L’Alta Corte dell’Irlanda si è riunita oggi per decidere che cosa farne di Facebook: se permetterle di continuare a condividere con gli States i dati utente raccolti nei paesi UE o se darci un taglio, obbligando la Big Tech a mantenere nell’Antico Continente le preziose informazioni. In barba a coloro che si aspettavano che la decisione venisse rimandata, la scelta è fatta e il social ne è uscito perdente.
Tutto è iniziato nel settembre del 2020, quando la Irish Data Protection Commission (IDPC) ha progettato una regolamentazione europea sulla privacy che avrebbe risolto alcuni strascichi d’ambiguità che hanno preso forma dal fu “Privacy Shield”, il patto che regolamentava il trasferimento di dati tra Unione Europea e Stati Uniti, considerato invalido nell’estate dell’anno scorso (grazie all’eterno intervento dell’attivista Max Schrems).
A Facebook non era piaciuto che l’Irlanda volesse obbligarla a non trafugare i dati europei, quindi ha fatto ricorso, ricorso che oggi è andato a sbattere contro un muro di fallimento. Ora la bozza di legge passa ai legislatori europei, i quali dovranno decidere se renderla attiva o bocciarla, tuttavia nulla da a intendere che possano decidere di ripudiarla.
La preoccupazione di fondo è d’altronde quella che i dati europei raccolti da Facebook, una volta finiti sui server degli States, non siano più protetti dal General Data Protection Regulation (GDPR) dell’UE, con il risultato che l‘Intelligence americana possa liberamente avervi accesso, ficcanasando all’interno di informazioni che non dovrebbero competerle.
Avete presente quando gli Stati Uniti accusano Huawei di raccogliere i dati statunitensi per poi farli finire in mano al Governo cinese? Ecco, gli USA fanno esattamente questo, ma con le informazioni carpite agli europei.
In tutto questo, Facebook ha digrignato i denti, sibilando che la nuova legge “avrebbe conseguenze deleterie nei confronti dell’economia europea”, tacitamente minacciando quel tipo di rivalse o ingerenze per cui è divenuta celebre.
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