Cominciamo la recensione di Una donna promettente mettendo subito le carte in tavola: è difficile rimanere indifferenti di fronte all’esordio cinematografico di Emerald Fennell. Il sentimento che più lo pervade e lo circonda è la rabbia: in qualunque modo deciderete di viverlo, vi farà incazzare. E non poco. La rabbia però non è sempre un sentimento negativo: se ne capiamo l’origine può dirci molto di noi stessi e di chi ci sta accanto.

 

 

Dopo essere stato presentato al Sundance Film Festival 2020 e aver vinto il premio Oscar per la migliore sceneggiatura originale, Una donna promettente esce finalmente anche nelle sale italiane il 24 giugno. È la storia di Cassie – interpretata da Carey Mulligan, forse alla migliore prova della sua carriera – studentessa di Medicina la cui vita si è interrotta quando la migliore amica, Nina, si è uccisa dopo aver subito una violenza di gruppo a una festa universitaria. Nonostante fosse una studentessa brillante, un’amica preziosa e una figlia amata, tutti si sono a poco a poco dimenticati di lei. Tutti tranne Cassie, che ha fatto della propria missione vendicare lei e ogni ragazza molestata mentre era priva di sensi. Per attuare la sua vendetta Cassie ogni weekend va in un locale diverso, si finge completamente ubriaca e aspetta che qualcuno si offra di accompagnarla a casa. Di solito sono uomini e a volte provano ad approfittarsi di lei. È qui che, un attimo prima della violenza, la donna chiede a tutti:

che stai facendo?

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E questa domanda, in un film in cui niente è lasciato al caso, è la stessa regista a farla a noi spettatori: che stiamo facendo? Una donna promettente è un film durissimo, che non fa sconti a nessuno a partire dal titolo: in originale “Promising young woman”, si riferisce a come i media americani spesso hanno descritto gli studenti accusati di aver stuprato compagne di corso. Nei tg USA si parla di “promising young men”, le cui carriere sono messe in pericolo da queste accuse. Nessuno che si domandi mai invece come sia la vita delle “donne promettenti”, appunto, dopo una violenza sessuale. Anche il nome della protagonista, Cassie, diminutivo di Cassandra, non è scelto a caso: nella mitologia greca è una sacerdotessa del tempio di Apollo, dotata di preveggenza, ma destinata a non essere mai creduta. Siete pronti a specchiarvi nel riflesso di questa Cassandra? Preparatevi perché non sarà affatto piacevole.

 

La cultura pop non è mai stata così dolorosa

Fin dalla prima scena Emerald Fennell, classe 1985, comincia a colpire lo spettatore dritto in faccia: il primo ragazzo che vediamo intento ad approfittarsi della protagonista ha il volto familiare e rassicurante di Adam Brody, ovvero Seth Cohen della serie tv anni 2000 The O.C.. Se eravate adolescenti quando avete visto la serie sapete che Seth era l’incarnazione del bravo ragazzo: gentile, educato, colto, insicuro di fronte alle ragazze e perdutamente innamorato della sua compagna di classe Summer, suo unico amore. Vederlo quasi 20 anni dopo in un ruolo del genere è un primo trauma.

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E, anche qui, non è affatto casuale: in tutto il film i volti scelti per interpretare questi “bravi ragazzi” in apparenza senza macchia appartengono ad attori a cui abbiamo voluto bene nella nostra adolescenza. Ci sono anche Christopher Mintz-Plasse, ovvero McLovin di Suxbad, Max Greenfield (Leo in Veronica Mars) nel ruolo di Joe, che ha filmato lo stupro di Nina, e Chris Lowell (anche lui nel cast di Veronica Mars e in quello di Life as We Know It) in quello di Al, il ragazzo che l’ha violentata. Una donna promettente vuole davvero scuoterci in modo sottile, trasformando in figure sinistre attori che abbiamo amato quando eravamo ragazzi.

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Una scelta vincente: contrariamente a quanto sostiene qualcuno, il film non dice che “tutti gli uomini sono stupratori”. Ci dice una cosa forse ancora più sconvolgente: più o meno inconsapevolmente, almeno una volta nella vita, ognuno di noi ha contribuito alla cultura dello stupro. Spesso si mostra il violentatore come qualcuno dall’aspetto sinistro, un criminale, magari anche con una bella cicatrice in faccia, giusto per essere più chiari nel mettere un confine tra “le brave persone e le cattive persone”. Invece, tristemente, le statistiche ci dicono che non è così: la maggior parte delle violenze avvengono in casa, per mano di persone di cui ci si fida, persone che le vittime conoscono bene. Ecco quindi che giustificarsi con la frase “ma io sono una brava persona, non farei mai niente del genere” non soltanto non è abbastanza, ma è anche un nascondere il problema.

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Una donna promettente mostra proprio come chiunque, messo nella condizione di scegliere fra bene e male, può fare la cosa meno giusta. Non soltanto chi si approfitta di una ragazza ubriaca: è complice anche chi vede un amico comportarsi così e non interviene. È complice chi, giudicando da fuori dice frasi come “se l’è cercata”. È complice chi dice che “è soltanto una ragazzata”, che col tempo si dimentica. È complice chi non crede alle vittime. È complice chi, come l’avvocato interpretato da Alfred Molina, giustifica il mettere a tacere una denuncia in nome del “stavo semplicemente facendo il mio lavoro”. L’esordio alla regia di Emerald Fennell è sgradevole e provocatorio per questo motivo: ci dice che siamo tutti colpevoli, uomini e donne. Perché siamo tutti parte di un sistema, millenario, che ha sempre indicato le donne come esseri umani di serie B. Certo, rispetto al Medioevo abbiamo fatto passi da gigante. In Italia abbiamo anche il diritto di voto (dal 1946, ovvero da 75 anni), la legge sul divorzio (dal 1970, ovvero da 51 anni) e quella sull’aborto (dal 1978, ovvero da 43 anni). Ma lo stupro (che nel film non viene mai nominato o mostrato) è spesso ancora trattato con superficialità. Da tutti. Lo dimostra come ne parlano i media. Molto spesso nessuno pensa mai davvero alle vittime, a dare loro voce o un nome. Cassie è qui proprio per elencarceli tutti.

 

L’insostenibile leggerezza dei colori pastello

In molti, parlando di Una donna promettente, hanno tirato in ballo il genere “rape and revenge”. Ma, anche qui, Emerald Fennell ha fatto una scelta meno scontata. In molti dei film di questo filone la vittima di stupro utilizza l’esperienza traumatica per diventare una guerriera, una macchina vendicativa invincibile che elimina a uno a uno i suoi aguzzini. Cassie non è una di loro. Anzi, gioca con questo immaginario: dopo che ha affrontato verbalmente Jez (Adam Brody), la vediamo camminare per strada con un liquido rosso che le scorre su gamba e braccio: sembrerebbe il sangue dell’uomo che ha tentato di approfittarsi di lei. Invece sta mangiando un hot dog e molto probabilmente si tratta di ketchup. Già qui Fennell dà una prospettiva completamente nuova: Cassie non vuole semplicemente una vendetta, che non serve a niente se non a darle per un breve momento soddisfazione. In un modo tutto suo e contorto (anche lei non è certo candida e innocente, anzi, si macchia di diverse azioni ignobili, come rapire la figlia della rettrice interpretata da Connie Britton) sta cercando di dialogare, di far prendere coscienza.

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Al posto delle tinte forti che spesso caratterizzano i film rape and revenge c’è poi un’infinita varietà di colori pastello. Le unghie di Cassie, i suoi maglioncini, le pareti del caffè in cui lavora. Tutto rimanda all’infanzia, a cose dolci e innocue. La stessa protagonista sembra la classica ragazza esile e bionda che finisce presto massacrata negli slasher movie. Anche qui Fennell cerca di depistarci, ci rassicura, nasconde l’orrore dietro magliette dalle fantasie a fiori. E invece il problema è sempre lì. È tutto così femminile, quasi infantile, da risultare tossico.  Una parola chiave: in un film dove la musica pop è usata con precisione chirurgica (quando Cassie va alla festa vestita da infermiera c’è un rimando preciso alla copertina del disco Enema of the State dei Blink 182), il brano che più rimane impresso è l’arrangiamento quasi da film horror di “Toxic” di Britney Spears. “I’m addicted to you Don’t you know that you’re toxic?”.

 

Il bello della provocazione

C’è un altro brano pop usato con grande intelligenza in Una donna promettente: “Stars Are Blind” di Paris Hilton. Cantata in una farmacia, sembra un momento di gioia, ma potrebbe essere l’ennesima pillola amara. Cassie la ricorda insieme a Ryan (lo stand-up comedian e regista Bo Burnham, un altro a cui non si può non volere bene), suo ex compagno di corso che ha finito gli studi ed è diventato pediatra. I due si piacciono, ma lei è restia a buttarsi in quello che probabilmente è il primo rapporto adulto della sua vita. Il trauma non le ha portato via soltanto la carriera medica, ma l’ha congelata in un’eterna adolescenza, da cui non riesce a uscire. Doversi confrontare con l’amore, e quindi con la crescita, è qualcosa di terrificante per lei. È proprio grazie all’uomo che Cassie si trova di fronte a un bivio cruciale: lui le dice che Al, lo stupratore di Nina, sta per sposarsi e l’ha invitato alla sua festa di addio al nubilato. È il momento di lasciare finalmente andare il passato e provare a vedere come va il rapporto con Ryan, oppure di andare a dare una lezione proprio al responsabile di tutto il suo dolore?

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Prodotto da LuckyChap Entertainment, casa di produzione di Margot Robbie (che ha realizzato anche I, Tonya, Birds of Prey e ha in cantiere Barbie di Greta Gerwig e My Year of Rest and Relaxation di Yorgos Lanthimos), Una donna promettente è una luccicante e meravigliosa provocazione. Non è importante se la storia di Cassie sia credibile o lineare, se tutto si incastra alla perfezione o se c’è un colpo di scena. La vera forza del film è la provocazione: Emerald Fennell non ci dà soluzioni, non divide in buoni o cattivi. Ci mette di fronte alle nostre contraddizioni, all’ipocrisia di chi si presenta come moralmente incorruttibile e poi si rende partecipe, chi più chi meno, del problema.

È giusto arrabbiarsi dopo la visione di questo film. Sia che siate donne che capiscono la frustrazione di Cassie per l’ennesimo fischio per strada, sia che abbiate subito molestie, sia che abbiate visto persone a cui volete bene distrutte da una violenza. O che siate invece donne che hanno giudicato spesso altre donne, o uomini incapaci di fare auto critica, che si trincerano dietro al grande classico “io non lo farei mai, non tutti gli uomini sono così”. Una donna promettente vuole farvi arrabbiare. E, che vi piaccia o no, almeno in una cosa è inattaccabile: smaschera immediatamente tutte le persone incapaci di entrare in empatia, di uscire per una volta da se stesse e provare a entrare nei panni degli altri. Guardatevi allo specchio: da dove viene la vostra rabbia? Come volete usarla?

Qualunque sia la risposta, ci piace immaginare Emerald Fennell (che deve assolutamente realizzare un biopic su Britney Spears) accoglierla con un:

Oops, I did it again
I played with your heart, got lost in the game
Oh baby, baby
Oops, you think I’m in love
That I’m sent from above
I’m not that innocent

 

Una donna promettente è in sala dal 24 giugno.

80
Una donna promettente
Recensione di Valentina Ariete

Come scritto nella recensione di Una donna promettente, l'esordio di Emerald Fennell, premiato con l'Oscar 2021 alla migliore sceneggiatura, è un film volutamente provocatorio, che nasconde la sua natura cupa dietro colori pastello, citazioni pop e canzoni anni 2000. Carey Mulligan è bravissima, forse alla sua migliore interpretazione.

ME GUSTA
  • L'interpretazione di Carey Mulligan.
  • L'uso della musica e della cultura pop.
  • La volontà di provocare.
FAIL
  • Proprio per la natura provocatoria questo è un film nato per dividere. Ma ha anche dei difetti.