Shang-chi e la leggenda dei dieci anelli, la recensione: viaggio in Oriente

Shang-chi e la leggenda dei dieci anelli

Quando si parla di progetti misteriosi di solito ci si riferisce a due grandi filoni. Uno che racchiude i titoli in cui viene centellinata ogni tipo di informazione, in cui si gioca con la suggestione, forti di un contenuto e di nomi potenti o di un immaginario già affermato. Una promessa di cui a nessuno importa realmente l’esito. L’altro riguarda invece dei titoli “underdog”, dai risvolti inaspettati, anche comunicati in un modo originale o indecifrabile, specchio di un contenuti che mal si addicono alle previsioni, pur potendo anche immaginare lo scopo per cui sono stati creati. In altre parole, ci sono lavori per cui il non dire è una precisa scelta di marketing e altri per i quali si può dire anche tutto, dirlo bene, con i tempi giusti, e per i quali comunque non si riuscirà a creare un’attesa all’altezza. Ora, la domanda è: quale dei due è quello che finisce realmente per sorprendere di solito? Non sfregatevi le mani troppo presto però.

Nella recensione di Shang-chi e la leggenda dei dieci anelli vi parliamo di un Marvel “minore”, così etichettato per diversi motivi. C’è l’eroe che ha il compito di presentare, dalle origini controverse e corrette e protagonista di un albo in auge solo negli anni ’70. C’è il momento particolare della sua uscita, dopo il retrogusto amaro di Black Widow e surclassato dall’attesa di Eternals e da quella scatenata dal teaser di Spider-Man: No Way Home (trailer MCU più visto di sempre). Per non parlare delle altre incognite, come il regista, Destin Daniel Cretton, che non si è mai dedicato ad un film di arti marziali, e come il protagonista, Simu Liu, che non ha mai fatto mistero di non essere un esperto.

 

 

Eppure il Marvel “minore” fa esattamente tutto quello che deve fare, confermando l’infallibilità editoriale di Feige e soci, raccontando una storia autonoma, ma senza scordarsi mai di essere parte di un universo più ampio (no, non parlo di un mostro verde e si, parlo di Ben Kinglsey) e ripercorrendo la strada già tracciata da Black Panther (non con la stessa riuscita però), continuando ad ampliare i confini geografici di una visione inarrestabile.

 

Le cose in ordine

Cretton si butta anima e corpo nel progetto e, insieme a David Callaham, scrive una sceneggiatura ordinata, scientifica, in cui cerca di imbrigliare le potenzialità dell’immaginario dietro la storia che racconta e di indirizzarle in modo da creare un lavoro ben incastonato nella Fase 4, dopo 10 anni di MCU, mantenendo i connotati possibili di un lavoro che attinge molto dal cinema asiatico. E lo fa e lo fa bene e, dopotutto, a ben guardare il suo profilo, ciò non dovrebbe meravigliare. Mai sottovalutare mamma Marvel.

 

Shang-chi e la leggenda dei dieci anelli

 

Shang-chi e la leggenda dei dieci anelli è un racconto di formazione che viaggia attraverso due universi culturali agli antipodi, ma raccontati secondo una struttura generalmente americana, specificatamente marveliana. Ce lo dice il primo atto, preludio che è già tanto MCU (oggettistica magica, solita panoramica contestuale, magnificenza visiva, riferimenti spaziali e la neo scoperta concentrazione sul villain), in cui si può ammirare la prima delle bellissime scene di combattimento, questa in stile wuxia, in cui ci viene realmente presentato Wenwu (sempre splendido Tony Leung), dopo i primi minuti in cui non è nulla più che una figurina da collezione.

Da lì si passa direttamente dall’altra parte del mondo, San Francisco. Qui conosciamo Sean (Liu) e la sua amica Katy (una Awkafina assolutamente a proprio agio), quest’ultima alle prese con una famiglia che la incita costantemente a cercare di trovare la propria strada e esprimere se stessa. Tematica portante dell’intera pellicola.

I due sono amici, si divertono e vivono un’esistenza più o meno serena, fino a quando dei misteriosi individui aggrediscono Sean su un bus, dando vita alla seconda grandiosa sequenza di arti marziali e rivelando la vera identità del ragazzo. Adesso si torna in Asia, a Macao, per la terza, ancora magnifica, scena d’azione (visivamente appagante il poter assistere ad una sequenza quasi totalmente orizzontale e poi godere di una verticale, scelta intelligente, ambiziosa e riuscita). Si, sono probabilmente la parte migliore del film: girate splendidamente e coreografate ancora meglio, non per nulla nel cast tecnico ci sono degli uomini di sua maestà Jackie Chan. Ultimo atto prima che la pellicola sciolga definitivamente gli indugi e riveli la sua direzione.

I maggiori problemi di scrittura sorgono qui, dove i numerosi flashback che agevolano il continuo ping pong tra America e Asia, passato e presente, vecchio e nuovo, dall’essere graditi ospiti finisco con l’appesantire la narrazione (c’è pure un personaggio non gestito troppo bene). Schema classico, prevedibile financo, uno di quegli intrecci che lo spettatore indovina mentre vede il film. Non una grande tensione, ma tutto funziona bene e voi siete partiti, ora non si scende più.

Tradizione ed emancipazione

Tony Leung

 

Tony Leung ha in sé il volto della tradizione, in lui vive un retaggio esplorato a 360 gradi, da cui abbeverarsi e da cui fuggire, e, quando si tratto di volti, non c’è scelta migliore. Il suo è un villain la cui complessità è (ri)costruita sul set: vive di sguardi, atteggiamenti, posture, delicatezza, eleganza, pacatezza e un taglio di capelli che solo lui può portare in quel modo. Una serenità che nasconde la tempesta. Il risultato è divenire una splendida personificazione del rapporto in cui il protagonista deve immergersi per poter emanciparsi e divenire l’eroe che deve diventare. Un monumento del cinema asiatico, come lo è anche Michelle Yeoh, la zia di Shang-chi, il cui personaggio però rappresenta solamente un lato della medaglia della tradizione. Un’aggiunta preziosa comunque al MCU, che ci auguriamo di rivedere.

L’esplorazione della tradizione del cinema asiatico è rappresentata da un viaggio funzionalmente condotto (da Zhang Ymou a Gareth Evans), che riempie gli occhi, diverte e sollecita, specie per la sua ottima miscelazione con il solito cocktail vincente, anche se non è tutto oro quel che luccica e, nonostante sia veramente molto attenuato rispetto al solito, lo spirito americano è sempre pronto a metter bocca. Questa volta molto meno probabilmente per il pubblico a cui il film è fondamentalmente rivolto. Magari lo scopo non sarà dei più nobili, ma il film ne beneficia comunque molto.

 

Shang-chi e la leggenda dei dieci anelli

 

Se c’è una pecca in particolare, è (come anticipato) quella della carica tensiva e della sua gestione. Di questa fa la spese soprattutto l’ultimo (lungo, forse troppo) atto della pellicola, in cui ci viene presentato un nuovo regno da aggiungere sulla mappa. Un regno dal sapore fantasy, quasi anime, in cui avviene uno scontro dal sapore fantasy, quasi anime (ci si fa anche una battuta verso il finale, praticamente una confessione).

La CGI è di ottima fattura, specialmente in questa parte, anche se la sua qualità è da lodare un po’ per tutto il minutaggio in cui viene impiegata, e la risoluzione scelta, per quanto decisamente dal sapore posticcio, non disturba neanche tanto proprio per la sua resa, in grado di sopperire ad una natura concettuale debole. Ad onor di cronaca è giusto sottolineare anche un montaggio e una regia non all’altezza, soprattutto nelle scene di mischia. Per quanto riguarda le sequenze di combattimento fantasy invece poco da dire: ampio respiro spaziale e temporale e una presentazione notevole. Sono stati veramente bravi in questo senso.

Chiudiamo la recensione di Shang-chi e la leggenda dei dieci anelli con una quasi totale promozione: il film diverte, ha un suo spirito autonomo riconoscibile e centra tutti i suoi obiettivi editoriali e personali.

 

 

Shang-chi e la leggenda dei dieci anelli arriva al cinema dal 1 settembre.

 

70
Shang-chi e la leggenda dei dieci anelli
Recensione di Jacopo Fioretti Raponi

Shang-chi e la leggenda dei dieci anelli segna i rispettivi ingressi di Destin Daniel Cretton e del primo eroe asiatico dell'universo Marvel nel MCU. Una pellicola che centra tutti gli obiettivi, sia a livello editoriale che personale, imbastendo una storia di formazione in cui viene intelligentemente miscelato il cinema asiatico con lo spirito della saga di casa Disney. Dal genere wuxia a quello di arti marziali duro e puro, arrivando al fantasy fino a sfiorare l'anime, la pellicola gode di picchi veramente sorprendenti, pur difettando qualcosa in scrittura, specialmente verso lo scioglimento. Bravi gli attori, tra tutti Tony Leung, perfetta metafora di un retaggio difficile da gestire, e straordinarie le coreografie delle scene di combattimento, menzione speciale che meritano a braccetto con la regia che le accompagna.

ME GUSTA
  • La direzione editoriale del MCU continua la sua marcia trionfale.
  • La regia e le coreografie delle scene di arti marziali sono straordinarie.
  • La miscela tra cinema asiatico e spirito marvieliano è funzionale e riuscita.
  • Il discorso sul retaggio e sull'emancipazione è approfondito come raramente prima nel MCU.
FAIL
  • L'uso dei flashback è forse troppo ridondante.
  • La carica tensiva è fondamentalmente debole.
  • Lo scioglimento contiene più di qualcosa che può far storcere il naso, sia a livello concettuale che tecnico.
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