La recensione di Madres Paralelas, il nuovo film di Pedro Almodóvar che dopo il suo meraviglioso testamento cinematografico Dolor y Gloria presentato a Cannes nel 2019, apre ufficialmente la 78esima Mostra d’Arte Internazionale del Cinema di Venezia.
Affiancato da una delle sue celebri muse, ovvero Penélope Cruz, il regista spagnolo torna al suo cinema delle origini, quello dalle tematiche intime e familiari, quello delle donne forti ma al tempo stesso fragili, sole. Una cinema fatto di legami stretti e dolorosi, di sguardi silenziosi ma carichi di emozioni. Una cinema che racconta storie reali, personaggi vissuti e anche un po’ strapazzati dalla vita. Un cinema in cui la Spagna di Almodóvar diventa personaggio consapevole e imprescindibile.
E se quindi ci riaffacciamo a pellicole capolavoro come Tutto su mia madre o Volver, dall’altra parte non si può fare a meno di fare un confronto proprio con la pellicola precedente, constatando un occhio un po’ più stanco, meno brillante e forse più orientato verso una comfort zone.
Sicuramente Madres Paralelas non ha la stessa potenza, vigore ed intimità di Dolor y Gloria, non siamo neanche lontanamente vicini alle emozioni che abbiamo provato con quella pellicola, storia dove lo stesso regista si è completamente spogliato di fronte (e dietro) la macchina da presa; al tempo stesso, la pellicola d’apertura del Festival di Venezia 2021 non ha neanche la pretesa di arrivare a quelle vette. È un po’ come se Pedro Almodóvar avesse deciso di “restare in famiglia”. Passeggiare tra quelle che per lui sono le tematiche più care e i personaggi più amati: le donne.
Sappiamo come la donna ha da sempre ricoperto un ruolo importante nella vita del regista, tanto privata quanto cinematografica, e in questo caso non è da meno. In questo caso abbiamo anche due donne diverse, due madri e figlie differenti, due generazioni che si incontrano, si intrecciano, si amano, si perdono e si ritrovano. Anzi, potremmo quasi dire che sono tre le madri e almeno cinque le generazioni a confronto.
Si, perché la pellicola di Almodóvar non è solo una storia sull’essere donna e sull’essere madre, ma è anche un racconto che parla degli antenati e dei discendenti, parla della verità e di quanto questa sia importante tanto nel passato storico di una generazione quanto nel futuro di una nuova discendenza, vedendo come poi questa andrà a influenzare, ancora come valore, i personaggi stessi.
Madres Paralelas è un film nel film. Sono più storie che si intrecciano.
Più linee che si incontrano e si incrociano, partendo dalla ricerca di un modo per aprire una tomba all’apertura della tomba stessa sul finale. E se questo è il grande pregio di questa pellicola, al tempo stesso è il suo grande difetto.
Storie di donne, di madri e di figlie
Janis (Penélope Cruz) e Ana (Milena Smit) sono due donne molto diverse che si ritrovano a condividere la stanza del travaglio in attesa di partorire le loro bambine.
Janis è una donna libera, indipendente e fotografa di successo. Ha quarant’anni e nessun rimpianto, se non quello di non aver messo al mondo un figlio, ecco perché quando “per caso” scopre di essere incinta, decide di tenere il bambino, anche se sa che sarà da sola. Per Janis questo non è un problema. Lei stessa non ha avuto un padre, cresciuta da sua madre e, soprattutto da sua nonna; a loro volta, le due donne, sono cresciute senza padre.
Ana, invece, è un’adolescente spaventate e sola che rifugge da un trauma e una famiglia borghese divisa a metà: da un lato sua madre che rincorre a cinquant’anni il desiderio di affermarsi come attrice teatrale, dall’altra un padre con una carriera molta importante ed una seconda famiglia.
Apparentemente differenti, Janis ed Ana si ritroveranno in comune molto più di quanto avrebbero mai immagino, finendo per restare legate l’una all’altra per uno “scherzo” del destino tanto assurdo quanto, in parte, crudele.
Ed esattamente come tutte le donne che nei momenti più intimi, fragili ed importanti si ritrovano da sole, Janis ed Ana creano un’alleanza unica e speciale, tipica poi dei personaggi femminili che hanno popolato le pellicole del regista spagnolo. Una sorellanza indissolubile che va ben oltre il “semplice” vincolo di sangue e DNA.
L’armonia delle due protagoniste è qualcosa di eccezionale e magistrale. Pedro Almodóvar, ancora una volta, riesce a darci il ritratto profondo di due bellissime donne. Si, bellissime. Turbolenti, dolci, bambine, furiose, fragili. Dominate dalle emozioni e dalle pulsioni. Donne che vanno di pancia e ogni tanto di testa. Donne caparbie, che puntano i piedi e vanno fino in fondo, contro tutto e contro tutti. Donne che, nel medesimo tempo, scappano dagli altri e fanno i conti con loro stesso. Quanto è importante la verità? Per l’etica, la morale, fino a dove possiamo spingerci? Cosa possiamo realmente perdere?
Compromessi. Segreti. Negazioni e rinunce.
E poi disperazione e dolore, speranza e unione. Sono questi i sentimenti che legano di più Janis e Ana, un po’ madre e figlia, un po’ amiche, un po’ sorelle, un po’ complici. Due personaggi intensi resi ancora più profondi grazie a due attrici straordinarie che reggono il peso del film, soprattutto nei suoi momenti drammaturgici più sbilanciati, sulle loro spalle.
Da una parte abbiamo una grande Penélope Cruz, con uno dei suoi ruoli più complessi, cresciuta proprio con il cinema di Almodóvar, che funge un po’ da pilota con la sua esperienza, tanto in ruolo quanto come attrice; dall’altra parte abbiamo la “nuova musa” Milena Smit che si lascia guidare, attenta e vigile come co-pilota, ma che sa come toccare il cuore dello spettatore con la sua naturale innocenza.
Tra passato storico e meta-cinema
Come dicevamo poco prima in questa recensione di Madres Paralelas, il film non si basa unicamente sulla storia di queste due donne che, se vogliamo, riesce anche ad essere nell’intreccio piuttosto prevedibile/telefonata ma che, al tempo stesso, Almodóvar riesce comunque a tirare fino alla fine l’esasperazione drammatica dei personaggi e della storia grazie all’uso dei sentimenti che muovono le donne e coloro che le circondano; ma utilizza anche altre tematiche che rendono un po’ il film un insieme di più storie tra loro.
Prima di tutto c’è il meta-cinema, non solo il citazionismo di Almodóvar nei confronti di se stesso e dei temi a lui più cari, ma anche dello stesso teatro che funge un po’ da narratore per alcuni momenti di enorme pathos, un po’ come accadeva in Tutto su mia madre.
Il teatro diventa anche l’escamotage per raccontare una terza generazione di donne, ovvero quella di Teresa (Aitana Sánchez-Gijón), madre di Ana.
A tutto questo si unisce – e in parte appesantisce – una parentesi di storia spagnola feroce e triste, come solo la guerra sa essere. Janis è infatti ossessionata da una fossa dove sono stati seppelliti alcuni uomini del suo paese d’origine durante la guerra civile, tra cui il suo bisnonno.
Janis vuole a tutti i costi aprire quella fossa, restituire le ossa dei propri cari a chi ha sempre saputo di averli lì, non troppo lontani da loro, ma che non ha mai potuto in tutti quegli anni dargli una giusta sepoltura. E non importa se passano gli anni, i decenni e quindi anche le generazioni. Il paese di Janis è unito dal dolore, dal bisogno e speranza di riavere con sé quegli uomini costretti a scavarsi una fossa anni prima, nel cuore della notte, e venir giustiziati brutalmente, senza alcuna possibilità di scampo.
Questa è la memoria storica, il ricordo dei dolorosi crimini di guerra, delle violenze e ingiustizie a cui Pedro Almodóvar vuole dar volto e voce, caricando però troppo la pellicola. L’unione delle due storie è abbastanza palese: si parla di radice, di passaggi, di generazioni in bilico tra passato, presente e futuro. Al tempo stesso, però, non si riesce ad andare troppo oltre una superficie che forse si concentra troppo sugli intenti che sui fatti veri e propri.
Una sovrapposizione di fatti, situazioni e momenti che caricano troppo la pellicola, estraniando di tanto in tanto lo spettatore dal racconto.
Un film che vive del passato, dei ricordi e che non osa quando potrebbe. Una storia intima, dolce e anche quotidiana ma che al tempo stesso si perde nelle sfumature dell’aggiungere troppo quando, invece, un lavoro in sottrazione avrebbe giovato di più.
Al tempo stesso, però, dobbiamo dire che Madres Paralelas incarna in sé le molte tematiche, soprattutto quelle più femminili, che saranno protagoniste di questa 78esima edizione del Festival di Venezia che, allo stato attuale, è solo all’inizio!
Madres Paralelas sarà al cinema con Warner Bros. dal 28 Ottobre
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Segui la 78esima Mostra d’Arte Internazionale del Cinema di Venezia, dal 1 all’11 Settembre, con noi sull’hub: leganerd.com/venezia78
Madres Paralelas è un ritorno alle origini del cinema di Pedro Almodóvar, quello popolato da ritratti femminili intimi e profondi, quello che racconta la Spagna di ieri e di oggi, quello fatto da tematiche scomodo, dolorose e intense. Un film in "comfort zone" ma che si appesantisce nel cercare di mettere troppe storie tutte insieme, perdendo un po' di immersione ed emozione.
- Milena Smit grande rivelazione del film
- Penélope Cruz magistrale, in uno dei suoi ruoli migliori
- Siamo nelle tematiche e bella atmosfera tipiche e tanto amate del cinema di Almodóvar
- L'intreccio principale è un po' troppo telefonato, per quanto la tensione venga comunque mantenuta alta
- Troppe storie insieme appesantiscono il film in generale, spesso facendo perdere un po' di mordente
- Un Almodóvar in comfort zone, senza rischio, senza pericolo