Resident Evil Village, la recensione: l’incubo non è ancora finito

Resident Evil Village Recensione Cover

In questa recensione di Resident Evil Village, vi portiamo alla scoperta di uno dei titoli più attesi dell’anno. In tutto il suo splendore, Resident Evil Village è un titolo in grado essere sintesi di più scuole di pensiero, riuscendo a prendere il meglio dal passato della serie con il pregio di riuscire a mantenere una propria personalità. È soprattutto un gioco divertente, Resident Evil Village, ed è un divertimento che ricorda moltissimo e molto da vicino Resident Evil 4, sia nel suo approccio all’azione, sia in gran parte in tantissime idee di design che trascendono i già tanti riferimenti presenti nel racconto e nei nemici al capolavoro di Mikami. Tuttavia, nonostante l’impressione possa essere stata quella, è ingenuo credere che Village sia semplicemente una riproposizione di RE4: è qualcosa di più.

È il figlio illegittimo anche di Resident Evil VII, di cui mantiene la visuale in soggettiva e di cui è anche pieno sequel narrativo, delle sue tinte puramente terrificanti (non credete sia un gioco particolarmente meno spaventoso del precedente), e di Resident Evil 2, di quel level design da antologia poggiato su puzzle che tanto sembra riprendere il Castello Dimitrescu.

 

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Lo avrete poi capito già da quanto detto finora, ma vale la pena sottolineare che Resident Evil Village è un gioco densissimo, che in una durata molto simile a quella di RE7 mette dentro una varietà di situazioni, approcci e contenuto infinitamente superiore, tanto da costruirsi come un’esperienza ritmata in maniera quasi spasmodica che tiene attaccati allo schermo per ore e ore.

Il nuovo titolo di Capcom non è però un gioco perfetto a livello narrativo, e anzi si dimostra parecchio problematico su quel piano (l’unico problema che troverete segnalato in questa recensione), ma riesce a sostenere il ritmo del gameplay con un’infinità di sorprese, colpi di scena e momenti cosa sto vedendo che davvero possono smontare qualche mascella. È vero, si poggia su pretesti tiratissimi o insensati, e la trama poggia su delle basi davvero debolissime, ma nei limiti del non pensarci troppo (e del non voler mettersi a colmare i vuoti di una sceneggiatura manchevole) fa il suo lavoro.

Insomma, tutto questo per dire che Resident Evil Village è un gioco che praticamente sfiora l’Olimpo dell’eccellenza, un’esperienza candidata a metà anno per quanto mi riguarda al GOTY e che giustifica tutto l’hype finora accumulato. Il voto che trovate in fondo a questa recensione di Resident Evil Village sottolinea questa produzione, ma permettetemi di espandere un (bel) po’ su quanto anticipato finora. Prima di partire, vi ricordo che l’ottavo capitolo di Resident Evil sarà disponibile su Stadia, PlayStation 5, Series X, PlayStation 4, Xbox One e PC Windows dal 7 maggio.

Welcome, Ethan Winters

Lo dico in partenza di questa recensione, Resident Evil Village richiede l’aver giocato RE7 o quantomeno la comprensione degli eventi di Resident Evil VII. E non dico questo per un paio di accenni che propone il racconto, ma proprio perché gli eventi sono immediata conseguenza di quanto accaduto in Louisiana con i Baker e Eveline, e senza quelle informazioni gli eventi di Village possono solo che confondere più di quanto già non facciano. A tutti gli effetti questo ottavo capitolo chiude il cerchio o quasi rispetto a quanto raccontato in RE7, sia proseguendo a livello temporale, sia ponendosi come una sorta di completamento.

Sono passati tre anni dal terrore vissuto nella casa dei Baker, e Mia e Ethan hanno avuto una adorabile figlia, Rosemary

Non a caso il gioco parte con un riassuntone di quanto accaduto al nostro eroe Ethan Winters, personaggio che ci ritroviamo a controllare in Village e di cui è a tutti gli effetti protagonista. Sono passati tre anni dal terrore vissuto nella casa dei Baker, e Mia e Ethan hanno avuto una adorabile figlia, Rosemary. Ethan è stato addestrato militarmente e la coppia è stata trasferita nell’Est Europa per essere messa sotto una sorta di protezione testimoni dalla BSAA (l’organizzazione di lotta alle armi biologiche sovvenzionata dall’ONU); molte cose sono cambiate, ma la memoria di quanto accaduto non sembra essere stata dimenticata e aleggia ancora nel loro quotidiano.

Tuttavia, l’incubo non è ancora finito. Durante una tranquilla serata, apparentemente simile ad ogni altra, Chris Redfield fa irruzione nella casa dei Winters insieme alla sua squadra Hound Wolf: spara a Mia diversi colpi d’arma da fuoco e prende Rose e Ethan, senza dare altre spiegazioni. Ethan si risveglia nei pressi di un villaggio, senza alcuna idea di quello che sta succedendo. Questa è la premessa del gioco, sbandierata in partenza fin dal trailer di annuncio, su cui si poggia chiaramente tutta l’anima mystery dell’esperienza, in un susseguirsi di rivelazioni che mano a mano chiariranno la nebbia dietro questi eventi iniziali.

 

 

Oltre questo ogni altra informazione specifica è praticamente spoiler, quindi cercherò di essere molto generale proseguendo in questa recensione di Resident Evil Village. Diciamo che la trama di questo ottavo capitolo riesce a sorprendere, e poggia così tanto su twist continui che trovo sia davvero un peccato il mare di leak che ha inondato la rete e rivelato praticamente ogni dettaglio sul piano narrativo. I colpi di scena si susseguono uno dopo l’altro e le carte che rivelano il quadro completo sono sempre ben poco visibili fino alla fine dell’avventura, ma poi il gioco ha comunque reali problemi a trovare una sua consistenza nel racconto, e rivela tutta una serie di punti deboli una volta arrivati alla resa dei conti e allo scioglimento della matassa.

Perché se è vero che le basi a livello di immaginario – che richiamano un po’ l’iconografia cristiana – sono incredibilmente affascinanti, quelle relativa alla villain Miranda e al villaggio, tutto lo sviluppo che ne consegue finisce per porsi in maniera scomposta e perdersi un po’ per strada, spesso preoccupandosi più di giustificare il gameplay e di costruire mistero, stupore e tensione che di sviluppare un minimo di coesione logica. Resident Evil VII era estremamente più solido in questo senso, pur mancando di tutta quell’ambizione nell’ampliare la scala del racconto che invece Village vanta.

Alcuni punti chiave, in particolare del finale, vengono buttati alla bene e meglio e appena scalfiti/chiariti da qualche nota rivelatrice in giro per le ultime ambientazioni, ma il mal di testa che vi verrà fuori quando cercherete di mettere a posto i pezzi del puzzle è eloquente rispetto al problema di fondo della scrittura del gioco. Il gioco a volte sembra addirittura disinteressarsi verso il creare sospensione dell’incredulità rispetto a degli elementi che mantengono pretese fantascientifiche, e questa pigrizia/fretta nello sciogliere i nodi della trama inevitabilmente aggrava irrimediabilmente la cosa.

 

 

Ed è un peccato, perché come già detto in questa recensione di Resident Evil Village, al netto delle forzature, i colpi di scena hanno il loro impatto, i personaggi sono interessanti e le dinamiche di Miranda con i quattro signori del villaggio (Heisenberg, Beneviento, Dimitrescu e Moreau) sono decisamente curiose, perverse e intriganti, permettendo anche di empatizzare rispetto a determinate situazioni, una volta capito l’altro lato della medaglia.

L’avventura di Ethan Winters è tutta un grandissimo pretesto, un pretesto che nemmeno ci si cura di giustificare

Tuttavia l’avventura di Ethan Winters è tutta un grandissimo pretesto, un pretesto che nemmeno ci si cura di giustificare e che a malapena è in grado di reggersi su sé stesso, dall’inizio alla fine. Con qualche collega ci siamo interrogati sulla trama e sul come incastrarne i pezzi, e pur essendo riusciti a far quadrare un minimo i conti, l’impressione è quella di essere stati noi stessi a riempire i vuoti di una scrittura che oltre a essere poco coerente lascia anche troppo all’ultima ora/alle ultime due ore di gioco, amplificando la confusione.

Rimane il fatto che la trama costruisce nemici sempre interessanti e carismatici, fa il suo nello stupire e far proseguire il racconto nei limiti di un giocatore non particolarmente riflessivo e costruisce un ritmo insaziabile che non fa mai staccare la tensione e carica a cannone per un climax finale semplicemente memorabile. Non mi sento poi sinceramente di escludere dei DLC che vadano a colmare qualche vuoto, perché ci sono davvero troppi elementi in sospeso (specie rispetto al passato del villaggio e l’epilogo del gioco, ma non solo) e mi stupirebbe fossero lasciati completamente da parte o relegati allo scontatissimo terzo capitolo di quella che sembra essere a tutti gli effetti una trilogia.

Se siete fan di Resident Evil troverete poi chiaramente pan per focaccia, sia dal report iniziale accessibile dal menu di gioco (che vi consiglio di leggere), sia dal background biologico della situazione del villaggio, sia da una serie di rivelazioni a esperienza inoltrata su cui preferisco non dire altro.

Miranda recensione di Resident Evil Village

Miranda, la villain del gioco

Let’s see what you’re really made of, Ethan Winters

Va detto in questa recensione di Resident Evil Village che Ethan è molto diverso da quello che ci ricordiamo da Resident Evil VII, quell’esperienza e l’addestramento militare lo hanno reso molto più sicuro di sé, molto più spaccone, diciamo, e quel terrore a cui eravamo abituati è ora stato sostituito da una buona dose di rabbia: Ethan rivuole indietro la figlia, no matter what.  Un carattere, quello rinnovato e pronto a tutto di Ethan, che si compiace anche in un gameplay molto più d’azione rispetto al precedente capitolo, e che ricorda come ovvio fin dai trailer e dalla campagna promozionale Resident Evil 4.

Resident Evil Village è senza minima ombra di dubbio l’erede spirituale di Resident Evil 4

Resident Evil Village è senza minima ombra di dubbio l’erede spirituale del celebre capitolo diretto da Shinji  Mikami, e lo richiama di continuo, con una consapevolezza e una lucidità a tratti allucinante. Se avete giocato RE4 è quindi probabile che determinate situazioni, anche determinati scontri, alle volte, vi sembrino dei piacevoli deja vu, ma in generale non è un qualcosa che si limita ai tanti riferimenti o easter egg, ma è un approccio che si estende alla struttura e al design di tutto il gioco.

Il mercante, ora l’intrigante Duca, vende armi, oggetti, munizioni, estensioni dello spazio dell’inventario, potenziamenti delle armi e ricette per il crafting, oltre a fare da bravo compratore dei tesori che troveremo lungo tutto il gioco e che ci serviranno (singoli o combinati) per fare cassa e finanziare le spese molto ingenti necessarie. Tutto molto simile rispetto a quanto accadeva già in RE4, con l’aggiunta dei miglioramenti delle statistiche di Ethan, ora possibili grazie ai piatti culinari (che si ottengono portando al duca della carne una volta uccisi animali).

Duca recensione di Resident Evil Village

I nemici lasciano tesori, risorse o valuta, ma non munizioni – che qui essere possono essere tranquillamente craftate, come esplosivi e cure, se non trovati in giro -, ma per il resto ci siamo, e le analogie si sprecano, come ad esempio quella immediata dell’inventario, che mantiene la stessa struttura ad incastro stile Tetris.

Il parallelismo con Resident Evil 4 che più fa onore in questa recensione a Resident Evil Village è la capacità di riuscire ad essere divertente tanto quel titolo, rispecchiandone la direzione molto frontale degli scontri, che qui rispetto a quella del capitolo di sedici anni fa – complice comandi più reattivi e visuale diversa – sono però a tratti molto più dinamici, soprattutto per la velocità, agilità e relativa reattività anche dei già noti e pubblicizzati lycan, per fare un esempio (i nemici base simil licantropi). I lycan infatti già a difficoltà normale (quella del mio playthrough) si fanno abbastanza impegnativi, principalmente a causa della loro tendenza a schivare facilmente i proiettili per poi affiancarsi ad Ethan in gruppo.

I lycan si infilano dappertutto e a qualsiasi altezza, senza lasciare tregua, ma a difficoltà normale nonostante tutto sono abbastanza gestibili (tra l’altro all’inizio del gioco la distribuzione di risorse e munizioni a normale è molto permissiva), ma già passando ad estremo, il terzo livello di difficoltà su quattro, le cose cambiano e i lycan tendono molto di più ad avvicinarsi con una certa cattiveria, con un danno maggiorato delle prese che lascia molta poca indulgenza.

 

 

I lycan sono tuttavia solo uno dei tanti nemici presenti in Village, e pure a difficoltà normale qualche mostro, magari corazzato, richiederà un modo di pensare più strategico, anche perché le risorse non abbondano eccessivamente mano a mano che si prosegue, forzando a essere più creativi, usando talvolta l’ambiente, le possibili alternative che offre o la verticalità, talvolta qualche mina/esplosivo e talvolta l’utilizzo molto ragionato di specifiche armi da fuoco. Si fa quello che si può, insomma.

Ogni zona presenta sfide diverse e approcci completamente agli antipodi, magari anche lontani dall’azione pura.

D’altronde per ora dai trailer avete visto solo il Castello Dimitrescu e il villaggio, che fa un po’ da hub centrale, ma dovrete confrontarvi con la casa di Beneviento, la fabbrica di Heisenberg e il territorio di Moreau. Ogni zona presenta sfide diverse e approcci completamente agli antipodi, magari anche lontani dall’azione pura, che contribuiscono a dare una densità e una varietà al gioco che Resident Evil VII può solo vedere col binocolo, pur assestandosi come Village sempre sulle 10/12 ore di durata.

Non illudetevi poi che con questa svolta action il gioco sia una passeggiata per il vostro cuore, anzi, Village quando vuole è in grado di terrorizzare e spogliarvi del tutto di quel senso di relativa bassa tensione dettata dagli scontri a fuoco e/o da situazioni più o meno concitate (si pensi allo stalking della cara Alcina che ci insegue nel castello). A tratti si arriva a livelli addirittura superiori per carico di tensione rispetto ai momenti più horror di Resident Evil VII e complessivamente parliamo comunque di un prodotto su questo molto più bilanciato rispetto a Resident Evil 4, che puntava il giusto sul costruire paura nel giocatore.

Al netto dei momenti davvero terrorizzanti e quasi difficili da giocare se si è moderatamente cardiopatici, Village è comunque un gioco che vuole essere alla fin fine anche caciarone e bombastico, in parte come da tradizione della serie, e questo lo dimostra in particolare con gli scontri con i boss, che oltre a essere estremamente diversi tra loro spesso regalano perle di esaltazione davvero rare, con particolare riferimento ad una in prossimità del finale del gioco. A questo proposito e come accennavo pure nella precedente sezione, il climax finale dell’esperienza è una delle sequenze più memorabili che mi sia capitato di affrontare, e davvero si pone come un estratto di adrenalina pura, rispettando il crescere di un ritmo in verità quasi sempre sostenuto, pur con qualche minore momento di stanca nella seconda metà del gioco inoltrata.

Alcina Dimitrescu recensione di Resident Evil Village

Finora in questa recensione di Resident Evil Village abbiamo parlato solo di Resident Evil 4 e Resident Evil VII, ma in realtà il gioco a tratti si avvicina addirittura a Resident Evil 2, e il Castello Dimitrescu, seppure si proponga in maniera molto più guidata, a tratti quasi ricorda la tanto celebre stazione di polizia, con quel level design da antologia e in sé e per sé configurato come un grande puzzle. Il castello è infatti una vera chicca, e rispecchia in piccolo e in misura accentuata tante idee di design che poi si riscontrano in maniera alterna nel resto del gioco.

Tra queste c’è sicuramente la fortissima insistenza di Village sugli enigmi, che si trovano in una quantità davvero notevole e in tantissime forme diverse, ambientali o meno, ma anche in declinazioni più particolari, in cui una mentalità puzzle viene applicata a scontri e setpiece, in modo più o meno tradizionale. La qualità degli enigmi è pure ottima, sfidante ma mai ostacolo insormontabile, e risulta sempre piacevole cimentarcisi per spezzare e alternare il ritmo dell’azione e dell’horror.

Il level design del gioco a tratti ricorda nelle singole sezioni le vette di RE2

Proseguendo, ho detto come il level design del gioco ricordi nelle singole sezioni le vette di RE2, ponendosi quindi spesso come un unico grande puzzle in cui capire come incastrare gli oggetti per accedere ad altri oggetti e nuove zone. E se all’interno di diverse delle singole sezioni si mantiene quindi una non linearità, all’interno dell’open map il gioco è in realtà molto guidato. La progressione principale ci viene quindi dettata: non possiamo andare dove ci pare fin dall’inizio del gioco e l’unica cosa che viene permessa a posteriori nella mappa aperta è quella di tornare all’hub (il villaggio), esplorare per trovare tesori, elementi di trama ulteriori (spesso importanti) o risorse. È una scelta che permette senza dubbio di ritmare meglio il gioco, e vista la qualità di tutte le zone, così differenziate l’una dall’altra, c’è ben poco di cui lamentarsi.

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Resident Evil Village Recensione

What the hell is wrong with this place?

Avviciniamoci alla conclusione di questa recensione di Resident Evil Village dicendo che il gioco su PlayStation 5 è una gioia per gli occhi. Non solo i caricamenti sono praticamente istantanei (siamo nell’ordine di quelli di Miles Morales, ovvero una manciata di secondi per l’avvio dalla dashboard della console), ma la qualità e la quantità di dettaglio in particolare degli interni è spesso una roba che impressiona, esaltando un lavoro artistico esemplare che nel Castello Dimitrescu, così ricco e sfarzoso, raggiunge la sua vetta più alta, grazie anche ad un sistema di illuminazione che in quel caso svetta più facilmente (vedasi la resa del legno, le luci soffuse o i riflessi sulle superfici più lucide, ad esempio il pavimento dell’atrio).

Gli esterni del gioco sono invece meno impressionanti, come determinate zone più spoglie e industriali della seconda metà del gioco, e lì chiaramente entra in gioco in maniera fisiologica anche la minore possibilità di evidenziarsi della direzione artistica. All’aperto è poi anche visibile qualche minimo (ma percepibile) artefatto di pop-in di elementi sulla distanza, ma al di là di questo la gestione del livello di dettaglio rimane ottima.

 

 

Proseguendo, le performance con ray tracing attivato tendono ad essere perlopiù stabili, ma talvolta qualche calo c’è e si vede, specie nelle situazioni più esose a livello di illuminazione (nel castello abbiamo qualche esempio) o di particellari (ad esempio la neve all’esterno della prima parte del gioco), tendenzialmente però non si parla di nulla che rovini l’esperienza o infastidisca davvero, quindi anche qui poco di cui lamentarsi.

Il lavoro artistico portato avanti sulle creature che infestano il villaggio infine è da premiare senza riserve, e c’è una coerenza di fondo tra i vari mostri, volta a sottendere le rivelazioni della trama sui terribili esperimenti che ne hanno dettato la nascita; come al solito, e non c’è nulla di nuovo sotto il sole rispetto agli standard della serie, si osa con il macabro nel caso dei nemici maggiori e aspettatevi trasformazioni o mostri abbastanza clamorosi, segnando momenti che sicuramente diventeranno cult una volta pubblicato il gioco.

 

Resident Evil Village sarà disponibile dal prossimo 7 Maggio.

93
Resident Evil Village
Recensione di Simone Di Gregorio

Resident Evil Village è la piena e consapevole sintesi delle scuole di pensiero di RE4, RE7 e RE2, presentandosi come un'esperienza di grandissima qualità e densissima di idee e contenuto. Un ritmo quasi sempre forsennato e tantissimi colpi di scena non riscattano però una sceneggiatura manchevole. Sul piano del gameplay siamo ai livelli di un capolavoro, peccato per gli inciampi narrativi senza cui sarebbe stato consacrato senza riserve.

ME GUSTA
  • A livello di gameplay è il punto di sintesi perfetto tra il settimo, il quarto e il secondo capitolo della serie
  • Un ritmo sostenuto dall'inizio alla fine, grazie ad una infinità di sorprese e colpi di scena
  • Tantissimi enigmi, accessibili ma di qualità
  • Tecnicamente e artisticamente viaggia dal bello all'impeccabile. Alcuni interni, come quelli del castello, sono iper dettagliati e sono una gioia per gli occhi
  • Grande ambizione e grandi basi a livello di immaginario, che si rispecchiano in nemici accattivanti
FAIL
  • La trama è un grandissimo pretesto dall'inizio alla fine e fa molta fatica a reggersi sulle proprie gambe per trovare una sua coerenza logica
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