Il 4 giugno un cittadino americano ha trovato nel giardino della sua casa, poco a Nord di Seattle, un esemplare morto di calabrone gigante asiatico. I ricercatori hanno stabilito che l’esemplare appartiene a un ceppo proveniente dall’Asia del sud, mai osservato prima negli Stati Uniti.
Il nome dell’insetto, che già in italiano non promette bene, è ancora più spaventoso nella sua versione inglese: “murder hornet”, il calabrone assassino. Vespa mandarinia, questo è il nome scientifico, è la più grande specie di vespa conosciuta.
Il corpo, color nero e arancione scuro, arriva a una lunghezza di 5 cm e l’apertura alare può superare i 7 cm.
La puntura raramente è letale, causa però un forte dolore e può diventare seriamente pericolosa per le persone allergiche o in caso di punture multiple.
Il vero problema problema causato dall’insetto è però un altro: la preda preferita dei calabroni sono infatti le api, i cui alveari vengono presi d’assalto allo scopo di nutrirsi delle giovani larve, ricche di nutrienti. Un gruppo di calabroni giganti composto da qualche decina di esemplari è in grado di massacrare in poche ore decine di migliaia di api. Le api tentano invano di difendersi: il loro pungiglione non riesce a penetrare lo spesso esoscheletro del calabrone.
Un solo calabrone è in grado, nell’arco di un minuto, di decapitare con le sue mandibole oltre quaranta api.
È chiaro quindi come il calabrone gigante asiatico costituisca un problema non solo per gli apicoltori, che in una mattinata possono perdere intere colonie di insetti, ma anche per l’equilibrio dell’ecosistema nel quale si insediano. La popolazione di api negli Stati Uniti e in Europa sta già conoscendo una drammatica decrescita e non può permettersi di fronteggiare la minaccia di un super-predatore che “sfugge” alle regole dell’evoluzione.
Colonizzando in pochi anni nuovi continenti il calabrone trova infatti animali impreparati ad affrontarlo: le api di queste zone, nel millenario processo di selezione naturale che le ha portate a evolversi fino alla loro forma attuale, non hanno mai dovuto affrontare un avversario simile e perciò non hanno mai sviluppato strategie di difesa efficaci.
Hanno avuto molto più tempo per prepararsi, invece, le api giapponesi, che nel corso di migliaia d’anni di evoluzione hanno sviluppato una strategia difensiva efficace: quando un calabrone entra nell’alveare, infatti, le api gli si ammassano contro a centinaia, ricoprendolo completamente. Dopodiché, facendo vibrare ali e corpo, le api producono tanto calore da arrivare letteralmente a cuocere l’avversario.
I calabroni giganti sono arrivati negli Stati Uniti per la prima volta tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, con tutta probabilità a bordo di navi cargo, anche se non mancano le teorie più suggestive: nel 2016 un pacco diretto all’aeroporto di San Francisco è stato confiscato poiché conteneva un favo con all’interno delle larve di calabrone gigante, c’è perciò chi crede che l’insetto possa essere arrivato tramite i barattoli di rimedi tradizionali a base di miele che spesso i viaggiatori riportano dall’Asia.
Durante l’autunno del 2020 la presenza dei calabroni negli Stati Uniti ha ottenuto una grande risonanza mediatica, grazie anche ai termini coloriti usati dai giornali: quando gli attacchi agli alveari si sono intensificati si è parlato di “slaughter phase”, periodo del massacro. Da subito le istituzioni Statunitensi sono intervenute per gestire l’emergenza e su internet hanno cominciato a diffondersi video di persone che, ricoperte da enormi tute che ricordano la fantascienza degli anni ‘80 e di attrezzature degne dei ghostbusters, rimuovono i nidi dei pericolosi insetti.
L’esemplare ritrovato vicino a Seattle il 4 giugno è stato portato in laboratorio e analizzato dagli entomologi. Questi hanno stabilito che l’insetto appartiene a un ceppo proveniente dall’Asia del sud, mai osservato prima negli Stati Uniti e non collegato in alcun modo alle colonie che l’anno scorso si erano diffuse ai confini col Canada. Il fatto indica che la diffusione dell’insetto non è ancora sotto controllo e che, con tutta probabilità, neanche quest’estate gli apicoltori americani potranno dormire sogni tranquilli.
Mentre le istituzioni si impegnano per porre rimedio all’invasione dei calabroni giganti (che più che un fatto di cronaca sembra il titolo di un film Kaiju) a noi non resta che ringraziarle e intanto compiere una piccola riflessione: anche quando stiamo attenti, anche quando non facciamo nulla di particolarmente sbagliato l’attività umana finisce per avere ripercussioni sulla natura.
Gli equilibri mutano, un nuovo agente viene per sbaglio introdotto in un ecosistema e in men che non si dica ci ritroviamo ad osservare montagne di api decapitate che non impollineranno più nessun fiore, con tutto ciò che questo comporta. Anche le nostre attività più semplici come spostarsi, viaggiare, comprare un bene importato hanno conseguenze sull’ambiente.
Dovremmo quindi rinunciarvi? No, non credo, credo solo che, per quanto possibile, sia bene muoversi sulla terra “in punta di piedi”, con delicatezza, cercando di limitare il nostro impatto. Ognuno come vuole, ognuno a modo suo.