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Vivere nello spazio: come si dorme, mangia e respira

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Lo spazio è un ambiente strano e molto ostile. Viaggiando nel vuoto senza un’atmosfera protettiva che riduca le radiazioni, gli astronauti devono anche fare i conti con l’apparente assenza di peso. Samantha Cristoforetti, intervenuta ad UltraPop Festival 2021, ha raccontato vari aneddoti riguardanti la vita nella Stazione Spaziale Internazionale.

In un futuro non troppo lontano potremmo forse visitare lo spazio e chissà anche nuovi pianeti. Ma cosa significa davvero vivere nello spazio? Ci sono persone che ci vivono davvero e sono gli astronauti e cosmonauti che lavorano sulla Stazione Spaziale Internazionale. Se pensiamo al primo uomo a volare nello spazio, Jurij Alekseevič Gagarin, che il 12 aprile 1961 a bordo della Vostok 1 compì la sua prima missione, ne abbiamo fatta di strada e di scoperte.

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La capsula che ospitava Gagarin

Com’è vivere nello spazio e sopratutto cosa comporta?

Vivere nello spazio non è semplice, il corpo umano ne risente e ci sono effetti collaterali non trascurabili, alcuni impensabili. La Stazione Spaziale Internazionale orbita attorno alla Terra a quasi 28000 km/h. Il primo aspetto con cui devono confrontarsi gli astronauti è la microgravità. Come viene descritta dagli astronauti è qualcosa di incredibile perché sembra di volteggiare nell’aria.

La Stazione Spaziale Internazionale, per agevolare gli spostamenti, è fornita di appigli e fasce elastiche con cui gli astronauti possono stabilizzarsi.

I primi giorni infatti si potrebbe risentire di una sorta di mal d’aria o mal di mare, in gergo si chiama sindrome da adattamento allo spazio. Questa sensazione, poco piacevole è data dal fatto che tutto il sistema del corpo umano, l’apparato vestibolare che manda le informazioni al cervello su rotazione e accelerazione, non funziona bene in una situazione di microgravità. Tra l’altro ossa e muscoli iniziano ad indebolirsi, addirittura la densità ossea in mancanza di peso comincia a diminuire con un tasso dell’1% al mese. Un tasso, che per fare un paragone con quanto ci è più familiare, è lo stesso tasso di diminuzione che si riscontra in un anno in uomini e donne anziani.

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Paolo Nespoli all’interno della ISS

Il fatto è che non è necessario molto sforzo per fluttuare nello spazio o per eseguire qualunque attività in condizioni di microgravità e così i muscoli perdono rapidamente forza e resistenza. Un’altra situazione da affrontare è l’accumulo dei liquidi.

In assenza di gravità o meglio in microgravità per quanto riguarda la ISS, i liquidi tendono ad accumularsi: il corpo reagisce credendo che siano troppi e si ha quindi continuamente la necessità di andare in bagno.

Questa situazione crea disidratazione e possibilità di calcoli renali. Mentre sulla terra il sangue tende a localizzarsi nelle gambe, in assenza di gravità il sangue tende ad accumularsi nel petto e nel viso. Questo gonfiore poi porta ad una pressione eccessiva negli occhi con conseguenti problemi alla vista. Il cuore si rimpicciolisce non dovendo più pompare il sangue con la stessa intensità e i linfociti perdono le loro funzionalità indebolendo il sistema immunitario.

Come se questo non bastasse, ci sono anche le radiazioni cosmiche, dieci volte più forti che sulla Terra: le schermature della ISS proteggono solo parzialmente i suoi inquilini e questo significa una maggiore possibilità di sviluppare malattie come il cancro.

E per finire oltre agli effetti sul fisico bisogna considerare anche quelli psicologici.

I vantaggi della microgravità

Dopo aver elencato un po’ di svantaggi quello che è incredibile è che in una situazione di permanenza in microgravità si diventa più alti. La colonna vertebrale normalmente compressa dalla gravità, lassù nello spazio si allunga, e si può crescere anche fino a cinque centimetri. Il micromondo all’interno della ISS è un continuo esperimento anche per studiare gli effetti sul corpo umano. Su Marte le condizioni saranno ancora più estreme, per questo dobbiamo essere pronti continuando ad effettuare esperimenti anche sugli stessi astronauti.

Nonostante questi rischi, continuiamo ad andare e a lavorare nello spazio per amore della scienza e della ricerca. L’obiettivo è di condurre esperimenti e testare tecnologie utili a tutta l’umanità.

Gli astronauti, ma anche ogni oggetto che si trova all’interno della ISS, si trovano in uno stato continuo di caduta libera, in un’orbita che “cade attorno” alla Terra o in un’orbita più ampia in caduta libera attorno al Sole. Seppure privo di peso, il corpo umano subisce numerose sollecitazioni e i materiali si comportano in maniera molto diversa dal solito: ad esempio l’acqua non scorre e l’aria calda non sale in alto (quale “alto”?).

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Dormire nello spazio

Il ritmo circadiano che definisce il ciclo del sonno nelle 24 ore, è disturbato e questo può provocare stress e disturbi del sonno. Un altro dettaglio che scompensa il ritmo circadiano è il fatto che la ISS più o meno fa il giro del pianeta diciotto volte, con conseguenti diciotto tramonti e albe.

Il sonno per il corpo umano è un bisogno fondamentale per far sì che le cellule cerebrali si riposino e il corpo riprenda energia.

Lo spazio non ha “su” o “giù”, ma ha microgravità. Di conseguenza, gli astronauti sono senza peso e possono dormire in qualsiasi orientamento, con qualsiasi rotazione e via dicendo. Per evitare questo devono attaccarsi in modo da non fluttuare e urtare qualcosa. Gli equipaggi delle stazioni spaziali di solito dormono in sacchi a pelo situati in piccole cabine dell’equipaggio. In alcuni casi allacciano anche la testa per alleviare la tensione del collo.

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Paolo Nespoli mentre dorme all’interno della ISS

Durante il sonno gli astronauti hanno riferito di avere sogni e incubi, esattamente come sulla Terra. Alcuni hanno persino russato nello spazio. Dormire nello spazio è una parte importante della medicina spaziale e della pianificazione della missione, con impatti sulla salute, sulle capacità e sul morale degli astronauti.

Mangiare e Bere

L’acqua non scorre sulla ISS, ma assume una forma globulare dovuta alla tensione superficiale. Gli astronauti fanno la doccia a secco e usano dei panni specifici e tecnici per lavarsi il viso. Per riuscire a bere devono utilizzare cannucce attraverso appositi bicchieri.

Grazie alla tensione superficiale i cibi aderiscono ai piatti e non volano qua e là come si potrebbe immaginare.

La dieta degli astronauti è seguita con attenzione e scrupolo da un team di nutrizionisti che assicurano il corretto apporto di vitamine e minerali ad ogni viaggiatore, mantenendo un equilibrio tra leggerezza, flessibilità ed elevato valore nutrizionale. Ogni menù viene studiato appositamente su misura per ogni astronauta. Non ci sono particolari limitazioni nella scelta della dieta: si passa dalla frutta alle noci, dal manzo al pollo, e anche i dolci.

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Anche le bevande sono molto varie: caffè, tè, succhi d’arancia, succhi di frutta e anche limonate. C’è anche la possibilità di aggiungere i condimenti come ketchup o maionese, ma il sale e il pepe vanno utilizzati in formato denso/liquido perché la polvere volerebbe via rischiando di intasare i condotti d’aria, contaminando l’equipaggiamento o addirittura rischiando di far finire le particelle polverose negli occhi o nel naso degli astronauti.

Le differenze più importanti sono nella preparazione di alcuni cibi. Sì perché se da un lato alcuni alimenti possono essere assunti nelle loro forme naturali, come i dolci o la frutta, altri richiedono l’aggiunta di acqua perché disidratati o liofilizzati come gli spaghetti. La Stazione Spaziale Internazionale mette a disposizione un forno per portare gli alimenti alla corretta temperatura, ma non ci sono frigoriferi. Il cibo viene conservato in delle speciali confezioni monouso in pratiche dimensioni ridotte e studiate secondo la dieta di ogni singolo astronauta.

Water spaziali

Le latrine usano ventose e trasformano l’urina in acqua potabile. Le feci vengono conservate e non gettate via perché non diventino proiettili nello spazio, ma a parte queste specifiche tecniche la ISS da alcuni mesi può vantare di un nuovo sistema di toilette. Il nuovo WC spaziale è più piccolo e leggero rispetto ai vecchi servizi igienici dell’ISS e risulta più comodo anche per le donne astronaute. Il nome tecnico del nuovo sistema è Universal Waste Management System (UWMS) cioè “sistema universale di gestione dei rifiuti” ed è costato 23 milioni di dollari.

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UWMS è più piccola del 65% e più leggera del 40% rispetto ai vecchi servizi igienici della ISS, con una resa più efficiente anche dal punto di vista energetico, anche se il funzionamento di base non differisce poi molto rispetto alle precedenti versioni. Gli astronauti per urinare a bordo della ISS usano un imbuto attaccato a un tubo, con una ventola all’interno che aspira l’urina.

Per la defecazione invece gli astronauti si “siedono” su un contenitore che utilizza la stessa ventola che attira le feci. Il nuovo UWMS ha Il design dell’imbuto completamente ridisegnato per adattarsi al meglio all’anatomia femminile. Un’altra caratteristica importante di questo sistema è che gli ingegneri della NASA hanno utilizzato una tecnica di stampa 3D per realizzare alcune parti del “water spaziale” con metalli più resistenti alla soluzione alquanto acida usata all’interno del sistema per trattare l’urina. Inoltre il sistema è completamente automatico: se prima gli astronauti dovevano accendere un interruttore prima di espletare i propri bisogni, ora la ventola di UWMS si accende da sola una volta aperto il coperchio.

Respirare nello spazio

Oltre al cibo e l’acqua, per sopravvivere occorre l’ossigeno. Il problema quindi che hanno affrontato i progettisti dai primi viaggi nello spazio è fornire ossigeno continuo agli astronauti, ma anche eliminare l’anidride carbonica. Già, perché non è possibile aprire il finestrino per cambiare l’aria.

L’ossigeno rappresenta circa il 21% in volume dell’aria che respiriamo e l’organismo umano riesce a sopravvivere bene anche con concentrazioni fino al 15-17%. Se però la quantità diminuisce andando al di sotto di questa soglia cominciano a verificarsi stati confusionali e a diminuire la capacità di compiere sforzi fisici. L’anidride carbonica rappresenta solo lo 0,04% dei gas presenti in atmosfera. Se nell’aria che respiriamo la concentrazione di anidride carbonica aumenta, immediatamente il nostro organismo reagisce aumentando la frequenza della respirazione.

Un problema simile era già stato dovuto risolvere sui sommergibili: come fornire ossigeno e assorbire anidride carbonica mentre resta diversi giorni sott’acqua?

I sommergibili hanno diversi sistemi per rifornire di aria l’equipaggio quando navigano a grande profondità. Grazie ad appositi serbatoi, utilizzati anche per le manovre di discesa e risalita, l’aria viene prelevata in superficie e compressa e questo permette all’equipaggio a seconda della grandezza del mezzo di respirare per uno o due giorni mentre il sommergibile si trova in profondità. In alternativa c’è la possibilità di disporre di cartucce con un reagente chimico a base di sodio e potassio che assorbe anidride carbonica emessa dalle persone durante la respirazione restituendo ossigeno. Quando navigano invece possono issare dei tubi verso la superficie, degli snorkel, grazie ai quali l’aria viene aspirata per mezzo di pompe.

Tutte soluzioni che però non possono essere utilizzate nello spazio.

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Le navette spaziali hanno a disposizione bombole di ossigeno per rimpiazzare quello consumato dagli astronauti e sono dotate di sistemi per la cattura e l’eliminazione dell’anidride carbonica. Questi sistemi vengono chiamati scrubber.

Ogni scrubber deve poter eliminare dall’atmosfera della navetta la CO₂ emessa da ogni componente dell’equipaggio: si parla di circa un chilogrammo a testa ogni 24 ore. Per i programmi Mercury, Gemini, Apollo e Shuttle, la NASA ha impiegato scrubber chimici dove l’aria della cabina veniva pompata all’interno di filtri pieni di cristallini di idrossido di litio. In questi filtri la CO₂ reagiva con l’idrossido di litio formando carbonato di litio e acqua.

L’aria così ripulita veniva arricchita con ossigeno presente in bombole sotto pressione e immessa nuovamente nella cabina. Quando l’idrossido di litio si era convertito totalmente in carbonato però i filtri dovevano essere sostituiti.

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I russi, nello stesso periodo, avevano messo a punto un altro sistema. Già con le prime missioni l’ossigeno era immagazzinato non come gas sotto pressione, ma allo stato solido come superossido di potassio, KO₂.

L’aria viziata veniva fatta passare attraverso KO₂ generando una reazione esotermica che catturava l’acqua liberando ossigeno e idrossido di potassio. L’ossigeno rimpiazzava quello respirato dai cosmonauti, mentre idrossido di potassio reagiva con la CO₂ formando carbonato di potassio. Un sistema innovativo che eliminava l’anidride carbonica e l’acqua prodotte dalla respirazione mantenendo caldi gli strumenti e rigenerando l’ossigeno necessario. Un sistema che non utilizzava energia elettrica se non per l’utilizzo della pompa, era poco ingombrante e non utilizzava gas sotto pressione.

Risolvere il problema sulla ISS è però molto più difficile, vista la permanenza prolungata di astronauti al suo interno.

Sulla Stazione Spaziale Internazionale è necessario poter disporre di un sistema che fornisca ossigeno e che al contempo elimini le sostanze tossiche prodotte dall’equipaggio come l’anidride carbonica e il vapore acqueo. Il principale sistema utilizzato sulla ISS per la produzione di ossigeno è elettrolisi dell’acqua, principio di funzionamento dell’apparecchiatura OGS (Oxygen Generation System) che fa parte del sistema di supporto vitale ECLSS (Environmental Control and Life Support System).

La maggior parte dell’ossigeno viene prodotta con l’elettrolisi dove l’elettricità, fornita dai pannelli solari, passa attraverso l’acqua e permette la separazione degli atomi che si ricombinano nelle forme gassose di idrogeno e ossigeno. Questo sistema quindi permette di approvvigionarsi di ossigeno dalla Terra sotto forma di acqua che è la soluzione meno pericolosa rispetto al trasporto in bombole a pressione in quanto ricordiamo che l’ossigeno in alte concentrazioni è estremamente infiammabile.

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Se da una parte abbiamo l’approvvigionamento dell’ossigeno dall’altra dobbiamo avere un sistema efficace per eliminare gli scarti.

Attraverso il sudore, la respirazione e le urine, si perde acqua. Quest’acqua nello spazio andrebbe in giro sotto forma di gocce che per azione della forza di tensione superficiale danneggerebbero gli strumenti e renderebbero rapidamente l’atmosfera interna molto umida. Ecco perché i sistemi di deumidificazione sono fondamentali per recuperare l’acqua che viene poi riutilizzata per bere, per i servizi igienici e per la produzione di ossigeno.

Ci sono poi dei filtri al carbone che eliminano altri prodotti di scarto come ammoniaca e metano, emessi rispettivamente con il sudore e dai gas intestinali. I filtri utilizzati per catturare l’anidride carbonica hanno al loro interno un solido poroso a cui la CO₂ resta appiccicata. Quando questi sono saturi basta chiudere le valvole di collegamento con la cabina, aprire quelle verso l’esterno affinché la CO₂ si stacchi e si disperda nel vuoto spaziale e riutilizzare il materiale per un nuovo ciclo. Lo stesso sistema viene utilizzato per estrarre l’acqua emessa dalla respirazione dell’equipaggio. Sono dei e veri propri setacci molecolari con fori di dimensioni ben precisi realizzati per avere la massima affinità sia con le molecole di CO₂ che di acqua.

Sulla stazione spaziale Skylab e poi nella sezione americana della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), sono stati installati scrubber basati su cristalli di biossido di silicio e di alluminio chiamati zeoliti.

Diversa è la tecnologia utilizzata nei moduli russi che grazie all’esperienza sulle sei stazioni spaziali Salyut e poi sulla MIR, che è più semplice e ha solo la valvola come parte in movimento. Minori parti sono in movimento minore è la manutenzione e rischio di rottura. Il sistema può sostenere indefinitamente un equipaggio di sei persone rimuovendo 3000 litri di anidride carbonica al giorno. Il sistema è installato nel Modulo di Servizio del Segmento Orbitale Russo, assorbe H₂O e CO₂ grazie alle proprietà basiche di tre differenti soluzioni di ammine. Quello russo è il sistema primario mentre l’altro entra in funzione quando il primo è in manutenzione. Se tutti i sistemi dovessero andare contemporaneamente in avaria, sulle Soyuz sempre collegate alla ISS si trovano scrubber chimici del vecchio tipo che possono sostenere un equipaggio di tre persone per quindici giorni.

Il sistema della ISS non è un sistema chiuso dove è possibile riciclare tutti i prodotti di scarto ed è per questo che una parte sostanziale di idrogeno, ossigeno e carbonio viene irrimediabilmente persa. Questo rende necessario l’approvvigionamento di acqua che è davvero molto costoso. Ecco perché l’acqua è così importante e sarà possibile sfruttare, per le prime colonie extraterrestri, quella presente sulla Luna dove sono stati identificati depositi di ghiaccio d’acqua ai poli.

Su Marte ancora si sta cercando il prezioso elemento che non può esistere in forma liquida a causa della bassissima pressione atmosferica, ma si pensa si trovi in forma solida in alcune regioni dove un tempo si ritiene vi fossero vasti laghi d’acqua.

 

Articolo scritto a quattro mani con Margherita Farella.

 

Recupera l’intervista realizzata da Antonio Moro a Samantha Cristoforetti durante UltraPop Festival:

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