Non tutto è come appare e con questa recensione di Last Night in Soho, il nuovo film di Edgar Wright con protagoniste Thomasin McKenzie e Anya Taylor-Joy, ce ne renderemo conto molto presto.
La scintillante Swinging London tanto immaginata e agognata da Eloise (Thomasin McKenzie), a tal punto da perdersi in un loop in bilico tra il sogno e l’incubo, si dimostrerà essere molto più pericolosa del previsto e che, come sempre, ogni desiderio espresso ha un prezzo, molto caro, da pagare.
La pellicola di Edgar Wright, scritta assieme alla sceneggiatrice Krysty Wilson-Cairns (sceneggiatrice del 1917 di Sam Mendes), si mostra come un carismatico vortice di colori, nostalgia e sensazioni disturbanti, che un po’ sembra voler strizzare l’occhio ai magnifici Suspiria e Inferno di Dario Argento.
Una lettera d’amore alla Londra, in particolar modo alla Central London dove Wright è “cresciuto” e che ha frequentato per venticinque anni, ma anche alla Soho degli anni ’60 che viene rappresentata un po’ come l’ombelico del mondo; ma anche una sorta di monito nei confronti dei sognatori che viaggiano troppo in là con la fantasia, che si spingono verso mondi proibiti senza preoccuparsi delle conseguenze delle loro azioni.
Eppure Last Night in Soho è anche un film sulla violenza di genere, sul ruolo del corpo femminile nella società tanto ieri quanto oggi, e sulla rappresentazione della figura maschile come animale, predatore, approfittatore. Una pellicola di vittime e carnefici, di ruoli ribaltati, segreti inconfessabili e paura che possono logorare l’anima fino a perdere completamente la testa.
Il problema però in questo film è esattamente quanto detto ora: Last Night in Soho è tutte queste cose e, improvvisamente, non è più niente. Alla fine di tutto la pellicola di Wright sembra essere divisa a metà: una prima parte coinvolgente, meravigliosamente diretta e scritta dove ci si perde tra due Londra parallele e due protagoniste giovanissime e bravissime; nella seconda parte, però, il film comincia a perdersi, la sceneggiatura si fa pasticciata e si ha come l’impressione che Wright si sia innamorato di troppe cose tutte insieme a tal punto da non voler scegliere tra una di queste.
Si arriva quindi ad un finale confuso, anche un po’ contraddittorio e ridondante. Un finale che di originale conserva bene poco, appiattendo di molto la pellicola. Si esce dalla sala con un po’ di amaro in bocca, soprattutto per le grandi aspettative che questo thriller psicologico aveva fatto subodorare nei suoi teaser e trailer.
Non è neanche una questione di tematiche, ma parliamo proprio di scegliere per il finale se proseguire lungo una strada o, piuttosto, proseguire verso un’altra. E tutti gli interessanti spunti di lettura, tutte le teorie e l’ipotesi vanno automaticamente a perdersi perché, in fondo, non scegliendo una direzione, Wright castra il finale finendo col fargli perdere il mordente esercitato lungo la prima parte.
Certo, non si sta urlando al disastro (ce ne fossero di disastri di questo livello), al contrario. Piuttosto è inevitabile pensare che con un lavoro più certosino verso la sottrazione in fase di scrittura, Last Night in Soho sarebbe potuto essere uno dei migliori – se non il migliore – film di Edgar Wright.
Attenta a quello che desideri
Eloise è una giovane ragazza di campagna che sogna di trasferirsi a Londra per coronare il suo sogno: diventare una fashion designer. Sognatrice, ambiziosa ma anche molto ingenua, con una valigia carica dei vinili della nonna e la passione sconfinata per gli anni ’60, Eloise parte alla volta di Londra per studiare moda in una prestigiosa accademia ma, come spesso accade in queste storie, la grande metropoli può essere “too much”, citando lo stesso film.
Sometimes, London is too much.
La ragazza di provincia che parte per la città piena di sogni e aspettative è un grande cliché. Facilmente vittima di attenzioni indesiderate o di quelle dinamiche tipiche di chi si approfitta della persone più ingenue e sprovvedute.
La grande città sa essere carismatica ed esotica ma anche un covo zeppo di pericoli. Una giungla che divora, corrode, risucchia l’anima e distrugge velocemente. Non tutti sono tagliati per la città e per quanto Eloise si ostini ad aver trovato il suo posto nel mondo, diverse saranno le persone che proveranno a farle cambiare idea, a cominciare dalle compagne di scuola e dormitorio.
Eppure la ragazza non può permettersi che il suo sogno venga mandato in pezzi a causa della cattiveria altrui. Più decisa che mai, si rimbocca le maniche, trova un impiego come barista e affitta una piccola stanza in Soho, sopra un bistrot francese, da una signora anziana un po’ troppo austera e con regole ben salde.
È da qui che parte la storia di Eloise, la quale si ritroverà a vivere in due realtà: di giorno nella Londra contemporanea alle prese con il suo sogno di divenire una grande stilista di successo; di notte, invece, sarà catapultata – attraverso i sogni – in una Londra fuori dal tempo, la Londra degli anni sessanta. Visiterà luoghi mai visti prima, quelli da sempre immaginati attraverso la musica, proverà emozioni e sensazioni nuove, ma soprattutto creerà una strana connessione con una ragazza sua coetanea – molto simile a lei – con il sogno di diventare una cantante, Sandie.
Le strade di Londra possono essere nemiche tanto nel passato quanto nel presente. La connessione tra Eloise e Sandie porterà le due ragazze non solo con l’amarezza di doversi scontrare contro sogni “troppo ambiziosi” ma soprattutto contro la violenza, le torbide sfumature e gli esseri umani che popolano la notte la città, soprattutto quando si è delle giovani donne sole ed ingenue.
Fin dall’inizio Wright, assieme ai personaggi di Eloise e Sandie, ci introduce due delle tematiche portanti di questo: l’ambizione che può portare, un po’ come Icaro, a bruciarsi al sole e la difficoltà dell’essere donna in una società, tra ieri e oggi, che tende ad oggettificarti, a rappresentarti come mero pezzo di carne.
Nostalgia, nostalgia canaglia!
Edgar Wright con Last Night in Soho firma un film cangiante, tanto nel bene quanto nel male. Un film che è più film insieme, più generi, più sfumature di qualità. Una pellicola che è un crescendo sulle note della nostalgia, ma che in breve si trasforma in un horror per poi scivolare nel thriller psicologico e dopo… fa un passo indietro.
La pellicola si apre come una grande lettera d’amore alla Londra degli anni ’60, come abbiamo già detto in questa recensione di Last Night in Soho, ma ben presto Londra con le sue luci tra il presente e il passato, diventa lo sfondo scintillante di un teatro degli orrori sospeso nel tempo.
La nostalgia diviene ben presto un’arma a doppio taglio. La rievocazione di un passato come scudo per non vivere il presente, protezione per non dover pensare al futuro, ma che finisce col perdere il suo smalto di perfezione, ci sbatte in faccia la realtà e ci mostra gli aspetti più torbidi, feroci e violenti della società.
E quasi in uno stato comatoso, seguiamo con la macchina da presa Eloise muoversi per le epoche, incapace di distingue il sogno dalla realtà, il passato dal presente, tormentata da “demoni” senza volto che la desiderano, vorrebbero toccarla, strapparle la pelle dal corpo con le loro mani a tenaglia o incollarle le sudice labbra. La rappresentazione di questo stato d’animo è una delle parti più convincenti del film, ma non viene mai davvero contestualizzata. Può essere persone “particolarmente sensibili” giustificare tutto questo? Mh, non molto ma ok, lasciamo che la sospensione dell’incredulità faccia il suo dovere.
Dobbiamo dire che Wright riesce perfettamente a dare vita alle ossessioni della sua giovane protagonista, a quelle che diventano vere e proprie paranoie, paure radicate all’interno dell’immaginario collettivo femminile, come il tornare troppo tardi da sole, essere giudicate per una gonna troppo corta o una scollatura troppo profonda, o quegli sguardi indesiderati tra strade, locali e mezzi pubblici che diventano delle vere e proprie coltellate.
Speculare al passato di Sandie, Eloise vede il suo presente crollarle addosso. Noi crolliamo con lei, in lei e nell’inferno inferno di luci, musica e location grazie ad un montaggio serrato e vorticante. Visioni che ribaltano le regole del tempo, fanno perdere la concezione dello spazio e mettono in discussione tutto quello a cui abbiamo creduto fino ad un attimo prima.
I tormenti messi in scena da Wright sono dei veri e propri demoni privi di volto, ossessivi ed inquietanti. Affamati. Smaniosi. Lascivi. Uno degli escamotage visivi più interessanti della pellicola, che di trovate visive che mettono in dubbio tutto il mondo ne ha davvero tante, ricordando anche un po’ Mario Bava.
È tutto vero? È tutto un sogno? Come può manipolarci l’ossessione? O forse, le cose, non sono esattamente come sembrano?
A volte (non) ritornano
In Last Night in Soho emerge il grande amore per il cinema da parte del suo autore. La pellicola si concentra soprattutto sull’apparato visivo, sulla costruzione storica e su una prima parte che fa letteralmente scintillare gli occhi tra musica – quasi come se fosse un musical – vestiti e location.
Per i più amanti della capitale britannica è indubbio che questo film sia una gioia per il cuore. Questo vale anche per chi nel film di Wright coglie le citazioni più minuziose, dagli omaggi più lampanti a quelli più nascosti. Inoltre, le spalle su cui è retto il film sono quelle di due giovanissime e promettenti attrici.
E che Anya Taylor-Joy fosse una grande attrice, ce n’eravamo accorti già anni prima con il magnifico The Witch di Robert Eggers, avendo di anno in anno grandi conferme che passano dallo Split di M Night Shyamalan alla più recente serie TV La Regina degli Scacchi.
La sua Sandie è una cerbiatta misteriosa e conturbante. Sensuale eppure ingenua. La vedremo brillare e al tempo stesso cadere. Consumarsi come la fiammella di una candela dalle promesse di chi vede per lei unicamente un bel completino di pizzo e un letto a baldacchino su cui consumare ogni più gretto desiderio.
Sandie si aggrappa disperatamente al suo sogno, ma si accorge di essere stata troppo poco furba. Troppo ingenua. Troppo illusa. Ed Anya riempie questo personaggio di vita propria.
Dall’altra parte abbiamo una sorprendente Thomasin McKenzie, vera protagonista del film, che ci sorprende con una performance che farà molto parlare di sé. Alla fine Eloise è un personaggio speculare a quello di Sandie, sebbene il sogno sia diverso, la sostanza resta quella. Ma a differenza di Sandie, Eloise può ancora salvarsi. Salvare entrambe dai fantasmi del passato, quelli del presente e anche del futuro, garantendo una forma di redazione per entrambe.
Il rapporto, la sinergia e armonia tra le due, tra comprensione e compassione, è un po’ l’anima di un film che, purtroppo, finisce col perdersi nelle suggestioni, negli omaggi, nelle riflessioni portate avanti da Wright ma che restano un po’ a mezz’aria, come se non ci fosse una volontà di osare davvero.
Manca il coraggio di scegliere, di prendere una posizione, una decisione per tutti i personaggi, ma per il film stesso. Wright si innamora dell’idea di “portare a casa” un thriller horror, ma ciò che rimane alla fine di Last Night in Soho è una pellicola un po’ schizofrenica, dove i personaggi dalla seconda metà in poi si muovono meccanicamente, in modo quasi randomico, come se non avessero un vero e proprio scopo.
Compiono le stesse azioni, pensano le stesse cose, sbagliano allo stesso modo, rendendo parte della storia prevedibile e portandoci verso un finale, seppure interessante, piatto e un piuttosto respingente.
Così come Wright cerca di farci riflettere sulle conseguenze delle scelte di Eloise e Sandie, ci avverte che vivere troppo nel passato può essere pericoloso e che bisogna sempre diffidare di chi ci promette mari e ponti con scappatoie semplici, al tempo stesso è proprio l’autore a cadere, ad errare come le sue protagoniste, non volendosi assumere la responsabilità delle scelte fatte nella pellicola, senza voler portare avanti, fino alla fine, un’idea di film, un’idea di cinema coerente.
Basta davvero una buna messa in scena, un buon comporto musicale – che in questo caso svanisce anch’esso nella seconda metà – e un cast preparato per fare un buon film? Possiamo davvero soprassedere sulla storia? E possiamo accettarlo da un autore come Wright? Credo che la risposta la conosciamo già tutti.
Last Night in Soho vi aspetta in sala dal 4 Novembre con Universal Pictures
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In un giro di luci e colori vorticanti, in bilico tra il sogno e l'incubo, tra la paura, il desiderio e la violenza di genera, Last Night in Soho è un film interessante, carismatico e sperimentale ma che perde di mordente nella sua seconda parte la quale risulta, dalla scrittura, più pasticciata e ridondante, scivolando in un finale poco incisivo e molto confusionario. Un finale poco coraggioso dove manca la scelta decisa di andare in un'unica direzione, facendo perdere di bellezza all'intera pellicola.
- Thomasin McKenzie è una grande scoperta. Lo sguardo fanciullesco mescolato alla determinazione e tormento del suo personaggio la immortalano in un mix irresistibile
- Anya Taylor-Joy si conferma essere una certezza. Versatile, carismatica e magnetica in qualsiasi ruolo la si voglia mettere
- La regia quasi psichedelica di Wright e il montaggio veloce rendono benissimo l'idea di sogno allucinato, di incubo mescolato alla realtà dal quale sembra impossibile scappare
- Interessantissimo l'uso della fotografia e delle location che sanno perfettamente rendere l'illusione di una Londra sospesa nel tempo
- Il film sembra essere quasi diviso in due parti: una prima elevatissima in netto contrasto con una seconda molto pasticciata e confusionaria fin dalla sceneggiatura
- Wright sul finale sembra non voler decidere in che direzione andare e, quindi, va da tutte le parti, portando però a casa un finale debole, piatto e poco originale
- La parte centrale della pellicola è particolarmente pasticciata, soprattutto in sceneggiatura. Ridondante e monotona.