Trentacinque anni fa, la centrale nucleare di Chernobyl, Ucraina, ha fatto la storia con un drammatico incidente radioattivo, oggi le sue macerie a base di uranio si stanno risvegliando e si notano le prime avvisaglie di nuove reazioni di fissione.

Gli scienziati locali sono davanti a un bivio: aspettare e sperare che la cosa si plachi da sé, soffocandosi, oppure scendere di “persona” costruendo un robot resistente alle radiazioni che vada a trivellare la superficie di cemento per poi calarvi dentro delle capsule di boro.

L’allarme è scaturito dal fatto che una delle stanze sigillate stia subendo un lento, ma costante, aumento del numero di neutroni, cosa che scatena un grandissimo numero di dubbi, se non altro perché risulta estremamente difficile ipotizzare le cause di una simile variazione.

Una simile situazione non è di per sé insolita, negli anni Novanta capitava ogni volta che si verificava una pioggia battente: l’acqua si infitrava e causava reazioni che richiedevano reazioni immediate ed emergenziali. Solitamente veniva inviato uno “stalker” – uno scienziato che scendeva in prima linea rischiando la pellaccia – per riversare una soluzione di nitrato di gadolinio, il quale assorbe i neutroni.

Tuttavia da allora i sistemi di protezione sono stati aggiornati, tutto è stato chiuso ermeticamente e sono persino stati installati degli irrigatori della suddetta soluzione. Almeno nelle aree raggiungibili. Ovviamente l’uranio in questione è ben seppellito nelle fondamenta e manca pertanto la possibilità di esplorare l’area per capire quanto sia necessario muoversi cautamente.

Nonostante si stia risvegliando, gli esperti rigettano l’idea che Chernobyl possa nuovamente farsi protagonista di un cataclisma dalla magnitudine di quello che lo aveva reso famoso, ciò non di meno si ritiene comunque sia assolutamente necessario mantenere la guardia alta, con alcuni accademici che si augurano che la corrente emergenza possa essere d’esempio anche per la gestione della centrale giapponese di Fukushima.

Fukushima “è stato simile per dimensioni e pericolosità”, sottolinea Neil Hyatt, chimico nucleare della Università di Sheffield intervistato da Science Mag.

 

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