La suggestiva idea di trasformare ciò che doveva diventare un album musicale in una sceneggiatura aveva rapito la mente di Leos Carax ormai diverso tempo fa, all’inizio di una travagliata produzione che si è presa tutto il tempo del mondo per capire la visione degli Sparks, leggendario duo composto dai fratelli Ron Mael e Russell Mael (che firmano anche la colonna sonora, ovviamente) e trasformarla, con il loro imprescindibile aiuto (e anche di un produttore consumato come Charles Gillibert), in una pellicola che ha suo malgrado acquisito sempre più importanza per l’industria mondiale, poiché prescelta ad aprire Cannes74, primo Festival del Cinema dopo lo stop dovuto alla pandemia.
Nella nostra recensione di Annette arriviamo dopo la tempesta (è proprio il caso di dirlo). Il ritorno di Alex alla Croisette a quasi 10 anni di distanza è avvenuto ed è stato, a suo modo, un successo, non solo per il premio alla miglior regia (o Prix de la mise en scène), ma soprattutto per aver provato una volta ancora la sua (in)capacità di adagiarsi sugli allori di una filmografia che parla da sé, continuando a miscelare generi e a macinare cinema per continuare ad affrontare le tematiche che più gli stanno a cuore. È anche il suo primo lavoro in lingua inglese, tanto per dire.
La sublimazione della realtà attraverso la classicità (appunto, il musical, l’opera rock, whatever you choose), manipolata e, in un certo senso, deviata per alterarne lo spirito e rivelarne il suo negativo.
Tra le altre cose, uno dei vizi che il regista francese non ha perso è l’ispirazione per il suo attore feticcio, in questo caso uno splendido Adam Driver (sua prima scelta dall’inizio della lavorazione, aspettato, coccolato e fortemente desiderato), accanto a lui una Marion Cotillard e un Simon Helberg più sullo sfondo, non a caso arrivati dopo un casting difficoltoso.
La favola di Adamo ed Eva
Lui è Henry McHenry (Driver), The Ape of God (o almeno è il protagonista dello show di cui questo è il titolo), stand up comedian spietato, che si esibisce in accappatoio e che prima di salire sul palco si prepara come un pugile davanti allo specchio. Comico, quindi dissacrante, il suo obiettivo è uccidere per impedire che le sue verità uccidano lui. Disarmare gli altri prima che si armino contro di te.
Lei è Ann (Cotillard) cantante soprano dalla voce angelica. Pudica, timida, perfetta, amata da tutti. La sua è un’opera salfivica, al servizio del pubblico, per cui la ragazza muore ogni sera sul palco salvo poi, “non contenta”, inchinarsi anche ad esso.
Synth-pop e lirica.
Due artisti agli opposti, due arti inconciliabili, due modi di amare e di amarsi incompatibili, principessa avvelenabile e cavaliere della notte. Belli e dannati. Una favola irripetibile per chi guarda da fuori, tra fan, paparazzi e i giornalisti di Showbizz News.
Naturalmente arriva il matrimonio, culmine di un percorso comune, poco prima della divisione e dell’inversione di tendenza, che passa, suo malgrado, da Annette, frutto dei lombi di un connubio di eghi così smisurato da strabordare tra vita privata e palco. Un mostro dall’anima verde e rossa, che ride alla (o della) nascita della sua prole, la sua è una natura selvaggia e così ribollente da essere incontenibile anche per quel giardino dell’Eden dove apparentemente vive. In cui la famigliola dovrebbe essere protetta, che sia dal successo dei suoi membri o dall’incredibile amore che unisce la coppia.
Diciamocelo però, tra Adamo ed Eva finì bene? Sicuramente non per i loro eredi.
“So may we start?“
Immaginate la magnificenza della sequenza iniziale di Annette all’apertura del festival questa estate. Una riaccordatura preparata ad hoc da Carax, che si presenta al pubblico e introduce gli Sparks in uno straordinario piano sequenza metacinematografico in cui il cast avvia i temi del musical dopo che il regista ha pregato il pubblico di non scoreggia. Uno degli echi di Holy Motors, ancora una volta nei primissimi minuti.
Iniziare un film dalla registrazione della sua colonna sonora.
Immaginatelo davanti a quel pubblico, dopo tutti quei mesi di incertezza mista a latitanza dalle sale, dopo un anno di rinvio di uno degli appuntamenti più importanti del cinema mondiale. Se avete visto Tenet al cinema forse potete capire quello a cui sto pensando, Nolan anche iniziò dal palcoscenico dopo tutto. A suo modo, ma vabbé.
Nell’overture, dicevamo, c’è tutto lo spirito del musical del regista francese, pregi e difetti, insicurezze e vanità, gli attori e autori si inginocchiano e ci implorano addirittura di essere clementi nella nostra severità, sfruttando una trovata classica (un po’ Jesus Christ Superstar e un po’ La La Land), come è il genere che affronta, ma piegandola non solo ai fini personali del film, ma anche in virtù di quello che sta accadendo nel momento della sua uscita. E vi accorgerete (o magari ve ne siete già accorti) di quanto l’opera di Carax sia attenta al contemporaneo e ad una riflessione su se stessi all’interno di esso, topos immancabile per il cinema del genio francese. Che sia voluto, che sia fortunato, che sia frutto di un’intelligenza o di ispirazione anticipatoria. Non sarà mai un difetto. La puntualità di Annette è, comunque, magnifica.
And so they can start.
Sympathy for the abyss
La destrutturazione dello star system, la denuncia del marcio e della crudeltà che c’è dietro le famiglie da red carpet e dietro ciò che appare perfetto a chi guarda da fuori. Le anime nere dell’arte, la rilevanza della comicità negli ultimi anni, la potenza distruttiva della parola, l’omicidio dell’amore, le fantasie di violenza, gli echi del MeToo, la dipendenza dagli applausi fino allo sfruttamento di chi difendersi non può.
C’è tutto nel film di Carax, ma non è la cosa più interessante, anche la sua sincerità sta là. Forse la cosa più interessante non sono neanche le fattezze della bambina di cui il film porta il nome, troppo capibile, troppo immediato, troppo poco per contenere l’anima di una pellicola così piena, soprattutto, di cinema (il suo cinema).
La riflessione sulla mascolinità tossica in un classico melodramma, che passa per un’analisi deformante che trasfigura la realtà in cui si muove, attraverso gli occhi di un uomo che uccide la donna che ama sul palco, talmente è la sua incapacità di amare se stesso, e che vede la figlia per quello che non è, ma per quello che è comodo che per lui sia. Un uomo che piega addirittura la donna che lo ama così genuinamente e con la paura la trasforma nella sua perfetta complice.
La scimmia di Dio (cioè noi, easy peasy) che ispira fantasie di violenza e di abuso solo con il suo incidere o che può risultare spaventoso anche solo facendo il solletico. Un’umanità che ha guardato nell’abisso, evidentemente non convinta dai ripetuti ammonimenti nitzscheani.
Tutto il film si piega alla sua anima nera, la cui presentazione nel primo atto risulta già premonitrice di una brutta piega, e che culmina in una seconda parte segnata da una tempesta di shakespeariana memoria in grado di distorcere lo spirito lucente del musical e tramutarlo quasi in una ghost story.
La potenza di Annette è nella regia di Carax e nella performance di Driver, che si contorce, ama e si denuda, al centro di un’analisi sul corpo e lo spirito del maschio e del maschile, come fu, d’altronde per Denis Lavant, più che nella potenza del comparto musicale, che nel suo rappresentare il negativo del musical hollywoodiano non riesce sempre ad essere all’altezza del visivo (pieno di simbolismi, gioco di colori e trovate fotografiche) e ad elevare le sequenze del film alla maestosità e all’immortalità di altre come la musicale più famosa con il Lavant di cui sopra. Lì c’era David Bowie e il regista aveva appena 26 anni. Un’epoca probabilmente di maggiore ispirazione, che non vediamo in toto in questa sua migrazione nella dimensione anglosassone.
Annette dimostra però che quella corsa non è mai terminata nella testa di Carax, che da autore splendido continua a ragionare su di sé e sull’arte, ben oltre le chiavi di lettura che adopera per renderla fruibile a noi, che dobbiamo perdonare le sue vanità e sforzarci guardare, con lui, nell’abisso (verde) che ci presenta, provando a vestirci di rosso e a scordarci anche noi di Nietzsche, suvvia.
Annette è nelle sale dal 18 novembre distribuito da I Wonder Pictures, in collaborazione con Koch Media e Wise Pictures.
Annette è il sesto lungometraggio di Leos Carax, apertura in concorso a Cannes74, a quasi dieci anni dal precedente lavoro, premiato, come questo, sempre alla Croisette. Un'opera rock nata dal connubio con gli Sparks, che segna il primo capitolo della carriera del regista francese nella dimensione anglosassone, con protagonista assoluto Adam Driver e accanto a lui Marion Cotillard e Simon Helberg. Una pellicola che segna un ulteriore passo nella poetica e nel pensiero caraxiano, che in questo suo negativo del musical hollywoodiano mischia favola e melodramma, synth-pop e lirica, per raccontare le deformazioni della mascolinità tossica e le sue derive edonistiche nelle arti e nel contemporaneo. Un'esperienza cinematografica seducente e visionaria, che non riesce ad elevarsi in toto per alcune manchevolezze integrative tra componente canora e visiva, al netto di un'overture da applausi, e per una sceneggiatura un po' mortificante nella sua elementarità, ma pregevole nella sua ingenua sincerità.
- La sequenza iniziale è magnifica.
- La prova di Adam Driver, ancor più di quelle dei due co-protagonisti, ottimi accompagnatori.
- La regia di Carax emana quella potenza e quella ricercatezza che "sanno" di cinema ricco e colto.
- La riflessione sul maschile nell'arte e nel contemporaneo è efficace e segna una continuità nella poetica del regista.
- La componente musicale, pur riuscendo nel suo essere in negativo, non riesce a regalare momenti dalla potenza catartica.
- Il simbolismo oscilla tra elementarità e ingenuità, che può essere anche un aspetto positivo.
- La sceneggiatura difetta di sapienza in alcuni passaggi, appesantendo anche la fruizione di un lungo minutaggio.