Joseph Blount, CEO del Colonial Pipeline Co, ha parlato con il The Washington Post, facendo chiarezza sulla situazione del ransomware che ha colpito il suo oleodotto, situazione che per ora era stata analizzata perlopiù per vie traverse, facendo fede a fonti ufficiose. Ebbene, l’imprenditore ammette senza ambiguità di aver pagato un riscatto da 4,4 milioni di dollari, asserendo sia stata “la mossa migliore per il Paese”.

Qualora non sapeste di cosa stiamo parlando, la Colonial Pipeline è una struttura che fa girare il 45 per cento dei carburanti fossili adoperati da aziende e utenti della costa est degli Stati Uniti. Settimana scorsa quest’infrastruttura vitale è stata colpita da un attacco ransomware e l’erogazione del servizio è stata sospesa per diversi giorni, con il risultato che molti americani hanno iniziato ad abbandonarsi al panico e alla paranoia.

A oggi si era ipotizzato che l’epilogo della vicenda fosse coinciso con il pagamento del riscatto e che il blocco dei flussi di benzina fosse stato voluto dall’azienda stessa. Blount ha confermato ambo le teorie, tuttavia ha rivisto al ribasso la cifra estorta, facendola calare dai 5 milioni che erano inizialmente stati ventilati ai sopracitati 4,4.

L’attacco ransomware alla Colonial Pipeline sembra, a ben vedere, infastidire il dirigente non tanto per la perdita di denaro, quanto per il fatto che l’azienda sia finita al centro della discussione dei media di tutto il mondo, quando invece Blount avrebbe preferito mantenere occultate la presenza e la portata dell’infrastruttura.

Eravamo perfettamente felici che nessuno conoscesse chi fosse la Colonial Pipeline e, sfortunatamente, adesso non è decisamente più così. Tutto il mondo conosce chi siamo,

ha fatto notare con amarezza il CEO alla testata d’oltreoceano.

 

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