Per il secondo anno torna Welcome to Blumhouse, il format nato dal connubio tra Amazon e la casa di produzione del signor Blum, punto di riferimento del genere horror transoceanico, talent scout super efficiente, sfornatore seriale di pellicole a basso costo e dal rendimento garantito. Ne sa qualcosa Jordan Peele, ma anche Damien Chazelle. Perché Blum ce sa fa, beyond genres and market logic. Le regole della House ospitata da Prime? Giovani autori, far accapponare la pelle degli spettatori e low budget. C’è però da dire che in questo caso il risultato è sempre all’altezza. Il primo turno della collection si è consumato la scorsa settimana e siamo già pronti per goderci i nuovi titoli. Goderci? Goderci.
E allora bando alle ciance, nella recensione di The Manor di Axelle Carolyn presentiamo forse il film più credibili per nomi del secondo turno della seconda edizione. Partendo dalla regista e sceneggiatrice (ha scritto anche una puntata della Sabrina netflixiana), nota nel settore anche per il suo precedente lavoro giornalistico, che oltre ad essere una quanto meno habitué del cinema horror, è anche una professionista che ha svolto diversi lavori sul set, essendo stata interprete (10 film, di cui due di Neil Marshall, noto anche come “quello dell’ultimo Hellboy“) e make up artist.
Blum la recluta in un momento dell’oro della sua carriera, all’indomani di una sua direzione nella seconda stagione di The Haunting e poco prima del suo debutto, sempre alla regia, nella serie antologica The American Horror Story (in America sta uscendo la decima stagione), dandole una possibilità molto importante.
Dunque, regista giovane, ma in rampa di lancio, mix di interpreti conosciuti (Barbara Hershey e Bruce Davison su tutti) e semisconosciuti, costi contenuti e una storia sentita. Non vedo errori.
“Il maniero del Sole dorato”
Judith è tutto tranne che una donna che qualcuno si azzarderebbe a definire anziana (la Hershey è in forma strepitosa). Il suo aspetto è giovanile, così come il suo spirito: ancora presa a danzare come usava fare da ragazza, a giocare con il nipote e a dare consigli a sua figlia. L’unica cosa che la tradisce sono i capelli argentati e il numero indicato dalle candeline sulla torta del suo compleanno, due elementi che non le impediscono di godersi comunque le fresche e soleggiate giornate di festa. Ma come alcuni horror ci hanno però insegnato di recente, le cose brutte possono accadere anche nelle fresche e soleggiate giornate di festa, teatro del malore da cui viene colta improvvisamente la donna, in seguito al quale decide di trasferirsi in una casa di riposo che sembra uscita da un gioco di parole della canzone più famosa degli Animals, “The Golden Sun Manor”. Ed effettivamente il sole non smette mai di brillare sulla struttura, il problema è quando scompare all’orizzonte.
Una decisione molto forte e non molto usuale, dato che è molto più comune tra gli anziani che la paura prenda il sopravvento sul buonsenso e che l’incapacità di poter badare a se stessi porti ad una non accettazione del tempo che passa. Un atteggiamento di rifiuto che coglie invece il giovane Josh (Jamie Alexander), ennesimo esempio dell’alleanza nonni/nipoti, qui in versione Wilbur & Chick, rimando al duo comico di Abbott e Costello (Gianni e Pinotto da noi), che delle comedy con i mostri della Universal ne fecero pietre miliari negli anni ’40.
Eppure la struttura non sembra tutte rose e fiori come appare dall’esterno, data la (poca) gentilezza delle infermiere nei riguardi degli ospiti nel delicato procedimento di accoglienza, momento in cui questi ultimi devono accettare che il controllo della loro vita ora non gli appartiene più.
A tranquillizzare la comprensibilmente agitata Judith, che mai si sognerebbe di mettere in pensiero la sua famiglia, ci pensa il trio più alla moda della casa di cura, capeggiato da Roland (Davison), istrionico rampollo dal capo ormai bianco, che si diverte a ridere in faccia all’inevitabile destino di chi condivide il suo stesso tetto dall’alto del proprio apparente benessere e sempre tenendosi a debita distanza da chi è di ben altro aspetto e umore.
Se i giorni passano sereni e piacevoli, le notti di Judith si fanno man mano più spaventose, disturbate da incubi sempre più invadenti, tanto da trasformarsi in visioni e portando la donna a convincersi che qualcosa di soprannaturale stia accadendo nella casa di cura e che, dopo aver tormentato altri ospiti, ora stia prendendo di mira lei.
Lei, un’anziana in una casa di cura, che ha avuto un ictus e che si è per prima resa conto di non poter badare a se stessa. Lei che ha affidato il controllo della sua vita ad altri. Lei, che ora presenta tutti i sintomi delle demenza. Una situazione scomoda.
Cosa ci mantiene giovani
La Carolyn scrive e dirige una pellicola dagli echi personali, imbastendo una storia sentita e cercando di dire tanto mantenendo una struttura archetipa del genere horror molto semplice. Troppo semplice.
Dall’immaginario della casa fatiscente, la regista pesca la carta di un maniero all’apparenza caloroso e accogliente, salvo poi trasformarlo nel suo cugino più famoso, pretendendo di prendere in contropiede un pubblico francamente troppo rodato per cascarci, come quello contemporaneo, e tradendosi anche con delle trovate didascaliche e che fanno facilmente intuire la trovata. Un difetto che il film si porta dietro per tutta la sua durata, perdendosi tra un detto e un non detto che anticipa sempre tutto quello che avverrà.
Dal punto di vista dello spettatore la cosa più estraniante di The Manor è l’incapacità di rimanere sorpresi da quello che sta succedendo sullo schermo, con l’aggiunta di un’atmosfera horror già vista e per nulla convincente.
L’alternanza giorno/notte da vita ad un crescendo che mira ad unire gotico e folkloristico, ma che non riesce ad imbastire mai un costrutto anche minimamente tensivo, limitandosi solo a svelare ciò che è già palese. La condizione della protagonista è quella del classico topo in trappola, non creduta nei suoi apparenti deliri prima solo dal personale della casa di cura e poi persino da Josh, il suo principale alleato, per arrivare ad uno scioglimento che nasconde ciò che la Carolyn voleva veramente parlare con la storia di Judith.
Andando oltre la fotografia patinata, gli effetti speciali non credibili, la regia a volte molto didascalica, un uso grossolano dei jumpscare e la sceneggiatura molto spesso scontata, troviamo una riflessione importante, che arriva veramente troppe poche volte nel corso della pellicola, cioè come noi percepiamo gli anziani nel loro momento di massima fragilità. La proiezione della nostra sorte, letta negli occhi di chi ci precede, trattati con la presunzione di avere la certezza che, al contrario loro, bambini capricciosi, quando toccherà a noi sapremo accettare il nuovo status, anche se in realtà non è mai così.
Concludiamo la recensione di The Manor quindi con una provocazione, che è il cuore della pellicola. E se il motivo del nostro (errato) comportamento nei confronti dei nostri cari più anziani sia proprio racchiuso nell’idea ipocrita che il modo corretto di andare incontro alla propria fine sia accettare di perdere il controllo della propria vita, anche spingendosi a farlo al posto di chi non ci riesce? E se invece la strada più corretta per loro e quindi per noi fosse quella della ribellione a questa idea? Accettare che saremmo disposti a fare qualsiasi cosa per opporci o ingannare il nostro destino. Dopotutto la nostra società cerca in ogni modo di negare l’accettazione della vecchiaia e, di conseguenza, della fine. O no?
The Manor è disponibile su Prime Video dall’8 ottobre.
The Manor di Axelle Carolyn è uno dei quattro titoli della seconda edizione di Welcome to Blumhouse, il format nato dal connubio tra Amazon e la casa di produzione di sua maestà il signor Blum. La pellicola vanta un nome importante come quello di Barbara Hershey, una regista rodata e in rampa di lancio e una sceneggiatura molto sentita, eppure pecca di un'incapacità di sorprendere lo spettatore a causa di una costruzione errata di una storia comunque banale e, ancora più grave, non riesce mai a imbastire un'atmosfera horror credibile. Peccato perché la riflessione alla base della storia è realmente interessante.
- La riflessione di fondo è sentita e stimolante.
- Lo sfruttamento dei topoi dell'horror è prevedibile e grossolano.
- La base della storia è banale e l'essere della sceneggiatura contribuisce ad un già pericoloso estraniamento.
- L'assenza pressoché totale di un'atmosfera orrorica e tensiva credibile.
- Gli effetti speciali lasciano molto a desiderare.