One Second, la recensione: il cinema come acqua nel deserto

One Second

Interrogarsi sulla natura della collettività in riferimento alla fruizione filmica è diventato uno dei leitmotiv dei nostri anni. Ha senso parlarne nei termini in cui la si intendeva anni fa? Cosa è diventata? Un dibattito è ancora possibile? Nella discussione entrano spesso gli autori stessi, che tengono spesso a ricordarci cosa e come intendono il cinema e la sala cinematografica, in certi casi non fermandosi alla sua sola rappresentazione, ma individuando anche il motivo per cui, attraverso epoche storiche, conflitti e culture diverse il cinema sia stata espressione imprescindibile della società e, più semplicemente, dei bisogni dell’uomo.

Nella recensione di One Second (penultima) pellicola di sua maestà Zhang Yimou, vi parliamo del colpaccio della 16esima Festa del Cinema di Roma, che riesce a portare in Italia uno dei tanti film desaparecidos della storia. In principio attesa per partecipare alla 69edizione della Berlinale e poi ritirata per “problemi tecnici di post-produzione“, che tradotto vuole probabilmente dire “problemi di censura”. Indizio che conferma una volta di più la relazione di amore odio tra il cineasta e il governo cinese. Il film uscì quasi un anno fa nelle sale del paese di origine per poi arrivare anche al San Sebastian e a Toronto. Da noi invece arriverà grazie a Felix Entertainment ed Europictures, in una versione purtroppo costretta a subire diverse modifiche che alla fine ne hanno accorciato la lunghezza di… un secondo.

La pellicola, tratta dal romanzo omonimo della solita Yan Geling (è la terza collaborazione tra l’autrice e Yimou), riporta il regista alle origini del suo cinema, lontano dai blokbuster wuxianiani che lo hanno contraddistinto negli ultimi anni, per raccontarci la sua sala cinematografica, nel deserto dell’ignoranza e nell’aridità dei sentimenti, intrecciando un’ode piena di amore alla storia di due padri, due orfani e un cinegiornale. Nel cast Yi Zhang (attore che ha diretto anche in Cliff Walkers), Haocun Liu e Wei Fan.

Oasi cinematografica

Nel piano largo di un immenso deserto della provincia di Gansu. vediamo camminare un omino. Dà l’impressione che ad ogni nuovo passo possa cadere a terra, stremato, ma la sua andatura è insistente, perentoria e, nonostante la pelle arsa e la visibile spossatezza, il suo sguardo è deciso. Cala il sole quando arriva ad un centro abitato, dove trova un minimo di ristoro abbeverandosi ad una fontana e mangiando da un orto lasciato incustodito. I suoi occhi si illuminano quando si imbatte in una vecchia moto carica di pizze (contenenti pellicole) da portare al villaggio vicino, come se ciò che gli importi sul serio non sia mai stato né bere né mangiare. Non è però il solo a trovare il contenuto delle sacche così prezioso e non passa molto prima che un’altra figura, più piccola e più scattante di lui, ne scippi una, per poi fuggire nello stesso deserto da dove lui è arrivato.

L’uomo si chiama Zhang ed è un fuggitivo, appena scappato dal campo di lavoro in cui era tenuto prigioniero, mentre lei è Liu, l’orfana Liu, ed entrambi sono mossi da più di un nobile motivo per appropriarsi della refurtiva.

Il primo vuole portare il nastro al cinema del centro “vicino”, per poter assistere alla proiezione del cinegiornale, dove compare la figlia, che non vede ormai da tempo immemore, mentre l’altra vuole fare con la pellicola della pizza una lampada per il suo fratellino, tormentato da dei bulli dopo averne rotta una di loro proprietà.

One Second

In un susseguirsi di incontri e scontri, i due si ritrovano invischiati in una sorta di gioco ad acchiapparsi e a rincorrersi che passa da momenti quasi da western a situazione rimandanti echi da cinema chapliniano,  arrivano infine con la pizza alla Terra Promessa. Non prima di essersi, loro malgrado, scoperti a vicenda e aver, in qualche modo, creato un legame. Lì fanno la conoscenza di Mr. Film, il proiezionista del cinematografo, un uomo preso in gran considerazione dagli abitanti del posto perché unico con la conoscenza ed il potere di innescare quel magico macchinario di cui possono godere solamente una volta ogni sessanta giorni.

A lui piace anche un po’ troppo questo ruolo: vestire i panni del dispotico dispensatore di conoscenza, nonché autoproclamato membro fondamentale del Partito.

Una figura quasi mitologica perché mitico è il suo potere.

Il cinema ed io

La pellicola di Zhang Ymou è ennesima espressione di un cineasta poliedrico e innamorato sia del cinema come spettatore che come autore, ne è la prova un film che è non solo un ode all’oggetto cinematografico (sala, pellicola, pubblico, schermo, sonoro), ma anche un modo di ripensare al proprio cinema, miscelando generi diversi, sperimentando e mettendosi in discussione.

One Second ci porta all’interno di un cerimoniale che contempla non solo la proiezione, ma anche il prima e il dopo, trasformando gli spettatori in fedeli del Dio cinema, che hanno cura di piangerlo, proteggerlo, lavarlo e distenderlo prima di godere della sua vista. Il tutto inserito in un contesto linguistico in cui si spazia dalla commedia al racconto neoralista, in cui si affronta il tema della povertà nell’epoca della Rivoluzione Culturale cinese di Mao Tse-tung e l’uso del cinema come strumento di propaganda nazionalista. Pur facendo vincere sempre il potere catartico.

Non è un caso che la scena prescelta nel patriottico film che verrà proiettato (Heroic Sons and Daughters, un mattone non da poco che inneggia alla giustizia della causa cinese) è quella di una figlia che incontra per la prima volta suo padre.

One Second

Ed ecco quindi che il canto di amore della pellicola passa dalla costituzione dei suoi personaggi. Adorati, capiti e sentiti dal regista, sviscerati nei rapporti più profondi e resi dei mondi vivi in un’ambiente desolante e spazzato solo da un vento che porta la sabbia a coprire ciò che nel deserto viene lasciato.

L’unica pecca, se di pecca si può parlare, è un finale doppio, che nel suo secondo passaggio avvolge il suo significato ultimo in un mistero buffo come la reazione di un padre e di una figlia ritrovatisi anni dopo il loro incontro e uniti dal cinema, che ha salvato la vita ad entrambi.

Il cinema che ha la forza di far vacillare anche un altro padre, quello dispotico, che del suo impegno non ha fatto forse sempre propaganda.

Non possiamo che concludere la recensione di One Second sottolineando la fortuna di aver potuto assistere ad un film che rischiava di perdersi per sempre, per quanto non sapremo mai se la versione arrivata a noi sia quella definitiva o, quanto meno, se sia la più sentita del regista. Sarebbe stato un peccato mortale privarsi di una dichiarazione d’amore così attenta, delicata, intelligente e personale.

One second arriva al cinema il 16 dicembre distribuito da Fenix Entertainment e Europictures.

78
One Second
Recensione di Jacopo Fioretti Raponi

One Second, presentato alla 16esima edizione della Festa del Cinema di Roma, è l'ode al cinema di Zhang Yimou tratta dall'omonimo romanzo di Yan Geling, suo malgrado rinviata a rimaneggiata a causa di una sospetta censura da parte del governo cinese. Storia di un padre e di una figlia orfani, persi nel deserto della Rivoluzione Culturale di Mao, che nel cinema trovano la via d'uscita per la loro misera condizione. Una dolce celebrazione della pellicola e della sala giocato tra la commedia e un neorealismo efficacissimo, basato sulla scrittura dei personaggi e su di un simbolismo attento ed emozionante.

ME GUSTA
  • L'ode al cinema di Yimou è toccante, ma mai retorica.
  • Il simbolismo è delicato ed efficace.
  • La critica al contesto storico è elegante e funzionale.
  • La scrittura dei personaggi è favolosa.
FAIL
  • Il doppio finale può estraniare, indebolendo la chiusura del film.
  • Purtroppo non sapremo mai se la visione di Yimou corrisponda a quella arrivata in sala.
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