Nella classifica delle 100 università migliori al mondo non c’è nessun ateneo italiano

Italiadecide ha realizzato un’indagine sulle università del mondo in collaborazione con Intesa Sanpaolo. Secondo lo studio nessuna università italiana si classificherebbe nelle prime cento posizioni del ranking mondiale. La buona notizia è che – in assenza di poli d’eccellenza – il 40% dei nostri atenei si trova comunque nelle prime 1.000 posizioni del ranking, che è più di quanto possa dire qualsiasi altro paese.

Le valutazioni sono state condotte da un team scientifico guidato dal professore Domenico Asprone e Pietro Maffettone, Massimo Rubechi e Vincenzo Alfano

Lo studio ha preso come riferimento i ranking QS e THE, ossia due delle classifiche sul prestigio e sulla qualità delle università di maggiore credito a livello internazionale. L’Italia non compare nelle prime 100 posizioni di nessuna delle due classifiche.

Lo studio punta il dito contro la scarsa competitività delle università italiane, in parte causata dall’assenza di risorse economiche adeguate. Male, in particolare, la quote di risorse destinata alla ricerca sul totale della spesa pubblica italiana.

Pesa anche la scarsa meritocrazia nella selezione e negli avanzamenti di carriera nel mondo accademico. Storicamente l’Italia ha privilegiato la distribuzione di finanziamenti a pioggia. Un approccio che mortifica i progetti più meritevoli e – in generale – non garantisce nemmeno l’ordinario svolgersi delle attività di ricerca.

Per Italiadecide diventa allora imperativo “incrementare gli investimenti, intervenire su politiche di reclutamento del personale accademico, migliorare la macchina amministrativa, collaborare con imprese e tra atenei per internazionalizzazione, comunicare meglio a livello sistemico”.

Nelle premesse del report, i ricercatori evidenziano comunque i limiti dei principali sistemi di ranking internazionale: “Si mette in evidenza – spiega Italiadecide – come i parametri utilizzati dai principali ranking internazionali nel settore soffrano di innumerevoli problemi metodologici. Inoltre, si sottolinea come gli indicatori mal si adattino alla realtà italiana, poiché valutano singole università e non il sistema
universitario nel suo complesso in una logica settoriale”.

 

 

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