Si, stiamo per parlare di una pellicola nata da un’attrazione turistica presente in un parco divertimenti (e con dei poster bellissimi), non vi scioccate più di tanto, non è la prima volta che la Disney fa cose del genere, guardate la saga Pirati dei Caraibi (la ride è a Disneyland dal 1967). E non è neanche un dettaglio perché fondamentalmente il leitmotiv su cui è stata improntata la storia del film fa scopa con l’idea con cui è stata progettata la sua corrispettiva gita sul fiume per grandi e piccini. Quale, dite? Un’avventura nelle terre selvagge, ispirata a documentari naturalistici e a pellicole d’avventura di metà secolo scorso (Il tesoro della Sierra Madre, giù di lì), senza tralasciare saghe cinematografiche (molto) più importanti e recenti. Di tutto, un po’ ma con un tocco di Disney (e di verde) in più.
Ed oggi con la recensione di Jungle Cruise, dal 28 luglio in sala e dal 30 luglio in streaming su Disney Plus Accesso VIP, vediamo cosa ne esce fuori: un’avventura sul Rio delle Amazzoni con il sornione capitan Dwayne The Rock Johnson (anche produttore) e la dottoressa avventuriera Emily Blunt; poi c’è un giaguaro, un McGregor, un Paul Giamatti con un pappagallo (breve, ma molto intenso) e un imperdibile Jesse Plemons, baffuto figlio del Kaiser. Tutti (uno escluso, vabbé) alla ricerca di un tesoro leggendario. C’è anche qualcosina di altro nel cast, ma ne parliamo dopo.
La pellicola è anche la prima delle due collaborazioni tra Johnson e il regista, Jaume Collet-Serra, la seconda sarà Black Adam, DC Extended Universe, uscita prevista per il 2022, con protagonista l’ex wrestler e ora “l’uomo che ha per qualche motivo preso più soldi di Emily Blunt per questo film“, magari aveva degli agganci nella zona del fiume dopo Il tesoro dell’Amazzonia di Peter Berg.
Jungle Cruise – La dottoressa e il capitano
La dottoressa Lily Houghton (Blunt) è un’avventurosa botanica che vive in piena sinergia con la sua famiglia e in completa opposizione alla comunità scientifica londinese di inizio 1900. Suggestionata da bambina da una esotica leggenda raccontatagli dal padre a proposito di un albero i cui petali possono guarire ogni malattia situato nel Rio delle Amazzoni, la ragazza ha votato i suoi studi alla ricerca di un indizio che provasse la verità di quella storia. Prova che gli si para davanti in una soleggiata giornata proprio dalle parti di quei capoccioni che ragionano più con l’oro che con la testa. Motivo per il quale, tramite il buffo e impettito fratello McGregor (Jack Whitehall) prova con accademica diplomazia a convincerli dell’importanza scientifica di tale manufatto e poterlo così ottenere.
Ma la diplomazia, per quanto gli inglesi continuino ad insistere, non ha mai fatto troppo al caso loro. La dottoressa Houghton decide quindi di mettersi in proprio e, dopo una gita panoramica e un incontro galante con tale principe Joachim (Plemons), il tedesco con gli occhi più piccoli del germanico regno, si reca sul loco insieme all’inseparabile fratellino e le sue 50 valigie.
Il capitano Frank Wolff (Johnson) è l’amabile e gigionesco capitano (epiteto a cui riserva un affetto di sparrowiana memoria) de La Quila, la barca con più trick di tutto il circondario, impegnato a intrattenere turisti europei con freddure e attrazioni create ad hoc. Eppure il sorriso beffardo e il cappello da marinaretto stile battello a vapore nascondono molto più di quanto non si creda, ce lo dice la sua abilità con i motori e la sua incredibile sicurezza di sé. Quella che mostra anche davanti a Nilo (Giamatti), colui che possiede QUASI tutte le barche disponibili per navigare sul fiume, con cui è in debito di diversi soldi.
Caso vuole che dottoressa e capitano si incontrino e che necessitino l’uno delle qualità dell’altra e viceversa: lui è l’unico che la può portare fino alla meta della sua missione e lei è l’unica che gli può garantire di sanare i suoi debiti e tenersi il motore della nave (oltre ad essere in possesso di una certa cosa legata intorno al collo).
La giungla ha però in serbo per loro molto di più di gatti feroci, piranha assassini, selvaggi mangiatori di uomini, natura incontaminata e tedeschi incattivi, perché, se la leggenda dovesse rivelarsi reale, dagli oceani del tempo potrebbe spuntare non solo l’albero dai petali miracolosi, ma anche coloro che tanti anni prima provarono a compiere l’impresa di coglierli per poi essere maledetti, come i conquistadores guidati dal famigerato Aguirre. E dopo 300 anni rimasto ancorato ad un fiume, per quanto bello il Rio possa essere, capirete bene che si fa fatica a tenere la propria mente lucida e serena.
Two in row
Jungle Cruise è il secondo live action targato Disney (dopo Cruella, che però vanta qualcosa in più a livello autoriale) che fa pensare come, dopo tanti lavori poco convincenti, gli autori siano riusciti a far girare le rotelle nel verso giusto e a capire come catturare l’immaginario del target di riferimento.
La pellicola riesce a mixare molto bene gli elementi divertimento e azione, trovando una buonissima chimica in tutti gli attori (soprattutto nei due protagonisti), azzeccando il ritmo quasi da subito e convincendo sempre di più man mano che la narrazione si addentra all’interno della fitta giungla amazzonica. Perché se la prima parte può far storcere il naso allo spettatore più attento per delle citazioni troppo esplicite (la migliore del film è senza dubbio quel “Oh, Frank!” urlato a squarciagola, ditemi se Emily Blunt non è uguale a Priscilla Presley! No? Va bene, scusate), così come troppo esplicito è il politically correct (ma questo per tutto il film), e per delle soluzioni francamente esagerate, ognuna di queste trova la sua contestualizzazione negli atti successivi della storia, la quale trova la sua parte più ricca proprio nei colpi di scena.
Un altro successo che la Disney bissa con questo live action è il casting dei personaggi secondari, perché se è vero che è francamente difficile per gli interpreti di questo film dar prova della propria bravura come è stato concesso a Paul Walter Hauser; Whitehall, Giamatti e Plemons sono perfettamente calati nei ruoli, tutti divertenti e tutti essenziali per dare all’atmosfera del film quel tocco di poliedricità e comicità in grado di elevare anche gli attori principali. La scena tra McGregor e il principe Joachim basterà a convincervi.
Se la cavano bene anche Johnson e la Blunt, soprattutto quest’ultima a dir la verità, ma la differenza di talento tra i due è sotto gli occhi di tutti, anche se il massiccio Dwayne riesce a dare uno spessore convincente al personaggio, portando il ruolo a casa tutto sommato molto bene.
Quello che ne esce peggio forse è proprio il regista, che rimane schiacciato da un immaginario figlio di saghe come Indiana Jones o proprio I Pirati dei Caraibi (soprattutto l’ultimo, purtroppo per lui e per Jungle Cruise) e sparendo quasi definitivamente in una regia talmente attenta a fare il compitino da risultare, francamente, anonima alla fine dei conti. Non aiuta neanche dalla fotografia, che gioca su tonalità e vividezze di colori che donano alla scenografia un’idea di finto e di chiuso (proprio da attrazione di un parco a tema in realtà, avranno esagerato o sono veramente bravi), che riesce scrollarsi di dosso solo quando comincia la spedizione e soprattutto quando cala la luminosità.
Insomma, Jungle Cruise azzecca abbastanza elementi da passare a pieni voti l’esame per il diploma da film di avventura per grandi e piccini. Divertente e appagante, pur rimanendo un’opera minore tra i suoi parenti di genere, troppo adagiato sulle loro spalle e con poca voglia di prendere lo spettatore per mano e guidarlo senza riferimenti in una landa selvaggia. Anche se poi l’intento era proprio quello. O no?
Jungle Cruise è al cinema dal 28 luglio e dal 30 luglio è in streaming su Disney+ con Accesso VIP.
Jungle Cruise è il nuovo live action Disney nato dall'attrazione omonima presente nel parco a tema. La pellicola vanta un ritmo azzeccato e il giusto mix di azione e divertimento, riuscendo anche a sorprendere lo spettatore con dei colpi di scena realmente gustosi e, in più, ha la forza di un casting totalmente azzeccato. Purtroppo la regia ristagna nell'anonimato e l'idea di finzione che a volte suscita il film fa tornare troppe volte in mente l'origine del prodotto.
- La pellicola garantisce un buon mix di azione e divertimento.
- Tutti gli attori forniscono delle prove convincenti.
- Il colpo di scena riesce a cogliere i giusti spunti per garantire un film di genere di tutto rispetto.
- La regia di Collet-Serra alla fine cade un po' nell'anonimato.
- La fotografia, soprattutto nella prima parte, risulta un po' finta.
- L'idea dell'attrazione da parco a tema viene troppe volte in mente durante il film.