La nostra recensione di Kate, action di Netflix con Mary Elizabeth Winstead sarà un viaggio sopra le righe in una dimensione parallela, dove Wasabi non è mai esistito e un VFX artist viene messo dietro la macchina da presa per dirigere qualcosa di simile nel 2021.
Avete presente Wasabi, no? Un action targato Luc Besson diretto da uno dei suoi tanti amici dal nome impronunciabile, che tentava di riciclare la formula di Léon piazzando Jean Reno accanto a una minorenne giapponese, tricche tracche bumme a mano, si ride si spara eccetera.
Molto bene, Kate è la storia di Kate (sorpresa!) assassina infallibile che non sbaglia un colpo da 12 anni col suo sniper rifle, allevata da un assassino e imprenditore di nome Varrick che l’ha presa sotto la sua ala quando i suoi genitori sono morti.
Kate fa secco il suo (pen)ultimo bersaglio a Osaka, vorrebbe attaccare il fucile al chiodo, ma una serie di traumi e inconvenienti si metteranno in mezzo; tipo quello di essere avvelenata col polonio-204 prima di poter portare a termine il suo ultimo lavoro a Tokyo.
Tutto questo nei primi 10 minuti, ma ehi! Arriverà anche la minorenne nipponica, non preoccupatevi: e guarda caso sarà legata a doppio filo con il recente passato di Kate e parte integrande della sua missione suicida – una roba a metà strada fra Crank e un film a caso con Liam Neeson degli ultimi anni.
Kate è Mary Elizabeth Winstead, Varrick ha la faccia da schiaffi di Woody Harrelson, tutto il resto sono attori di lusso del Sol Levante, da Tadanobu Asano (Ichi The Killer, Thor, Mortal Kombat) a Jun Kunimura (Black Rain, Kill Bill, Shin Godzilla) passando dal cantante e chitarrista Miyavi.
Il cast è il vero punto forte di un film che non ha la palese voglia di dimostrarne altri: è un action come mille altri, con un setting che ormai non è più né sorprendente né stimolante (tanto più che ci si infila spesso nei bassifondi o negli interni delle case).
Girato con grande competenza e con polso fermo, regala vibrazioni vecchio stile e un divertimento solido che dura giusto il tempo dell’azione, una pregevolissima ora e mezza tonda che non si perde in inutili pause e approfondimenti non richiesti.
C’è tutto quello che ci deve essere: mazzate, pallottole, pathos, un po’ di humor, colpi di scena (vabbè, insomma, vorrebbero esserlo), giapponesi che fanno i giapponesi e yakuza vecchio stile che si incazzano perché i giovani signora mia l’onore non sanno dove sta di casa.
E poi c’è lei, che oseremmo definire il vero e unico motivo della visione del film: Mary Elizabeth Winstead, ex Ramona Flowers (ma sempre nei nostri cuori) a cui perdoniamo tutto, anche Birds of Prey, che qui è letteralmente la reincarnazione delle eroine badass degli anni ’80, un clone di Sigourney Weaver in tutto e per tutto.
Se sta facendo le prove generali per essere Ripley in qualche reboot di Alien, vi prego non fermatela. Il look in Kate non può essere casuale, alcune inquadrature sono clamorose.
Parlando del film, partiamo da un presupposto: non troverete in quest’opera il benché minimo briciolo di originalità e neppure un minimo sforzo nel provare a fare qualcosa di diverso dal compitino ben fatto.
La cosa è talmente palese che diventa quasi un pregio: tutto quello che puoi aspettarti succede, tutto quello che succede è semplice e dritto, senza alcun tipo di invenzione o deviazione dal canone dell’action.
Certo, il presupposto dell’avvelenamento e quindi del countdown prima dell’inevitabile morte della nostra protagonista è un buon espediente, ma non possiamo certo definirlo nuovo e soprattutto non riesce comunque a comunicare quel senso di urgenza e mood frenetico che ad esempio in Crank faceva la differenza per il divertimento.
Tanto è vero che non mancano i momenti di calma e di decompressione, proprio per espandere quel rapporto con la piccola giapponesina (una brava quanto giustamente petulante Miku Martineau) che rappresenta l’unico vero cuore di una pellicola che ha disperatamente bisogno di farci aggrappare emotivamente a qualcosa.
Insomma, tutto così prevedibilmente rassicurante che la cosa fa il giro e diventa piacevole.
Il regista viene dagli effetti speciali di Pirati dei Caraibi e dalla seconda unità di Maleficent, quindi è uno che il mestiere l’ha sgrezzato sul campo e la composizione delle inquadrature la sa portare a casa con discreti risultati.
La parte action è lodevole e la nostra Mary si impegna molto in prima persona fin dove può, alternando le sessioni da terminatrix a quelle dove viene utilizzata come punching-ball umana con convincente adesione al ruolo.
D’altra parte abbiamo un cast di supporto che ci mette il minimo sindacale, un Woody Harrelson sorprendentemente con il pilota automatico che non vede l’ora di incassare l’assegno e porta a casa con grandissimo mestiere l’ennesimo figlio di puttana in curriculum con onore.
Anche se fargli fare il verso allo Stansfield di Gary Oldman gli sceneggiatori se la potevano risparmiare, perché è penalizzante. Vedere per credere.
Il Giappone è evocato più con le luci al neon standard che con qualche bello scorcio suggestivo: ci troviamo dentro una storia di poche ore, prevalentemente notturna e claustrofobica, quindi rischia di risultare un po’ tirata via come ambientazione.
Anche se fa piacere a un certo notare come sulla facciata di un palazzo – rigorosamente di notte – si veda proiettato un pezzetto dell’anime di Tokyo Ghoul, forse a simboleggiare la condizione “prigioniera” dei due personaggi principali, l’assassina senza scelta Kate e il ghoul per forza, Ken Kaneki.
Avremmo sicuramente gradito un po’ di nipponicità in più nel film, senza per forza ridursi ai soliti yakuza usati come carne da macello e come voltagabbana rispetto alla tradizione (e che alla fine si prendono a katanate) ma, come detto, se si cerca qualcosa di originale è meglio rivolgersi altrove.
Possibilmente non all’altro action Netflix con Jason Momoa, però!
Per chiudere la nostra recensione di Kate, tutto quello che si piò ribadire è: avete voglia di un film senza pensieri, senza scossoni, prevedibile q.b e girato bene, con una spruzzata di Giappone e una protagonista che vi farà venire voglia di comprarvi una canottiera di Totoro tarocco?
Siete serviti: piazzate il cervello in modalità basso consumo, scofanatevi una portaerei di pocorn (e non fate come me che ne ho bruciati la metà) e fatevi un tuffo nei tempi andati, quando tutto era più semplice e dritto alla meta.
Boom boom lemon!
Kate è disponibile su Netflix
Come evidenziato in sede di recensione, Kate è un action movie standard impreziosito dalla sua protagonista e un buon cast che si salva in corner con mestiere. Ben girato e senza fronzoli, dona un'ora e mezza senza pensieri e con tanto sangue e azione coreografata come si deve.
- Pop-corn movie anni '90 vibes e andiamo a comandare
- Mary Elizabeth Winstead
- Mary Elizabeth Winstead
- Mary Elizabeth Winstead
- Niente originalità
- Niente profondità
- Non c'è amicizia, non c'è convenienza, non c'è cortesia
- E neanche l'ampio parcheggio all'ingresso