Sul fronte del documento finale firmato e siglato durante la Cop26, la novità più rilevante è che i paesi del mondo puntano adesso a mantenere il riscaldamento globale sotto gli 1,5 gradi dai livelli pre-industriali. L’Accordo di Parigi del 2015 metteva come obiettivo principale i 2 gradi, e 1 grado e mezzo come quello ottimale. Con Glasgow, 1,5 gradi diventa l’obiettivo principale, e 2 gradi soltanto il Piano B.

Ci sono stati i delusi, come sempre, ma qui non parliamo di cinema o intrattenimento, qui parliamo del nostro futuro e del nostro Pianeta e una delusione potrebbe portare a delle conseguenze non propriamente rosee. Ma ci sono stati anche coloro, che sono rimasti soddisfatti da queste giornate intense, nello scrivere un documento che segnerà in qualche modo il cammino delle Nazioni per quanto riguarda la questione clima. Cerchiamo di riassumere i punti nevralgici affrontati e perché molti addetti ai lavori non sono soddisfatti di questi accordi. Sì perché per molte associazioni ambientaliste, sebbene durante il vertice siano stati fatti progressi importanti e nella giusta direzione, gli accordi presi risultano deboli e per nulla coraggiosi.

Per la prima volta durante la COP26 si è affrontato il tema dei sussidi ai combustibili fossili e si è riconosciuta l’importanza di tutelare la natura e di investire in energie pulite e transizione ecologica, ma le scadenze per la decarbonizzazione non sono chiare.

Il testo finale ha poi riconosciuto l’importanza di mantenere il riscaldamento globale entro 1,5°C, ma perché questo avvenga si dovranno ridurre del 50% le emissioni di CO2 entro il 2030. Mancano però obiettivi e regole per ridurre le emissioni e monitorare i progressi e l’obiettivo di rimanere nella soglia di 1,5°C è stato di fatto rimandato al 2022.

In soldoni, è stato individuato il pericolo, ma non la cura specifica.

Il documento invita i paesi ad accelerare sull’installazione di fonti energetiche rinnovabili e sulla riduzione delle centrali a carbone e dei sussidi alle fonti fossili. La Cop26 riconosce l’importanza di giovani, donne e comunità indigene nella lotta alla crisi climatica, e stabilisce che la transizione ecologica debba essere giusta ed equa. Altro risultato importante della Cop26 è aver finalmente varato le linee guida per tre previsioni dell’Accordo di Parigi che finora erano rimaste inattuate: il mercato globale delle emissioni di carbonio (articolo 6), il reporting format con le norme con cui gli stati comunicano i loro risultati nella decarbonizzazione (trasparenza) e le norme per l’attuazione dell’Accordo di Parigi (Paris Rulebook).

Mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5°C è ancora possibile – dichiara Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia – solo intensificando la risposta globale alla crisi climatica. Ma la finestra temporale che resta si sta chiudendo velocemente, quindi è tempo che i leader mondiali mantengano tutte le loro promesse per garantire un futuro sicuro e piacevole a tutti. Glasgow è stato un punto di partenza e non di arrivo. Dobbiamo tutti lavorare perché la crisi climatica venga affrontata, in ogni ambito, con la rapidità e l’incisività necessarie: nessuno è al sicuro e abbiamo tutti troppo da perdere, noi e il Pianeta.

 

Ma dove i potenti del clima sono stati poco coraggiosi senza dare uno sprint importante per il futuro?

Senza dubbio dove la Cop26 ha mancato l’obiettivo è sugli aiuti ai paesi meno sviluppati per affrontare questa crisi climatica così importante. Il documento invita i paesi ricchi a raddoppiare i loro stanziamenti, e prevede un nuovo obiettivo di finanza climatica per il 2024. Ma nel testo non è stata fissata nessuna data per attivare il fondo da cento miliardi di dollari all’anno in aiuti per la decarbonizzazione (il problema lo conosciamo, ma ancora non sappiamo come gestirlo).

Uno strumento previsto dall’Accordo di Parigi e mai realizzato, visto che i paesi ricchi non vogliono tirare fuori i soldi. Anche dopo Glasgow, il fondo rimane una promessa.

Inoltre altra lacuna molto importante è che non si prevede poi nessun fondo apposito per ristorare le perdite e i danni del cambiamento climatico nei paesi vulnerabili: uno strumento chiesto a gran voce a Glasgow dagli stati più poveri. Il testo prevede solo che si avvii un dialogo per istituirlo (ne parlaremo in futuro…). Grossa novità invece, sul fronte degli accordi internazionali, è il patto di collaborazione fra Usa e Cina sulla lotta al cambiamento climatico. Le superpotenze rivali accettano (almeno adesso) di lavorare insieme su tutti i dossier che riguardano il clima, dalle rinnovabili alla tutela degli ecosistemi.

E’ stato firmato un patto di collaborazione fra Usa e Cina sulla lotta al cambiamento climatico.

Sempre per quanto riguarda gli accordi tra paesi da segnalare il patto tra centotrentaquattro paesi (compresi Brasile, Russia e Cina) per fermare la deforestazione al 2030, con uno stanziamento di 19,2 miliardi di dollari, e quello per ridurre del 30% le emissioni di metano al 2030 (ma senza Cina, India e Russia). Venticinque paesi hanno deciso di fermare il finanziamento di centrali a carbone all’estero, e altri ventitre di cominciare a dismettere il carbone per la produzione elettrica. Inoltre oltre 450 aziende, che rappresentano 130’000 miliardi di dollari di attivi, hanno aderito alla coalizione Gfanz, che si impegna a dimezzare le emissioni al 2030 e ad arrivare a zero emissioni nette al 2050.

Una trentina di paesi e undici produttori di auto si sono impegnati a vendere solo auto e furgoni a zero emissioni entro il 2035 nei paesi più sviluppati, ed entro il 2040 nel resto del mondo.

Il vertice di Glasgow avrebbe dovuto impegnare i governi a ridurre le emissioni di gas serra per restare al di sotto di 1,5°C – dichiara Jennifer Morgan, direttrice esecutiva di Greenpeace International – ma non è andata così e nel 2022 dovranno tornare al tavolo dei negoziati con obiettivi più ambiziosi. Tutto quello che siamo riusciti a ottenere è stato solo grazie ai giovani, ai leader indigeni, agli attivisti e ai Paesi più esposti agli impatti della crisi climatica, che hanno strappato qualche impegno concesso a malincuore. Senza di loro, questi negoziati sarebbero stati un completo fallimento. Il nostro clima, un tempo stabile, è stato profondamente alterato, come dimostrano ogni giorno gli incendi, gli uragani, la siccità e la fusione dei ghiacciai. Il tempo è scaduto e per la nostra stessa sopravvivenza dobbiamo mobilitarci urgentemente con tutte le nostre forze affinché si ponga fine all’era dei combustibili fossili.

Nonostante quindi alcuni progressi fatti durante il vertice, probabilmente siamo ancora lontanissimi da soluzioni concrete ed efficaci per fronteggiare la crisi climatica e le sue conseguenze, crisi che i Paesi più vulnerabili (e più poveri) stanno già subendo e che presto riguarderanno anche tutti noi.

Le parole di Greta Thunberg dopo la Cop26

Intervistata dalla Bbc, l’attivista svedese ribadisce la sua bocciatura della Conferenza Onu e afferma senza nessuna remora: “E’ finita purtroppo come mi aspettavo“. Greta Thunberg ha definito i risultati della Cop26 “ancora più vaghi del solito. L’unica grande conquista forse è che sono riusciti ad annacquare il bla bla bla“.

Greta Thunberg con gli attivisti di FFF durante la Cop26 (foto ©Ansa)

Purtroppo è finita come mi aspettavo – ha proseguito l’attivista svedese – Ci sono tanti piccoli passi in avanti, ma il documento può essere interpretato in tanti modi e alla fine dei giochi i passi sono veramente troppo piccoli. E’ tutto molto, molto vago. Non c’è garanzia che raggiungeremo l’accordo di Parigi il testo è interpretabile in molti modi diversi, possiamo ancora espandere l’infrastruttura dei combustibili fossili, possiamo ancora aumentare le emissioni globali. E’ davvero molto confuso e, anche se possiamo aver fatto qualche piccolo progresso, dobbiamo ricordare che la crisi climatica è questione di tempo, è una crisi accumulativa, e finché facciamo piccoli passi perdiamo.

In conclusione cosa resta della Cop26

Probabilmente alla fine dei giochi è stata un’occasione persa. Rimane la sensazione che quella del Patto di Glasgow per il clima sia stata piuttosto la dimostrazione di un grande sprint per tutti, carichissimi per una maratona per poi perdersi in partenza al primo metro. L’ultima sessione plenaria è stata per di più quasi surreale, con il Presidente della Cop, Alok Sharma, praticamente in lacrime per il compromesso al ribasso raggiunto agli ultimi minuti, con il delegato di Tuvalu che parlava tenendo in mano le foto dei suoi nipoti, o con Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione europea, che implorava i delegati:

Pensate per un minuto a una persona che amate e a come vivrà nel 2030, se non rimaniamo a 1,5 qui e oggi. Vi imploro, accettate questo testo per i nostri figli e nipoti, non deludiamo. Non ci perdoneranno.

Per quanto riguarda le fonti fossili si è passati a un debolissimo phasing down – riduzione e non eliminazione misura, che, beffa, riguarda solo il carbone “unabated”, senza sistemi di cattura e stoccaggio della CO2. L’obiettivo invece di rimanere sotto la soglia di due gradi è stata confermata, compare infatti, per la prima volta un obiettivo di riduzione delle emissioni al 2030 del 45% (rispetto al 2010), per contenere il riscaldamento globale entro +1,5 °C a fine secolo. Andando avanti è stato trovato un accordo su come regolamentare il mercato dei crediti, attraverso cui chi inquina meno compensa chi sfora i limiti o ha bisogno di aiuto per non superarli, ma purtroppo non c’è una trattenuta su queste transazioni destinata a sostenere i Paesi in via di sviluppo. E il metano? Se volessimo vedere un bicchiere mezzo pieno dobbiamo confermare che ci sono stati diversi accordi multilaterali, tra cui quello per limitare le emissioni di metano del 30% rispetto a quelle del 2020 entro la fine del decennio. Una iniziativa guidata da Europa e Stati Uniti (sottoscritta da 105 Paesi) con delle debacle assurde come la non sottoscrizione di Cina, Russia e Australia. Altra assurdità la questione dei danni, nel documento si riconosce solo il diritto a perdite e danni, ma non si parla di soldi, quindi in pratica ne trarranno svantaggi Africa, Stati insulari e America Latina.

Questo in breve quello che è stato siglato a Glasgow, la sensazione è stata quella del grande clamore, ma con poche responsabilità dai grandi Stati sovrani, ergo dovranno forzatamente rivedersi anno prossimo…anche se il tempo passa e il rischio debacle è sempre più alto.