Un’azienda canadese ha realizzato una mining farm di criptovalute sulle terre appartenenti ad una riserva Navajo, suscitando – come era facile immaginare – forti polemiche. L’impianto, di proprietà di WestBlock Capital, consuma ogni mese l’energia elettrica di grossomodo 18.600 abitazioni. Il grosso dell’energia, scrive Vice, viene prodotta usando fonti rinnovabili (soprattutto pannelli solari). Si trova a pochi passi da Shiprock, nello stato del New Mexico.
La maggior parte dei Dine, come vengono chiamati i nativi residenti nella riserva circostante la mining farm, vive senza elettricità o acqua corrente. L’operazione della WestBlock Capital è stata possibile esclusivamente grazie al consenso e ad un accordo con la Navajo Tribal Utility Authority, l’organizzazione non-profit di autogoverno della riserva.
La WestBlock ha promesso di portare infrastrutture più moderne all’interno della riserva, allacciando un maggior numero di abitazioni private alla rete elettrica nazionale.
Nonostante queste premesse, parte della comunità si è comunque opposta al progetto. Alcuni residenti, continua sempre Vice nel suo report, si oppongono all’idea che un’azienda straniera possa usare le risorse della comunità mentre molti nativi vivono ancora in una condizione di indigenza.
«È una forma di colonialismo finanziario», ha detto a Vice Tyle Puente, uno dei residenti più critici nei confronti del progetto. «Credo che le aziende attive nel mondo dei Bitcoin abbiano un atteggiamento predatorio nei confronti di comunità come la nostra. Credo che ci stiano usando».
La mining farm di WestBlock Capital genera ogni mese più di 20 Bitcoin, con un fatturato medio di oltre 1,5 milioni di dollari.