La cifra tonda è una responsabilità importante in un contesto in cui la numerazione diventa non solo un metronomo di longevità, ma anche un metodo di individuazione della salienza narrativa, cosa si è deciso di raccontare e come, attraverso epoche e correnti. Significa punto di snodo, significa termine di un discorso, significa raggiungere l’apice di un processo per iniziarne uno nuovo. Non è un caso che nella recensione di Encanto, 60esimo classico Disney (la conta è iniziata a metà degli anni ’30), vi parliamo di una pellicola figlia di discorsi iniziati ormai tempo fa, con Frozen e Coco, in cui si ragiona sul concetto di famiglia, ponendola come un sistema che tende a chiudersi in se stesso, anche eliminando o ignorando i suoi membri, per la il quale il primo obiettivo è la preoccupazione verso l’esterno, piuttosto che una riflessione interna. Nascondere le cicatrici per apparire sempre solidi nel tempo, agli occhi degli altri.

Il trio composto da Byron Howard, Jared Bush, i due di Zootropolis, e Charise Castro Smith, produttrice di The Haunting of Hill House (!), creano un film fortemente intimista, decidendo di chiudere i loro protagonisti in una casita tra le montagne e non permettendo, di fatto, mai di osservare l’esterno e traslando anche la canonica avventura esterna propedeutica al futuro ritorno. Tornare a guardarsi dopo essere cambiati, anche rimanendo fermi sul posto.

La loro è una pellicola sovrastrutturata, molto complessa, che cozza anche un po’ con la sintesi e la semplicità dei toni disneyani.

Quello che non cambia è l’attenzione alla contemporaneità, anche di casa propria (in un film così il parallelo è facile), continuando e portando a compimento una riflessione sui “super” poteri (qui chiamati doni, ma tant’è) e di come possono cambiare le persone e la percezione che altri hanno di quelle persone, cosa le rende speciali e cosa non e via dicendo. La novità invece sta nella struttura del film che sa più di musical, che di animazione musicale, non a caso tra gli autori c’è anche Lin-Manuel Miranda, guru di Broadway, che ha musicato il film, regalando allo spettatore più di qualche perla.

 Nosotros somos la familia Madrigal

Colombia. Costretti ad abbandonare dalla loro casa e braccati da dei guerriglieri, un gruppo di fuggiaschi si trova perso in mezzo ad un bosco, nei pressi di laghetto. Quando tutto sembra perduto Alma, insieme ai suoi tre figlioletti ancora in fasce, trovano una nuova dimora grazie ad un miracolo realizzatosi alla luce di una candela.

È l’alba della famiglia Madrigal così come è conosciuta dalla comunità che prende forma intorno al loro nuovo nido, un punto di riferimento per tutti grazie ai doni che, da quel momento in poi, lo stesso lume che stringeva la matriarca, infreddolita e disperata, dispenserà di generazione in generazione ad ognuno di loro. Ad un età prestabilita. Un battesimo importantissimo, accolto con grande entusiasmo da tutto il popolino che abita tra le montagne e che sancisce per ogni membro, di volta in volta, il proprio posto (cameretta) nella casa. Un rito di iniziazione, sedersi al tavolo comune, diventare ufficialmente un Madrigal, e, nel corso del tempo, un modo per riaffermare la potenza del miracolo che ha dato una nuova casa a tutta quella fetta di popolazione rimasta senza, anni prima. Mai che qualcuno possa anche solo sospettare una possibile crepa.

Famiglia Madrigal

E se invece questa catena si interrompesse? Se per una volta il miracolo non si ripetesse? Potrebbero tutta questa felicità, questa attesa e questo entusiasmo trasformarsi in ansia e delusione?

Chiedetelo a Mirabel, l’unica della famiglia rimasta senza cameretta, prescelta dalla candela per non ricevere il tanto atteso dono, finendo con il divenire la classica pecora nera. Naturalmente, in piena poetica disneyana, a lei è invece riservato il ruolo più importante, ovvero quello di rivelare tutte le cicatrici di una famiglia che paradossalmente ricatta i suoi membri con l’amore che li lega, schiacciandoli con il credo genealogico a cui bisogna assolutamente allinearsi. Una trappola che non permette di distaccarsi da casa, pur non potendo più viverci.

È così che, quando il tuo dono diventa una maledizione, si finisce a vivere dentro i muri, da soli, anzi con dei topolini. Quasi meglio non averli proprio.

Distruggere per costruire

Il nuovo classico Disney deve la sua difficoltà proprio alla costruzione della famiglia protagonista (nonostante un esemplare uso delle funzioni del realismo magico), che rimane ambigua nello sviluppo che l’ha condotta all’angoscia che vive al momento. Soprattutto per le origini di questo sentimento.

Un mistero che indirizza la severità dei Madrigal che mistero non è mai realmente, sfociante in una disfunzionalità che non risiede tanto nei rapporti fra i membri della famiglia, quanto in una eredità di cui si apprezza la riflessione parossistica, ma che, nei suoi timori fa un po’ acqua.

Encanto

I racconto non è mai così forte da portare ad una crisi sostanziale, anche quando si arriva al punto, anche quando entrano in gioco altri topoi tipici di questo tipo di storia, come la paura del futuro e la terribile profezia. Tipici perché ritornano alla semplicità disneyana, immobilismo (la tradizione della famiglia) contro il movimento (la figlia che fa eccezione). Distruggere l’uno grazie all’altro e ricominciare, in modo da capirsi meglio un po’ tutti, in modo da vivere meglio un po’ tutti, con i doni e nonostante loro.

Un’ottima idea, interessante, ma un po’ debole, proprio nel momento del contrasto. Nella contrapposizione con un’ansia di tipo sociale.

Questo penalizza anche i personaggi, che nella messa in crisi trovano sempre la loro linfa vitale. Tutto il resto funziona invece benissimo. La parabola della sua protagonista, raccontata nel suo andare in fondo a tutte quante le varie difficoltà nascoste dai vari membri, fino alla presunta rivelazione finale in un anticlimax molto ben pensato come estensione di una struttura che da tempo lavora su un percorso dichiaratamente introspettivo, prendendosi il rischio di abbandonare il villain classico, come si era già cominciato a fare qualche classico fa.

Encanto deve tanto anche alla sua parte musicale, che veicola non poco i tempi della narrazione, oltre ad aprire a tutto quanto al coloratissimo e scoppiettante mosaico delle trovate visive, che permettono allo spettatore di respirare anche al di fuori delle mura domestiche. Bellissime mura domestiche, che si fanno linguaggio di una casa, raramente resa in modo così esplicito personaggio funzionante alla storia.

Encanto è disponibile al cinema dal 24 novembre 2021, dal 24 dicembre dello stesso anno sarà disponibile gratuitamente su Disney+.

 

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75
Encanto
Recensione di Jacopo Fioretti

Encanto è il 60esimo classico di casa Disney, diretto dall'inedito trio composto da Byron Howard, Jared Bush e Charise Castro Smith e musicato da sua maestà Lin-Manuel Miranda, autore delle splendide musiche. Musical più che film d'animazione musicale. Apice nell'analisi intimista della famiglia come sistema disfunzionale e che si diverte a ribaltare l'immaginario legato alla positività del dono magico per iniziare un discorso di reinvenzione dell'assetto casalingo. La parabola di una protagonista per raccontare tutte le problematiche del suo clan, sviscerate in delle trovate visive scoppiettanti e colorate, unico momento di reale uscita dalle mura domestiche. Una pellicola che complica un altrimenti efficace contrasto, arrancando nella costruzione del motivo dietro l'immobilismo che il futuro deve spazzare via, portando ad uno scioglimento orfano di un apice tensivo e contenutistico realmente soddisfacente.

ME GUSTA
  • Le trovate visive nei momenti musicali sono ottime.
  • Il comparto musicale è di alto livello.
  • La parabola della protagonista è ben costruita.
  • Efficace il lavoro sul ribaltamento dell'immaginario positivo legato ai doni.
  • Il meccanismo disfunzionale della famiglia è ben reso.
FAIL
  • I motivi dell'immobilismo dietro la disfunzionalità familiare è poco convincente.
  • Nel finale manca un reale momento di contrasto.
  • I personaggi non sono molto ben approfonditi.
  • C'è qualche passaggio un po' forzato nella trama.