso i loro cameo.

La rappresentazione del film del compianto Harold Ramis è particolarmente degna di nota. Ma almeno quei ragazzi si sono resi conto di cosa dovrebbe essere: un divertimento nostaglico.

 

Jacopo Fioretti

È giusto inseguire i fantasmi? Ormai non se ne può fare più a meno. Per andare avanti si guarda sempre indietro, c’è chi lo fa meglio, chi lo fa peggio, ma fondamentalmente l’oggi fa schifo e lo ieri era bellissimo. Sentimento che riguarda anche il pubblico, a quanto pare.

Operazione nostalgia, Ghostbusters: Legacy ne è una delle migliori espressioni, senza dubbio, ma rimane preoccupante come tutto ciò che è saga sembra continuare a non volersi connettere con il contemporaneo, cercando l’evocazione del ricordo per poi sciogliersi quando i fantasmi riappaiono.

Dalle metropoli di Reitman padre alla provincia di Reitman figlio, che maneggia perfettamente il tono dell’eredità familiare, facendo, di fatto, un film su di essa. Sequel/revival/tributo centratissimo da questo punto di vista, avente come fil rouge un racconto di formazione con una protagonista azzeccata, interpretata da una McKenna Grace ancora più azzeccata, inserito all’interno di un contesto familiare particolarmente spielberghiano e in un immaginario tipicamente anni ’80 (Stranger Things insegna, c’è anche un ambasciatore inviato appositamente in Oklahoma). Ci sta addirittura Cannibal Girls al cinema, volendo buttare un occhio ancora più indietro nel tempo. Per il/i sequel in vista un piccolo monito giunge infine: “Se i fantasmi da inseguire finiscono, poi chi chiamerai?”

 

Giovanni Zaccaria

Qual è la differenza tra fan service e omaggio sentito? Beh, c’è un abisso tra le due cose e principalmente si fonda sul sentimento, genuino e intenso. E la cosa principale che ho percepito alla fine della visione di Ghostbusters: Legacy è l’amore. Uso questo termine assoluto, forse esagerando, ma devo rendervi l’idea che mi gira in testa.

Jason Reitman non ha costruito un film che scimmiotta le atmosfere anni ’80, ha davvero fatto un film anni ’80, con i suoi pregi e difetti, ma dal sapore genuino. Certo non può assomigliare al mitico film del 1984, la comicità è diversa. Diciamo che assomiglia più a The Goonies magari, vuoi per la giovane età dei protagonisti o per il grande senso di avventura. Ghostbusters Legacy non è un teen movie, parla di famiglie un po’ squinternate che si vogliono bene, nonostante i casini della vita e parla di amicizia, ad un pubblico ampio, proprio alle famiglie, accorciando le distanze tra la fiction e noi del pubblico.

Soprattutto quella tra i cari vecchi Bill Murray, Dan Aykroyd, Ernie Hudson e il compianto Harold Ramis, non solo quella tra i ragazzi. Se questa cosa fosse stata fatta con eccessiva malizia sarebbe stato un disastro e invece si percepisce il rispetto. Il rispetto di Reitman per il padre e la sua opera e per il cast, il rispetto dei giovani protagonisti che quando verranno a sapere dei salvatori di New York ne rimarranno affascinati oltremodo, il rispetto del team per il pubblico.

Non è tutto perfetto, come dicevo tanti sono i passaggi magari un po’ superficiali o non strabilianti per costruzione di sceneggiatura e poi non ci sono veri colpi di scena (dai, tutti ci aspettavamo che accadessero certe cose o che tornassero certi character), ma va bene così.

Intrattiene, è scorrevole, McKenna Grace è eccezionale, ci sono gli zaini protonici, c’è la Ecto-1 e per una volta tanto non è una semplice marchettata. Ma un piccolo grande atto d’amore verso la storia e un grande che non c’è più. Non capita molto spesso, è quasi uno spirito da fan movie ma con budget da blockbuster, dovremmo tenerne conto. Lunga vita agli acchiappafantasmi.

 

 

Eva Carducci

Guardare questo film è come aprire una scatola di ricordi di famiglia. I Reitman (al quadrato) la tengono con cura, estraendo a uno a uno i preziosi cimeli. Dalla Ecto-1 ai Proton Pack, fino alle lacrime che scorrono senza neanche accorgersene sul finale.

Il tutto condito con un esempio perfetto di legacy, quelli che altri grandi franchise non hanno saputo esprimere appieno. Tramandare un cult con rispetto e al tempo stesso aggiornarlo per le nuove generazioni, e non solo.

Un film per gli amanti della pop-culture che abbraccia anche quelli che non conoscono ancora la differenza tra Star Wars e Star Trek. Jason Reitman ci mostra cosa dovrebbe essere oggi, e sempre, un film di alto intrattenimento.

 

Giuseppe Grossi

“Sacra Nostalgia, sei tu un dio?”

Dobbiamo celebrarti o condannarti? Dobbiamo arrenderci o ribellarci? Che dilemma questo Ghostbusters Legacy. Un film che ti mette con le spalle al muro e ti obbliga a scegliere.

Ti abbandoni senza riserve a quello che vedi? Guardi le cose senza malizia? E allora emozionati con la nostalgia della nostalgia (Stranger Things dentro Ghostbusters è una trappola malinconica suprema), con la celebrazione del vecchio mito, con la rievocazione, gli ammiccamenti e i vecchi abbracci strazianti.

Dopotutto Ghostbusters Legacy è un affare di famiglia fuori e dentro lo schermo. È l’eredità pesante di un padre nelle mani di suo figlio. Quella di un cinema anarchico, grottesco a fuori di testa che adesso purtroppo non esiste più.

Oppure ti accorgi che questo film forse 5-6 anni fa avrebbe avuto un tempismo migliore. Oppure hai la nausea di questi anni Ottanta duri a morire. E allora vedrai solo ricatti emotivi, scorciatoie e un po’ di pigrizia nel voler vincere facile.

E chi chiamerai?

 

Chiara Guida

Ghostbusters – Legacy è forse uno dei pochi casi in cui il titolo italiano risulta più calzante di quello originale (Ghostbusters: Afterlife); il film di Jason Reitman raccoglie un’eredità meravigliosa e la ripropone in un racconto nuovo, in cui le generazioni di oggi mostrano il bisogno di riconnettersi con quello che è stato, per costruire quello che sarà.

Nostalgia, ironia e un grande, sconfinato amore per il cinema hanno consentito a Reitman di scrivere e dirigere un film che targhetta nella contemporaneità un franchise che sembrava relegato agli anni ’80, ma che potrebbe dire ancora qualcosa di originale.

Ghostbusters – Legacy è anche e soprattutto una lettera d’amore a un amico che non c’è più.

 

Nanni Cobretti

Lo so a memoria il primo Ghostbusters, come tanti di voi. Lo guardo quasi ogni anno dall’84, quando lo vidi in sala da bambino.

Il film originale era sostanzialmente un canovaccio per fare improvvisare tre comici all’apice dell’ispirazione, più due lunghi spiegoni in cui scaricare una mitologia iper-entusiasta, e aveva fatto il miracolo – quel miracolo per cui, a forza di continue visioni, sorvoli sul quadro generale, ti appassioni ai dettagli, e finisce che nella tua testa è diventato una specie di complessa e romantica avventura quasi spielberghiana.

Fallito il tentativo di replicare fedelmente la formula con comici di cui per qualche motivo la gente si fidava meno, il nuovo film capisce, intercetta e si aggrappa esattamente questo: non al vero Ghostbusters originale, ma alla metamorfosi del concetto del franchise che si è evoluta negli ultimi 37 anni.

Un concetto per cui di colpo Egon Spengler non è più una macchietta esilarante ma è una specie di versione potenziata di Doc di Ritorno al futuro di cui di colpo, per qualche motivo, ti interessano tutti i trascorsi sentimentali/biografici.

E questa nuova versione non è un sequel, non è un remake e non è un reboot: è il puro brodo di nostalgia definitivo.

Non è più uno showcase di comici e amen, e non è neanche più una commedia, ma non ha nemmeno un tema da sviluppare, una mitologia da espandere o una storia sua da raccontare: il suo unico messaggio è “figata il primo film, vero? abbracciamoci!”, e il suo modus operandi è il riconfigurare tutto in chiave di film per bambini (non era la deriva che odiavamo?) con la foga e l’arroganza del genitore che trova sublimazione e validazione personale nel trasmettere / cacciare in gola ai propri figli esattamente le stesse cose che piacevano a lui, senza necessariamente fermarsi a pensare se siano davvero immortali come pensa che siano, e se i monelli gradiscano veramente.

Non è un film che apre davvero a ulteriori sequel, o a un nuovo universo: è un film che, per quello che mostra e “aggiunge”, apre unicamente al riguardarsi l’originale – la millesima volta per papà, forse la prima per il piccolo moccioso a seguito.

Trentasette anni. Sono quasi la stessa distanza che passa tra Ghostbusters e il vero capostipite dell’idea, ovvero Gianni e Pinotto contro Frankenstein (1948). Fate questo confronto.
A questo punto comunque mi fidavo di Jason Reitman: genetica a parte è un ottimo regista, uno tranquillamente capace di prendere uno spunto che non mi interessa e metterlo in scena in modo solido, convincente e più che dignitoso.

E invece, con mia grande sorpresa, non c’è nemmeno questo: c’è solo puro pilota automatico.

È un film che fa succedere unicamente le stesse cose dell’originale, che cede al minimo comune denominatore e che casca – ma che dico casca, si tuffa proprio volontariamente, e blandamente – in tutte le tentazioni più ovvie.

Pare di vedere quegli spot che fanno ogni tanto dove recuperano vecchie glorie e fanno interpretare loro vecchi personaggi amatissimi per scroccare simpatia gratis e venderti qualcosa, tipo quello di due anni fa di E.T. che si riunisce con Elliott per venderti l’abbonamento Sky, o quello di Bruce Willis che rifà John McClane per venderti le batterie dell’auto. Stesso concept, stesso sforzo di creatività, stesso sentimentalismo facile, cinico e ricattatorio, stessa sostanza, stessa utilità, e persino stessa qualità. Ma lungo due ore.

A confronto, Il risveglio della Forza pare un progetto rischioso e sperimentale.