Siamo nella seconda settimana della seconda stagione di Welcome to Blumhouse, il format nato dall’unione delle forze di Amazon e della casa di produzione del signor Blum, che porta su Prime Video quattro titoli inediti rigorosamente horror, a basso budget e pieni di speranze. Ma solo uno di questi porta con sé l’onere di portare sullo schermo dei terribili fatti realmente accaduti ed è Madres, in occasione della cui uscita abbiamo intervistato il regista Ryan Zaragoza.
Si tratta del debutto alla regia di un lungometraggio per l’autore, che dopo un’esperienza importante nel mondo dei corti è poi approdato alla televisione, dirigendo 2 episodi di All American e riuscendo a porre la sua firma anche su una delle puntate dell’attesa Just Beyond, la serie antologica horror firmata Disney + in uscita il 13 ottobre (qui trailer).
L’opera prima di Zaragoza prende spunto da dei fatti terribili e mira a raccontare l’importanza della comunicazione tra esseri umani, anche se divisi da origini e culture, per eliminare la paura dell’altro e trovare il proprio posto nel mondo.
Lo fa attraverso la storia di una coppia di messico-statunitensi di seconda generazione che si trasferisce in un tranquillo paesino di campagna su richiesta dell’uomo, Beto, visto l’avvicinarsi della fine della gravidanza della compagna Diana. Un modo di riappropriarsi della loro cultura di origine, dato che la comunità scelta come nuova casa è quasi totalmente composta da messicani, e anche un tentativo di costruire un nuovo nido, più sereno e rilassato, per il figlioletto, atteso da entrambi come una benedizione.
Ovviamente non è tutto oro quel che luccica e molto presto i due si troveranno loro malgrado ad avere a che fare con un terribile presenza, che evidenzierà tutte le differenze e le incomprensioni tra la coppia e le loro radici e dietro la quale si cela una minaccia ancora peggiore, che rischia di compromettere i loro progetti di vita. Una minaccia di questo mondo, il nostro, spesso teatro di orrori al di là di ogni possibile immaginazione.
Una ghost story dalle sembianze classiche per raccontare un male sedimentato nella natura dell’uomo e che fa davvero paura guardare.
Intervista a Ryan Zaragoza – L’importanza della comunicazione per evitare l’orrore più grande
Nel film tratti argomenti molto importanti. Parli di razze, della ricchezza legata alle culture di appartenenza, di integrazione, di come le persone si approcciano alle proprie origini e anche di come spesso sono divise nel modo di relazionarsi alle proprie radici, persino se sono le stesse. Perché un’opera prima con al centro questi argomenti?
Penso sia molto importante avere conversazioni non superficiali su questi argomento e altri che riguardando le questioni culturali. La storia di Madres si concentra nello specifico su cosa significhi essere un messicano-statunitense, ma la questione è di natura universale dato la necessità di trovare la propria identità riguarda tutti noi. Poco importa la cultura di provenienza. Penso che il modo migliore per accedere ad una cultura differente dalla nostra sia rendersi disposti ad accettare nuovi punti di vista, situati in un terreno transculturale, in modo da poter creare nuove prospettive. Il mio personalissimo modo per approcciarmi e capire i miei personaggi è stato farli dialogare tra loro, vederli interagire con il loro essere una seconda generazione di messicani-statunitensi e quindi nata in America e in un certo senso isolata dalla proprio cultura di origine e, infine, vederli farsi strada per conquistare il proprio posto nel paese dove si stanno trasferendo.
Una riflessione presente in Madres riguarda la differenza tra l’orrore reale, cioè di questo mondo, e quello dell’altro, legato all’immaginario spirituale. Spesso nell’horror, quando l’elemento sovrannaturale è presente è anche legato agli elementi orrorifici, ma in questo caso non è così, sebbene la spiritualità rimanga comunque molto importante. Qual è il tuo rapporto con essa? Simile a quello che hanno i personaggi nel film, ovvero un’idea protettiva, addirittura un modo di fare giustizia, o altro?
Parlando di cultura messicana/statunitense, l’idea della spiritualità è molto variegata, piena di sfaccettature, ma molto sentita e vissuta in termini quasi catartici, associabile ad una visione simile a quella indigena, che poi è quella rappresentata nel film. Credo di essere sulla stessa lunghezza d’onda. Sarebbe bello avere l’abilità di riparare ai torti nella vita reale così come accade nel film.
Nel film usi molto il simbolismo, attraverso il cibo, le funzioni che assume il terreno, penso all’incubo nel film all’inizio del film e vari altri elementi. È una scelta di linguistica che ti affascina particolarmente? Ha avuto un posto di primo piano quando hai pensato alla sceneggiatura del film?
Sono sempre interessato ad utilizzare ogni aspetto dei miei film per comunicare e ci tengo molto che qualsiasi elemento fisico presente in scena racconti qualcosa. Quando arrivo al reparto costumi penso sempre a come essi possano parlare del background dei personaggi o di come possano raccontare i cambiamenti degli stati d’animo di chi li indossa, durante il proseguo della storia. Se ci fai caso la coppia protagonista indossa colori più caldi man mano che riesce ad inserirsi nella comunità. Questo vale anche per il design dell’oggettistica, che muta intorno a Diana, raccontando di un passaggio culturale che va costruendosi. Mi piace pensare ad ogni strumento possibile per coinvolgere lo spettatore… Ce ne sono tanti.
Credo che la violazione della maternità sia la più grande violenza a cui è possibile pensare: impedire ad una donna che vuole essere madre di essere una madre. Hai scelto di raccontare questa storia per questo motivo?
Penso che l’orrore raccontato nel film sia di gran lunga la cosa più terrificante a cui si può pensare, molto più di qualsiasi altro tipo, che si di questo mondo o dell’altro. Quello che la paura dell’ignoto spinge le persone a fare, anche ai danni dei propri simili, è la cosa più spaventosa che si possa immaginare.
Quando comincia ad investigare il personaggio di Diana assume quasi una funzione meta-cinematografica. Diventa lo spettatore, ma fa anche pensare al lavoro di ricerca che hai compiuto tu per fare il film. Come hai costruito la storia partendo da questi fatti terribili?
Abbiamo deciso di creare una grande struttura in cui poter tessere un ambiente soprannaturale credibile, così da distaccarci dalla storia su cui ci siamo basati, stando attenti a non perderne l’elemento emotivo. Ma per me è sempre stato importante trovare comunque dei modi per collegarmi alle persone che hanno vissuto quei fatti terribili, inserendo degli elementi con i quali potessero identificarsi. I nomi dei personaggi, le scelte delle canzoni, i vestiti. Una forma di rispetto e di empatia per delle persone a cui spero di poter dare un palcoscenico illuminato con questo film e non farli più rimanere nell’ombra.
Madres è disponibile su Prime Video dall’8 ottobre.