Facciamo che non la tirerò troppo per le lunghe. Dune è forse uno dei film più attesi degli ultimi anni. È un nome che trascina dietro di sé parte del cuore pulsate della cultura pop, nerd e cinematografica, nonché manifesto della letteratura fantascientifica ad opera di Frank Herbert.
Progetto assai scomodo che ha visto susseguirsi film che hanno diviso – il Dune di Lynch – e il film mai arrivati – il Dune di Jodorowsky – ma oggi con la recensione di Dune di Denis Villeneuve, presentato in anteprima mondiale nel Fuori Concorso della 78esima Mostra D’Arte Internazionale del Cinema di Venezia, sono qui per dirvi che sì, si può assolutamente fare. E sì può fare trovando una via di incontro tra fan e profeti, senza far torto a nessuno (o quasi).
È indubbio che un film come Dune non incontrerà mai il favore di tutti, esattamente come non lo aveva incontrato Blade Runner 2049 dello stesso Villeneuve. Il regista canadese, che nel 2016 presentava a Venezia uno dei suoi film più amati da pubblico e critica, ovvero Arrival, si cimenta in una nuova mastodontica opera divenuta sogno ed incubo di moltissimi registi.
Il Dune di Frank Herbert è una colonna portante della letteratura fantascientifica, ma è anche un romanzo, una saga, ricchissima di personaggi, di mondi, di viaggi mentali, simbolismo e riflessioni. È una storia presa più volte d’ispirazione per altre celebri saghe. Una storia seminale che, nonostante la sua importanza, non raccoglie dietro di sé un fandom tale da giustificare davvero l’arrivo al cinema di un franchise che promette essere qualcosa di assolutamente incredibile e mai vista.
Dune, con il tempo, è divenuto più mito e leggenda che realtà.
Eppure Denis Villeneuve negli ultimi anni ci ha dimostrato che a lui le sfide piacciono parecchio e se c’è forse qualcuno che poteva effettivamente riportare in vita il mito di Dune, fungendo da megafono anche per un’altra e nuova generazione completamente a digiuno, quello è proprio lui. Ovviamente con tutti i dovuti “se” del caso.
Facciamo due premesse, anzi una e mezza. La mezza che, come abbiamo appena visto, Dune è più una maledizione che una benedizione e che portare avanti questo progetto è in parte una condanna. Considerando il materiale, le possibilità di riuscita non sono poi così tante, non tanto per la bravura di chi maneggia l’opera, quanto più per l’opera in sé per sé, a mio parere troppo legata al medium cartaceo; dall’altra parte Denis Villeneuve non è certo un regista mainstream. Non è un regista che ha mai avuto il minimo interesse nel creare qualcosa che avesse come scopo il mero intrattenimento del pubblico.
Villeneuve è un abile costruttore di mondi. Un artigiano che ama stupire e al tempo stesso far riflettere, far viaggiare attraverso le sue immagini. Lo ha sempre fatto, fin dagli esordi del suo cinema – indubbiamente molto diverso da quello degli ultimi anni. È anche vero che, come vedremo in questa recensione di Dune, bisognava trovare il compromesso. Ed è indubbio che un cast così appetibile fatto da nomi che attirino pubblico di diverse fasce d’età, porti con sé una promessa piuttosto importante da mantenere.
L’essenza nuda e cruda di Dune è proprio quella di un film d’autore ma con l’impianto di un grande blockbuster.
Questo piacerà al pubblico? Per saperlo dobbiamo aspettare il 16 Settembre, intanto posso dirvi come ho trovato il lavoro di questo regista che, apre la sua opera, con una chiara dichiarazione di intenti: Dune – Parte Uno.
Benvenuti su Arrakis
La spezia aleggia nell’aria un po’ come una sorta di polvere magica. Inebria. Travolge. E come tutte le materie pregiate e preziose, potenziali fonte di reddito, rendono l’uomo spietato e crudele.
La spezia, purtroppo, si trova solo su Arrakis, chiamato anche Dune, l’unico territorio in tutto l’universo creato da Herbert a non appartenere a nessuno, neanche all’Imperatore che tutto controlla e tutto può. Per questo motivo Arrakis, e il suo popolo, viene costantemente minacciato, saccheggiato e depredato, per poi provare ad essere controllato, dalle Casate appartenenti all’alleanza galattica.
La nostra storia parte proprio da qui. Dopo un secolo di spietato dominio dei brutali Harkonnen, capeggiati dal Barone Vladimir Harkonnen (Stellan Skarsgård), l’Imperatore decide di affidare la gestione di Arrakis ai più saggi e leali Atreides, guidati dal Duca Leto Atreides (Oscar Isaac) assieme a suo figlio Paul (Timothée Chalamet) e alla sua compagna Lady Jessica (Rebecca Ferguson).
Per quanto Paul sia smanioso di partire per nuove terre da scoprire, viaggi e avventure, è terribilmente tormentato da una serie di sogni, visioni, previsioni che sembrano guidarlo verso un futuro fatto di guerra, sangue e nuove ideologie che possano finalmente far tornare la pace su Arrakis. Ma il pegno da pagare per questo cammino è alto, molto alto. Il sacrificio. La perdita. Ciò che si è disposti davvero a fare per un bene superiore, per il bene della collettività.
Del resto gli interessi politici che entrano in gioco in questo tipo di dinamica sono molteplici. Lo stesso incarico assegnato dall’Imperatore non sembra essere così casuale, ma anzi l’inizio di un cammino provante e doloroso e che porterà Paul un passo sempre più vicino alle visioni che tormentano la sua mente, sempre più sulla via del suo destino.
Da decenni si parla dell’arrivo di un Eletto, una sottospecie di Messia che possa finalmente portare la prosperità e pace nel Dune. Ma sarà proprio Paul la persona in questione?
Le basi per un nuovo universo
In questo primo film, soprattutto nella prima ora (a fronte di due ore e mezza di pellicola), Denis Villenueve si concentra sulla parte più difficile, ma fondamentale, tipica in opere di questo genere: gettare le basi per un nuovo universo.
Per quanto centrale nel mondo della cultura pop, Dune non è una saga così letta o che comunque raccoglie attorno a sé un numero tale di lettori da potersi permettere di sorvolare dettagli e dare per scontato alcuni personaggi o avvenimenti.
L’intento è esattamente quello di creare un nuovo ed epico franchise e per fare questo è necessario mettere le basi di un nuovo mondo. Fare world building. Ed in questo Villenueve, sopratutto dal lato scenografico, è davvero bravissimo.
Pur sentendosi inizialmente disorientati, se si è completamente a digiuno, piano piano i tasselli del puzzle vengono messi al loro posto. Villenueve si preoccupa di dare tutte le informazioni necessarie: presenta i personaggi cercando di approfondirli al meglio delle sue possibilità (anche in base al minutaggio), crea i mondi e cerca di farci apprendere la storia, gli usi, i costumi. Ogni Casata ha una sua specifica caratteristica, tanto in aspetto quanto in combattimento. Ci mostra l’imprevedibilità del deserto, quanto ti possa essere fatale e quanto, conoscendolo e rispettandolo, possa divenire un prezioso alleato.
Inoltre, aspetto fondamentale e che sicuramente aggancia meglio una delle tante tematiche presenti all’intero dell’opera centrale, insiste sulla sete di potere, sull’incertezza del futuro e sul dovere di assumersi le proprie responsabilità e abbracciare il destino senza paura, per quanto questo possa essere terrificante.
È indubbio che questa mole di informazioni, letta soprattutto in questo modo, possa essere scoraggiante. Partiamo dal presupposto che è necessario fare questo genere di lavoro su un’opera come Dune. Non ci si può permettere il lusso di dare per scontato o essere approssimativi. Non è un caso che Villeneuve stia creando più film – attualmente il secondo è in lavorazione – proprio per avere il tempo necessario per fare tutto senza perdere dettagli importanti.
Questo è solo l’inizio e più volte viene ripetuto anche all’interno dello stesso film, senza mai risultare didascalico o pedante. Al tempo stesso è impossibile non notare come tutta la prima ora di pellicola sia notevolmente appesantita, ancora più dilatata e tenda a caricare un po’ troppo lo spettatore. Considerando non solo il mondo da costruire e spiegare, ma anche i “nuovi” concetti filosofici da introdurre.
Timothée Chalamet è straordinario e fa completamente suo il personaggio di Paul, creando anche una buona interazione, e quindi legame d’empatia, con lo spettatore. Nonostante questo, però, riuscire inizialmente a comprendere le visioni, la Voce, il suo tormento e paura, non è facilissimo. Si rischia di cadere nel “delirio” che estrania.
Lo sforzo che richiede Dune, quindi, non è roba da poco. Si viene sicuramente riscattati da una seconda ora più action, più carica di adrenalina, emozioni e colpi di scena, ma prima va superato l’ostacolo ingombrante – ma comunque necessario – della costruzione del “territorio di gioco”.
Non so se Villeneuve avrebbe davvero potuto trovare un modo per dare le stesse informazioni in minor tempo o in maniera differente, però il risultato che si ottiene da questa prima ora è particolarmente lento, con uno spettatore che deve elaborare molte informazioni tutte insieme rischiando di estraniarsi e… annoiarsi.
Epica, visioni e universi incredibili
Cos’è che ci ha fatto davvero innamorare di Dune? Sebbene i “problemi” in scrittura esistano e sicuramente il primo atto tende a rallentare e carica eccessivamente il ritmo della narrazione, sono le immagini di Dune ad agganciare completamente lo spettatore alla sedia.
Nessuno vuole urlare al miracolo, ma Dune è un’esperienza visiva fuori da qualsiasi canone e schema.
Un’esperienza di suoni, immagini, luci e colori, sensazioni che solo la sala cinematografica (e magari con l’IMAX ancora meglio) può davvero rendere.
Fin dal primo secondo di film, la musica di Hans Zimmer penetra nella scena come personaggio dominante. Accompagna la narrazione, dona atmosfera ai luoghi, ai popoli e ai personaggi. Riesce a ricreare le sfumature perfette per entrare completamente nel mood dell’universo di Herbert reinterpretato dall’occhio visionario di Denis Villeneuve.
Dune è un’esperienza, è un viaggio che comincia sentendo la sedia tremare. Venendo completamente divorati e assorbiti dallo schermo. L’epicità delle immagini di questa pellicola è mastodontica. A livello visivo è senza ombra di dubbio il miglior lavoro mai creato da Villeneuve.
Gli effetti speciali sono maniacalmente curati, le ambientazioni come per esempio il deserto o gli interni dei luoghi, delle astronavi o dei veicoli da battaglia, sono talmente ben curati, studiati e realizzati da sembrare reali. Non si ha mai la sensazione del “questo è fatto al computer”. Sembra che tutto quello filmato da Villeneuve sia reale, autentico, tangibile. Qualcosa che potremmo addirittura visitare, nonché toccare, vivere.
Dune è un film che va vissuto. Un film dal quale lasciarsi travolgere.
Lo stesso vale anche per i suoi personaggi. Il Paul di Chalamet è il personaggio con il quale, per forza di cose, si lega di più. Il suo concetto di paura, le sue più che giuste domande, riflessioni ed incertezze vengono condivise dallo spettatore, ma la bravura di Chalamet non è l’unica interpretazione che si distingue all’interno del film.
Fermo restando che Villeneuve dirige un cast di attori incredibili e variegati, probabilmente l’attrazione principale del film che condurrà un numeroso pubblico al cinema (va capito quanto però questo tipo di pubblico resterà davvero colpito da quanto creato dal regista canadese); sono molte le prove attoriali degne di nota. Per esempio il Barone di Stellan Skarsgård, viscido e disgustoso. Non solo, quindi, la resa visiva ma anche il modo di dare voce al personaggio è qualcosa che scivola addosso come bava di lumaca, facendoci rabbrividire.
O il Duncan di Jason Momoa, uno dei personaggi al quale ci si affeziona di più o, ancora, la stupenda Lady Jessica di Rebecca Ferguson. Un’altra grande prova attoriale per l’attrice, in questi giorni in sala sempre con Warner Bros. con il film Frammenti dal Passato.
Madre, compagna, donna, guerriera. Difficile non amare questo personaggio complesso, apparentemente fragile ma fondamentale per il cammino di Paul, così come lo sarà la Chani Kynes di Zendaya, in questa prima parte apparizione, visione sospesa nel tempo e nello spazio. Personaggio chiave con il quale si inizia e si finisce, ma è solo la fine dell’inizio.
In conclusione della recensione di Dune, possiamo dire che indubbiamente ciò che va fatto è dare al film il suo tempo. Il tempo di crescere, il tempo di spiegare e il tempo per noi di comprendere, un po’ come per Paul che affronta un percorso nella paura per poi uscire con la consapevolezza di immolarsi per la missione, per la guida alla ribellione, alla rivoluzione di un popolo stanco di essere sfruttato, di un mondo distrutto dalla depravazione. Un mondo che ha bisogno di essere liberato.
E al tempo stesso va data fiducia a Denis Villeneuve. Contestualizziamo i fatti, contestualizziamo l’opera e cerchiamo di capire quanto complesso e difficile sia portare una storia del genere in sala. Quanto lo è stato in passato. E come, alla fine, ci è riuscito Villeneuve riuscendo a ricreare un mondo, un universo, ponendo le basi per quello che potrà essere un grande franchise, preoccupandosi di tutti, dando le basi a tutti per comprendere la bellezza e maestosità dell’opera di Herbert.
Di lavoro da fare ce n’è ancora tantissimo e chissà se questo non spingerà più persone ad aprire il libro di Dune e cominciare un cammino che, in un modo o nell’altro, cambia completamente la percezione che si ha della fantascienza. Del resto, siamo ancora all’inizio. E se l’inizio si mostra così epico, intenso e visivamente emozionante, non vediamo l’ora di scoprire cosa riserverà il futuro per questa saga.
Dune vi aspetta al cinema dal 16 Settembre con Warner Bros.
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Segui la 78esima Mostra d’Arte Internazionale del Cinema di Venezia, dal 1 all’11 Settembre, con noi sull’hub: leganerd.com/venezia78
Denis Villeneuve ancora una volta si mostra un abilissimo costruttore di mondi e universi spettacolari. Dopo Arrival e Blade Runner 2049, Dune è l'ennesima dimostrazione della bravura di questo autore che riesce a creare una pellicola tanto per i fan quanto per chi è completamente a digiuno. La narrazione molto ricca e un po' lenta rischia di rendere ostica la prima parte del film, ma stiamo parlando di una "parte 1" e, appunto, da qualche parte si doveva pur cominciare. Indubbiamente gli elementi da limare sono ancora molteplici, ma viste le premesse non possiamo che ritenerci soddisfatti.
- Il world building di Villenueve è attento e minuzioso senza cadere nel didascalico, ottimo soprattutto per chi è del tutto a digiuno
- Location ed effetti speciali sono da mozzare il fiato, sicuramente l'aspetto più entusiasmante del film
- La musica di Hans Zimmer non crea solo l'atmosfera, restituendoci esattamente il tipo di mood che ci si aspetta da un'opera del genere
- Timothée Chalamet è davvero straordinario in questa pellicola, riuscendo a creare un bellissimo rapporto ed impatto con lo spettatore
- La prima parte del film è molto densa di informazioni, nomi, avvenimenti. Si rischia di fare un po' fatica ed essere lasciati indietro
- Come tutti i film del filone sci-fi di Villeneuve, l'epicità del mondo viene messa al primo posto, spesso a discapito di una narrazione più fluida
- Il mix di stile, tra l'autorialità e il blockbuster, rischia comunque di essere più un difetto che un pregio, allontanando una fetta generosa di pubblico