Per coloro che hanno la pazienza di leggere tra le righe era chiaro già da parecchi mesi, tuttavia la situazione sta diventando sempre più palese: l’Unione Europea si sta stufando del lassismo che il Data Protection Commission (DPC) dell’Irlanda dimostra quotidianamente nel giudicare le violazioni del GDPR da parte delle grandi aziende internettiane.
Ieri il Parlamento Europea ha infatti indetto un voto perché la Commissione faccia sentire la propria voce in merito all’applicazione “inappropriata” e tutt’altro che uniforme delle leggi sulla protezione dei dati digitali dei cittadini UE.
La risoluzione – la quale non è legalmente vincolante – è evidentemente diretta al DPC, corpo amministrativo per cui passano buona parte dei casi critici e che fin troppo spesso si mostra lenta, inefficiente e, si potrebbe malignare, connivente con le aziende che dovrebbe giudicare e punire. Quelle stesse aziende che si creano la sede amministrativa in Irlanda per pagare meno tasse, tanto per intenderci.
I casi che passano per le sue mani vengono trascinati per mesi e, nella maggior parte delle situazioni, si concludono con patteggiamenti che permettono alle Big Tech di uscirne immacolate e quasi del tutto illese. Un atteggiamento ben noto che i diplomatici europei hanno criticato a più riprese, ma sempre a denti stretti.
Il tempismo di questa esplicita presa di posizione è significativo: solo una settimana fa l’Irlanda ha assunto una posizione forte nel difendere i canoni del GDPR e lo ha fatto opponendosi all’abitudine di Facebook di inviare i dati dei cittadini europei ai suoi server USA.
Il monito UE sembra quindi voler mettere in guardia la DPC, suggerendole che è sotto osservazione e che un singolo passo nella giusta direzione non è sufficiente se poi la retta via non viene mantenuta.
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