Un gruppo bipartisan di legislatori sta cercando di diluire lo strapotere di Google, teorizzando che il suo atteggiamento di prepotente autopromozione sia nocivo per la libera concorrenza digitale. Al vaglio ci sono cinque diverse proposte di legge, le quali sono perlopiù state pensate perché il noto motore di ricerca la finisca di fornire risposte dando priorità disarmante alle sue stesse offerte di servizio.

Le leggi che sono ora al vaglio andrebbero a impedire agli operatori dei portali di fornire un vantaggio sleale ai propri prodotti – considerato al pari di un conflitto di interessi. Un tentativo che potrebbe risultare estremo, almeno per i canoni giurisdizionali degli Stati Uniti, ma indispensabile per favorire l’interoperabilità con le pagine della “concorrenza”.

Da notare che, nel contesto, la concorrenza è da considerarsi praticamente ogni attività online, visto che Alphabet Inc, azienda madre di Google, ha le mani in pasta in molteplici settori.

La prima e più esplicita vittima di queste norme sarebbero il Google marketplace e tutti i suoi omologhi, ovvero quei portali interni a motori di ricerca e social che spingono le merci di chi si dimostra pronto a ad aprire il borsello.

Per quanto sia normale offrire spazi agli inserzionisti, queste vetrine internettiane hanno la tendenza a far ben poco per rendere esplicito agli utenti che i prodotti siano raccomandati in base a una mera questione economica, con il risultato che sia invece facile interpretare la selezione in un’ottica qualitativa.

Meno scenografica, ma decisamente importante, è la proposta di legge che vorrebbe impedire alle megacorporazioni di acquistare le aziende avversarie per poi lasciarle morire, una pratica diffusa in tutto il mondo e che è esplicitamente mirata a consolidare il monopolio dell’azienda dominante.

 

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